Ci sono piccoli testi che contengono rivelazioni che favoriscono lo straniamento dal totalitarismo del capitale. Costanzo Preve in Capitalismo senza classi e società neofeudale ci dona una griglia concettuale con la quale possiamo comprendere e pensare il presente. Nessuna concessione è fatta alle “teorie di media portata”, le quali limitano la critica, in modo da renderla organica al dominio. La filosofia, se conserva l’indignazione, è radicale e profonda come nessun’altra disciplina. Necessitiamo di pensieri e concetti che ci guidino verso l’uscita dalle “passioni tristi”. Il totalitarismo del capitale non consente il filtraggio critico delle parole e dei linguaggi, l’appiattimento emotivo è speculare all’omologazione concettuale. Il totalitarismo del capitale offusca la realtà sociale e storica con la feticizzazione delle merci: le relazioni fondate sul plusvalore vorrebbero eliminare dalla natura umana il fondamento comunitario ed assiologico. Il condizionamento tecnocratico per quanto invasivo e capillare non può eliminare l’indignazione dinanzi alla violenza della negazione della natura e al dominio quale paradigma in cui includere ogni attività umana. La natura comunitaria e critica può irrompere anche nella cappa plumbea della condizione storica attuale. La filosofia è “amica degli esseri umani”, essa ha la capacità di rompere automatismi e strutture ossificate nell’abitudine con l’indignazione. All’origine della filosofia vi è un sentimento etico, lo scandalo è all’origine del pensiero, l’indignazione-scandalo è già uscita dalla caverna del fatalismo, un altro mondo è pensabile, se si riattivano le potenzialità etiche assopite in ciascun essere umano. La filosofia conserva l’ottimismo della categoria della possibilità, malgrado la lucida consapevolezza del travaglio storico in cui si trova ad operare. L’indignazione emerge spontanea o come conseguenza non meccanica di un processo di formazione, ma senza di essa la filosofia non avrebbe senso, sarebbe solo una disciplina addomesticata all’ordine delle oligarchie. Essa non emerge dalla meraviglia, ma dall’indignazione che pone domande ed elabora risposte, è attività politica, in cui l’anabasi e la catabasi sono la condizione per costruire sistemi in cui la teoria vive in una proficua relazione con la prassi. L’osmosi tra teoria e prassi trasforma l’indignazione in agire collaborativo e comunitaria per riformare le condizioni che offendono la condizione umana[1]:
“Al principio di tutto c’è l’indignazione. In generale l’indignazione è preceduta da una vaga irritazione, ma quando l’irritazione si cristallizza in indignazione allora si ha la genesi delle rivelazioni religiose e delle coerentizzazioni filosofiche. L’indignazione è stata all’origine della filosofia greca detta presocratica (erroneamente, perché in un certo senso lo stesso Socrate è stato l’ultimo dei presocratici, e cioè di coloro che filosofavano al servizio diretto ideale della polis democratica), nella forma della indignazione razionalizzata di fronte all’irruzione sconvolgente della schiavitù per debiti”.
Capitalismo senza classi
L’indignazione non è confinata nello spazio e nel tempo delle origini, essa è con noi ogniqualvolta non si accetta passivamente la versione ufficiale, indignarsi significa defatalizzare il presente e guardarlo con gli occhi ardenti e profondi della mente. Significa, quindi, non limitarsi a percepire e registrare il mondo con i suoi dati ed avvenimenti, ma ricostruirli nella loro verità genetica per giungere all’autocoscienza con cui discernere la verità dalla menzogna. Ogni essere umano può mettere in atto il filtraggio, ma solo i filosofi lo trasformano in vita e scopo della buona vita. L’indignazione ci induce a guardare ciò che ci appare nella sua agghiacciante normalità nella sua verità. Il capitalismo senza classi è nel nostro quotidiano, omologa ed offende ogni vita inchiodandola alle direttive del mercato, in apparenza si è tutti eguali “in nome del mercato”, in realtà non solo i soggetti sono privati della loro natura universale e della loro indole, ma dietro la cortina dell’egualitarismo omologante, la realtà sociale è rigidamente divisa tra dominati e dominatori. Questi ultimi colonizzano la mente, la lingua e l’immaginario dei dominati fino a trasformarli in plebe orante che recita il ruolo assegnato dalle oligarchie[2]:
“Il capitalismo senza classi è anzi molto più vergognosamente diseguale e barbarico di quello tradizionale, prima da me definito “dialettico” in linguaggio hegeliano. Il fatto che la forma merce, assolutizzata e totalitaria, si impadronisca di tutti gli ambiti della riproduzione sociale, infrangendo persino i vecchi confini mobili delle identità storiche delle due classi fondamentali, porta ad una nuova polarità fra l’oligarchizzazione, da un lato, e la plebeizzazione dall’altro. Ma l’oligarchia non è più borghesia, e la plebe non è più proletariato, così come i ceti medi declassati e resi “flessibili”, la cui fidelizzazione al sistema è soltanto più passiva ed ideologica, non sono più “piccola borghesia”.
