L’Europa e l’Occidente si avviano verso il declino, i cui sintomi sono palesi. L’individualismo economicistico e l’edonismo senza cuore e senza spirito sono gli effetti del nichilismo liberista, il quale è dinanzi ai nostri occhi e per quanto si devii lo sguardo dalla verità essa finisce col guardarci. La politica dei camerieri e del servidorame connotato dall’ipertrofia dell’immagine senza contenuti è il punto finale di una deriva ormai decennale. I servi obbedienti, non hanno pensiero, semplicemente obbediscono. Con questa realtà bisogna fare i conti nel quotidiano. Ogni giorno ci attende un lavoro di resistenza, poiché l’assedio della barbarie e dell’insensato ci lambisce quotidianamente e ci sospinge sul limite dell’abisso della disperazione. Si vive sull’orlo dell’abisso e bisogna lavorare per ritrarsi da esso. È il regno dell’ultimo uomo, descritto da Nietzsche nell’aforisma 125 della Gaia scienza. La filosofia, in quanto ricerca veritativa è oggetto di una generale rimozione. La parola veritativa è sostituita con i suoni dell’insensato che nella manipolazione generale appaiono solidi e invalicabili come le Colonne d’Ercole. I processi di mistificazione sono estremamente raffinati e capziosi. La filosofia che per sua fondazione epistemica ha il suo senso e scopo nella ricerca argomentata e razionale dell’universale concreto (verità) è sostituita con una sua copia sbiadita e ingannevole: il pensiero debole, esso è la pseudo filosofia organica al capitalismo; “la filosofia”, in tal maniera, nega se stessa per affermare “il mercato del relativismo” e la trasformazione dell’essere umano in “consumatore seriale e compulsivo”. L’ultimo uomo descritto da Nietzsche urla la morte di dio nel mercato. Morte di dio, ossia morte della verità che reca con sé il defungere della filosofia e instaura così l’ultimo uomo che vive e regna nel mercato capitalistico, nel quale la morte dell’uomo, in quanto essere veritativo e simbolico, coincide con l’imperio della mediocrità delle vogliuzze che il mercato prontamente soddisfa.
Costanzo Preve è stato
in un’epoca di mediocrità “un maestro”. Egli ha
testimoniato la verità nella cornice apocalittica dell’ultimo uomo. A
lui dobbiamo l’aver evidenziato che l’ultimo uomo è la figura più rilevante nel
simbolismo filosofico nietzscheano, mentre il clero accademico ha puntato
sull’oltreuomo (sinistra) o sul superuomo (destra). Nel regno dell’ultimo uomo
non c’è posto per la filosofia. Il nichilismo è condizione innaturale per
l’essere umano, pertanto la filosofia veritativa provoca irritazione, poiché rammenta la
“menzogna conosciuta”, come Costanzo Preve ha definito la condizione di
sussunzione ideologica del nostro tempo, la quale rende le vittime veicolo del
nichilismo crematistico per impotenza e disperazione. Dove non vi è verità non
vi è speranza e la dimensione della progettualità si eclissa nell’insensato susseguirsi dei giorni e delle ore. La
Filosofia veritativa è un salvavita, altra immagine di Costanzo Preve, poiché
trasgredisce l’ordine costituito, lo provoca nel senso etimologico della parola,
pro-vocare, chiamare fuori, la
filosofia provoca il potere, lo conduce nel binario del logos e ne dimostra l’assoluta falsità. Il punto essenziale è che
la filosofia esige il confronto critico e dialettico con il quale mostra la
solidità dei fondamenti di ogni ordine costituito. L’ultimo uomo (l’imprenditore
manager rampante ne è l’archetipo spietato e cinico) rifugge dallo
scontro-incontro filosofico, al fine di proteggere le oligarchie
transnazionali. La filosofia causa il delirio paranoico nei fanatici dediti al
metodo scientifico e alla cieca fede nell’economicismo che traduce ogni
esperienza in quantità senza qualità:
“La filosofia provoca irritazione e vero e proprio fastidio nei
caratteri rigidi e leggermente paranoici, e questo non è un caso, perché essa
per sua propria natura non dispone di un oggetto e di un metodo univocamente
determinabili come avviene per le scienze naturali (ed anche, in parte, ma solo
in parte, per le scienze sociali). Se la prima mossa critica consigliata è
quella di non credere automaticamente e senza esame ai manuali di storia della
filosofia, e la seconda è quella di non illudersi che i filosofi possano
mettersi d’accordo una volta per tutte sull’oggetto e sul metodo della
filosofia stessa (se potessero farlo, ovviamente, la filosofia non sarebbe più
filosofia, ma diventerebbe una scienza come le altre), la terza mossa critica è
quella di non confonderla assolutamente con la scienza o con l’ideologia[1]”.
