Quando si pensa alla libertà, ci si riferisce spesso ad un concetto astratto: la si identifica infatti con un dato sostanziale – quasi fosse qualcosa di visibile a prima vista – di cui si tratterebbe di disporre, che si potrebbe perdere o riconquistare. La libertà non è questo. Questo è soltanto un concetto metafisico di libertà. Molto diversamente, invece, la libertà non è affatto una categoria astratta, anzi è qualcosa di assai concreto, e riguarda lo svolgersi quotidiano della vita umana e delle sue possibilità esistenziali. In estrema sintesi, si potrebbe dire che la libertà è la possibilità di far passare la potenza del proprio corpo (la potenzialità) nel piano dell’essere (della realtà). Messa così la questione, non sfugge, quanto la libertà sia direttamente legata alla sfera dell’immaginazione. Quanto più sarà viva e ricca quest’ultima, infatti, tanto più avrò la possibilità di implementare la mia vita, “agendo” fattualmente la mia libertà, curando cioè nella maniera migliore il passaggio dalla sfera dell’immaginazione a quella del reale. Se tutto ciò è vero, si comprende bene il motivo per cui i sistemi di potere del contemporaneo, molto diversamente da quelli passati, piuttosto che bloccare il passaggio dall’immaginazione alla realtà, piuttosto cioè che impedire la transizione dalla potenza all’atto, si concentrino sulla fonte stessa della libertà, ossia – come detto – sull’immaginazione stessa. Impedendo che quest’ultima nasca, o che comunque vada a costituire una sfera ricca e feconda, i sistemi politici del contemporaneo evitano di mostrare il loro volto “cattivo”, o meglio essi lo manifestano soltanto in occasioni estreme, quando ciò non possono indossare la solita, rassicurante faccia della democrazia: non ha alcun bisogno di polizie segrete colui che è riuscito a trasformare i possibili eversori in fedeli alleati, o anche in complici più o meno consapevoli. Il potere “tollerante e libertario” delle democrazie, del resto, sarà ancora più morbido ed accogliente quando, dopo aver inaridito la sfera dell’immaginazione (non mancano gli strumenti: giochi elettronici, social network, controllo del cyber-spazio, programmi televisivi ad hoc), esso si mostrerà in grado di realizzare anche l’ultimo grande capolavoro, ciò che non era mai stato possibile a nessun potere storico: la costruzione cibernetica della psico-sfera umana. Non siamo lontani da un momento simile: l’intero spettro della comunicazione contemporanea, infatti, non si rivolge più ad uomini pensanti. Tutto ciò che è richiesto al fruitore è soltanto di rispondere ad uno stimolo puntuale, presto sostituito da altri stimoli: uno, cento, mille stimoli – a volte avvertiti, spesso addirittura subliminali. Milioni di stimoli disseminati in ogni ora della nostra vita appaiono allora sul palcoscenico sempre più oscuro della nostra mente, rendendo impossibile qualsiasi margine di riflessione autonoma. Non vi è quasi più – come accadeva quand’ero ragazzo – uno scritto dietro cui si nascondeva un mondo intero da immaginare e da costruire a seconda della sensibilità di ciascuno. Ciò che è dominante ora è la volontà del sistema di ottenere reazioni standard, sempre prevedibili, da parte degli utenti/cittadini e tali da escludere qualsiasi movimento vitale che possa essere davvero “eccedente” la logica e la prassi del sistema stesso. Se continua questa tendenza, se questa linea politico-culturale viene mantenuta o addirittura accentuata, accadrà che uomini teleguidati verso la mangiatoia canteranno le lodi gioiose ed inconsapevoli del tempo della fine, accompagnati ad ogni passo dagli squilli di tromba della libertà. Gli occhi fissi sulla propria libertà (magari nella forma di uno smartphone), allora, e il rumore altissimo delle trombe del consumo impediranno agli uomini di scorgere il ghigno diabolico nascosto dietro la maschera dei pifferai magici (le nuove oligarchie di potere) che guidano dall’interno le grandi masse omogenee di questo nostro tempo. Le medesime masse che, nel loro percorso verso un futuro oscuro, calpestano nella propria corsa irrefrenabile e cieca le poche Cassandre che cercano vanamente di farsi sentire. È in questo modo che le donne e gli uomini delle democrazie capitalistiche di inizio terzo millennio si slanciano verso il raggiungimento della forma più compiuta della stessa libertà: la dismissione totale di essa nel sonno eterno della servitù.