Senza indignazione filosofica non vi è popolo, ma plebe il cui destino è deciso dai dominatori. Le plebi sono il riflesso dei dominatori, subiscono la loro condizione storica e materiale, dismettono la possibilità di progettare il presente ed un futuro differente. Le plebi sono massa in perenne attesa del Demiurgo che soffi in loro parole e pensieri, si nega, così, la natura umana, la quale è pensante e comunitaria.
Teorie di media portata
L’indignazione ci deve condurre a sospettare delle teorie di media portata, esse contribuiscono a sostenere il sistema, poiché la loro critica è limitata come le riforme che propongono. Tali teorie spesso sono il sostegno più organico al sistema, poiché consentono allo stesso di presentarsi come plurale e democratico e, quindi, di conservarlo. L’indignazione filosofica acuisce l’ingegno, permette di scorgere gli aspetti in ombra e il “non detto” che si cela dietro le critiche organiche all’ordine sociale[1]:
“Ma cosa significa esattamente teorie di media portata? Significa che prendono certamente atto dell’insufficienza descrittiva delle teorie tradizionali, ma non osano andare fino in fondo, si fermano per opportunismo a mezza strada, e così ritardano per decenni quelle che il grande epistemologo americano Kuhn ha correttamente definito “rivoluzioni scientifiche”.
Per ricondurre la filosofia alla sua verità radicale e profonda bisogna uscire dalla visione da salotto della filosofia. I filosofi del mainstream spesso sostituiscono la radicalità dell’indignazione con il pessimismo paralizzante. Criticano, anche duramente, il sistema capitale, ma alla fine sostengono che non c’è alternativa.
Dobbiamo imparare a distinguere la vera indignazione filosofica con la sua radicalità critica che si manifesta nella prassi, dall’indignazione di facciata, dalla critica barocca dietro la quale vi è una tacita alleanza con i poteri forti. L’indignazione filosofica Costanzo Preve l’ha vissuta con autenticità, non a caso il suo pensiero è stato oggetto di ostracismo e censure dirette ed indirette, per cui nel presente dobbiamo avere il coraggio dell’indignazione, solo in tal maniera la storia potrà riprendere il suo cammino. La storia è multilineare, nessuno la possiede o può prevederne gli esiti, ma solo l’indignazione ha la possibilità di ribaltare il fatalismo nel quale l’Occidente è caduto e che ci trascina in una decadenza senza fine che non si vuole né guardare e né capire. L’inizio del crollo del capitalismo comincerà con l’indignazione comunitaria che in questo momento sembra mancare, ma che dobbiamo preparare[1]:
“La “dimostrazione” del crollo del capitalismo per ragioni esclusivamente economiche mi ha sempre irresistibilmente ricordato la dimostrazione teologica dell’esistenza di Dio per via puramente teologica. Ma così come la dimostrazione logica dell’esistenza di Dio, pur essendo spesso impeccabile logicamente, non riesce egualmente a far credere in Dio lo scettico e l’ateo, nello stesso modo (ed anzi in modo molto più ridicolo) la dimostrazione logica del crollo del capitalismo, pur essendo impeccabile, non riesce a far crollare il capitalismo”.
[1] Costanzo Preve, Capitalismo senza classi e società neofeudale, Petite Plaisance Pistoia 2021, pag. 12
(2) Ibidem pp. 66 67
[3] Ibidem pag. 41
[4] Ibidem pag. 51
[2] Ibidem pp. 66 67