Chi è il filosofo?
Il filosofo può essere definito “grande”solo in senso qualitativo. È grande quando le sue argomentazioni
“resistono” agli attacchi dialettici e alle confutazioni. Ciò che resta dopo
secolari attacchi è la verità, ovvero l’eterno che si svela nella storia della
razionalità critica e oggettiva. L’ultimo uomo è l’antitesi del filosofo,
pertanto rappresenta compiutamente la contrapposizione verità-nichilismo. Il
nichilista proprietario ragiona e pensa per calcoli, è preso dal gorgo dell’illimitato,
vive nel succedersi confuso di gesti, azioni e comportamenti. Egli è liquido, è
pronto a prendere le forme del capitalismo o del potere, non è resistente, è
semplicemente resiliente, si adatta piacevolmente all’ombra temperata del
conformismo:
“Per dirla in modo sintetico, il “grande” filosofo non è quello che
dice cose più simili a quelle che pensiamo noi per nostro conto, e soltanto le
dice in forma più persuasiva, stringente e sistematica, per cui gli altri
filosofi diventano sempre più piccoli mano a mano che si allontanano da noi.
Questa concezione del grande filosofo è narcisistica, ombelicale ed
autoreferenziale, e confonde i filosofi con i guru carismatici di cui hanno
bisogno i deboli di spirito e di intelletto. Paradossalmente, il grande
filosofo è quello che “resiste” di più alle nostre possibili obiezioni, fino a
farci indirettamente capire (anche se è ormai morto da secoli) che noi non
abbiamo ancora affatto “risolto” un problema, ma esso permane aperto.
Trasferito nello scenario trimillenario della storia della filosofia
occidentale, i “grandi filosofi” sono appunto quelli che ci insegnano di più
perché “resistono” di più alle nostre confutazioni, e dunque per estensione
alle confutazioni di milioni di persone simili a noi[2]”.
Il nichilista usa la parola per la compravendita, egli, in
una realtà senza fondamento, è mosso dalle transazioni finanziarie. Il filosofo
vive nella verità, poiché la parola finalizzata al bene e a costruire confronti
dialettici è già verità viva e vivente che nutre la dignità di ogni essere
umano. Il capitalismo, non a caso, innalza la filosofia analitica sugli altari, poiché riduce il linguaggio a
corpo morto senza creatività e senza verità e condanna la metafisica, la quale
ha il suo nucleo e la sua sorgente nella parola razionale:
“Dal momento che, infatti, si può ragionevolmente ipotizzare che tutti
i filosofi segnalati nella lunga storia della filosofia occidentale siano
migliori di noi (in caso contrario, è improbabile che vengano segnalati, mentre
noi probabilmente non arriveremo ad esserlo), ne consegue un senso di
frustrazione e di impotenza, nel caso migliore, e di scetticismo, relativismo
ed inutilità nel caso peggiore. Se infatti nel corso di venticinque secoli
tanti spiriti eletti non sono riusciti a mettersi d’accordo, si può
ragionevolmente ipotizzare che abbiano solo perso il loro tempo inutilmente. La
radice della diffusa antipatia verso la filosofia nasce anche e soprattutto da
qui. In realtà non è affatto detto che lo scopo della filosofia sia quello di
mettersi d’accordo. Lo scopo è anzi quello di farci prendere coscienza della
inevitabilità e della opportunità di formulare in modo dialogico e razionale i
nostri dissensi, che in questo modo diventano fisiologici e non più patologici.
