“I filosofi hanno variamente interpretato il mondo, ma si tratta di cambiarlo”.
La frase scultorea dell’undicesima tesi su Feuerbach di Karl Marx ci ammonisce con tutta la forza e il prestigio che le deriva da un secolo e mezzo di storia del pensiero e di storia politica.
Qual è il suo senso di fondo? Presto detto. La filosofia di Marx è pensiero militante: filosofia della prassi rivoluzionaria. Filosofia che si fa storia, laddove la storia si fa filosofia.
Nel tempo della globalizzazione, nel tempo in cui i linguaggi della tradizione occidentale sembrano usurati fino al completo auto-deterioramento interno, nel tempo dell’assoluto disimpegno, nel nostro tempo insomma, che cosa rimane dell’ambizione di Marx? Ambizione sontuosa. Pensate: filosofia che si fa mondo, cambiando il mondo!
Ne rimane tutto, pur all’interno di un contesto completamente nuovo e con modalità performative del tutto inedite.
Intanto, con chi abbiamo a che fare oggi? Certo, rispetto ai tempi di Marx, quando si poteva utilizzare come strumento ermeneutico una contrapposizione dialettica lineare costituita dalla borghesia e dal proletariato, la situazione è diventata molto più mossa.
Per trasformare il mondo, anche quando tale ambizione è filosofica, occorre presupporre che qualcosa debba essere considerato un nemico e, dunque, abbattuto. A questo non si deve e non si può rinunciare. In questo senso, è necessario immaginare la realtà contemporanea come la linea di un fronte di guerra.
Una guerra contro chi? Non è facile dirlo. La vecchia contrapposizione marxiana – appunto – non regge più. La caratteristica della guerra attuale è che il fronte è invisibile e policentrico. Non dobbiamo tenere testa ad un nemico visibile – che abbia cioè un’identità chiara e definita. Abbiamo piuttosto a che fare con un nemico irriducibile e metamorfico, capace di mutare aspetto e di catapultarsi verso territori vergini, creando così nuove quanto inaspettate zone di scontro. Se volessimo indicare un obiettivo bellico, dovremmo evocare il grande Capitale internazionale, il nuovo sovrano dell’Occidente. Costui però è spersonalizzato, anonimo, onnipresente quanto incorporeo.
Non c’è guerra che non chieda – anzi imponga – di resistere. Ognuno di noi, pertanto, ha il proprio specifico modo di affrontare il conflitto. Ciascuno di noi potrebbe parlare della propria guerra, del proprio modo specifico di combattere e, soprattutto, della propria peculiare maniera di affrontare il nemico. La resistenza al dolore e al pericolo è la caratteristica di ogni conflitto. Anche di quelli che, come oggi avviene, si combattono sotto l’egida della libertà …
Se questa è la situazione attuale dello scontro – sotto certi aspetti, appunto, più cupo e oscuro di quello classico -, occorre dire che oggi possiamo contare anche su inedite possibilità. La più importante e significativa è data dal fatto che siamo ben consapevoli che il nemico non è soltanto esterno, ma si trova spesso collocato fin nelle pieghe più intime del nostro animo. Come negare infatti che siamo tutti più e meno implicati nel Regno del capitale? Come non ammettere il fascino seduttivo che esso esercita quotidianamente su di noi e che costituisce quasi esclusivamente la sua forza? Ecco, la possibilità di porre tale questione io la considererei un passo avanti nella comprensione di noi stessi e delle possibilità sempre aperte di cambiare il mondo attraverso la filosofia. È soltanto la filosofia, infatti, ciò che consente di aprire il nostro animo, di far discendere in esso – o magari richiamare – quei venticinque secoli di storia sedimentati nel suo linguaggio, allo scopo di forzare la cappa di conformismo sterile e alienante a cui il mondo contemporaneo ci sovraespone costantemente.
Dobbiamo anzitutto imparare – e soltanto la filosofia ce lo può consentire – ad affrontare quel vuoto che sentiamo dentro; quel sentimento di spossatezza o di falsa euforia che attraversa spesso le nostre giornate. In questo senso, la filosofia ci potrà permettere di creare le condizioni per un nuovo abitare il mondo attraverso la costituzione di un inedito equilibrio fra noi stessi e il mondo. Equilibrio che oggi sembra attaccato da più parti e che necessità urgentemente – viste le varie emergenze a cui siamo sottoposti – delle risposte.
Una volta erano i poeti a produrre nuovo linguaggio. Oggi nel migliore dei casi a farlo sono i giornalisti. Facciamo che la filosofia possa presto vedersi restituire l’antico blasone; facciamo che l’uomo capisca che la filosofia è un bene comune dell’umanità e che essa è, oltre giustificazione del proprio esistere, anche relazione etica fra gli uomini.
Oltre l’individualismo, al di là della teologia economica.
Fonte foto: Malgrado Tutto Web (da Google)