E così, di fatto, la pratica della filosofia porta ad una pratica della
democrazia e della pace. I “grandi filosofi” sono allora quelli che meglio
praticano questo terreno[3]”.
Il logos libera dai
condizionamenti, esso esige il passaggio dall’ideologia alla verità, dall’individualità
materiale alla verità, in questi passaggi l’essere umano si umanizza, poiché
impara ad ascoltare la presenza dell’alterità e a ricercare la comune umanità
nella verità. Il limite diventa il confine sul quale le soggettività si
incontrano. Il limite è la soglia che consente la prossimità solidale. Le
divisioni di classi e gli idola con
il loro armamentario di violenze implicite ed esplicite, di conseguenza, tramontano per lasciare spazio al contatto
amicale nel quale rigidità, rancori e pregiudizi sono superati dalla parola
veritativa:
“Questa frenesia cannibalesca dell’economicismo marxista, basata
sull’idea del carattere di “classe” di tutte le manifestazioni della vita
umana, non si rende conto che certamente il condizionamento classista si
inserisce dentro i prodotti culturali, ma non li esaurisce, e del resto Marx lo
sapeva, quando parlava dell’arte greca e delle ragioni per cui essa continua a
piacere anche oggi, quando sono ormai del tutto tramontate le condizioni
storiche classiste che l’hanno generata. Io ritengo che lo stesso discorso che
Marx fa a proposito dell’arte valga anche per la filosofia. La pratica
filosofica comporta certamente condizionamenti classisti ma non si esaurisce
nella determinazione classista. E’ tuttavia inutile dire questo ai seguaci di
Lenin, di Althusser, della coppia litigiosa Stalin-Trotzky, e dei tripartitori
impenitenti di tutte le istanze del mondo in economico, politico ed ideologico.
Detto questo, il momento ideologico certo esiste, ed è addirittura a mio avviso
ineliminabile ed addirittura positivo, perché è attraverso il momento
ideologico che gli uomini prendono consapevolezza della loro collocazione in
rapporti sociali classisti e costituiscono identità individuali e collettive di
resistenza. Non sono dunque per nulla un nemico del momento “ideologico”[4]”.
Le parole dei “maestri” restano, mentre il soffio vocalico
dei tanti accademici delle facoltà di filosofia e dei presunti filosofi non
possono che obliarsi, perché ciò che non è fondato nella verità della parola,
non è razionale, ma ha solo una parvenza di razionalità. La
razionalità-irrazionale dell’economicismo è ciò che caratterizza l’ultimo uomo,
che mentre afferma le sue menzogne, egli è già sconfitto, poiché nega ciò che caratterizza l’essere umano: la
verità e il bene, i quali sono comunitari e mai patrimonio personale o di
classe. Il declino non è un destino, la storia non è stadiale ma multilineare,
questa è la nostra
speranza che esige il nostro impegno e la nostra scommessa, la quale ha il suo incipit con l’ascolto mai passivo o
dogmatico dei maestri della filosofia, e
in questo vi è il coraggio di chi diverge dai “sentieri odorosi di menzogna”
dell’omologazione.
[1]Costanzo
Preve A duecento anni dalla morte di Immanuel Kant (1804-2004). Considerazioni
attuali sul rapporto fra la filosofia classica tedesca ed il marxismo,
PetitePlaisance Pistoia, pag. 4
[2] Ibidem
pag. 6
[3] Ibidem
pag. 6
[4] Ibidem pag. 5