Felicità e performance


Se si scorrono i titoli della grande editoria, da anni troneggia la felicità. L’epoca dell’individualismo competitivo feroce, pienamente interiorizzato dai subalterni fino alla più recente deriva narcisistica, sforna in continuazione bestseller che vendono la ricetta della felicità intesa sempre e solo come vicenda individuale nel senso deteriore, cioè privata.

Il problema della felicità non è certamente nuovo nella storia del pensiero. Se lo erano posti già Socrate e Aristotele. Dopo di loro, anche le scuole filosofiche dell’età ellenistica si incentrarono sulla felicità, elevandolo anzi a problema centrale della loro riflessione. La filosofia, infatti, rifletteva il ripiegamento individualistico prodotto dal dissolvimento dell’orizzonte della πόλις greca e dal venir meno della dimensione collettiva della partecipazione politica. Aristotele aveva ancora considerato la politica come necessaria chiusura del circuito di felicità avviato dall’etica sul piano individuale, nella convinzione che la felicità individuale si completi solo quando si realizza nella collettività. Diverso atteggiamento ebbero nei confronti della politica gli epicurei, che rappresentano uno dei grandi indirizzi filosofici dell’età ellenistica. Il loro motto recitava: “Vivi nascosto”, perché la politica era vista come fonte di turbamenti dell’animo, che compromettono il raggiungimento della felicità. Proprio come quella attuale, anche l’età ellenistica è stata un’epoca individualistica. E indicare all’individuo, smarrito e lacerato, scisso dal suo tessuto comunitario, la via per la felicità divenne la preoccupazione centrale della filosofia.

E tuttavia, la felicità venne ricercata con ben altra elevazione rispetto ai suoi odierni dispensatori e propagandisti. Pur recependo l’eclissi della dimensione politica, l’epicureismo ha espresso un altissimo potenziale di liberazione dell’uomo, facendo poggiare la soluzione al problema etico su una rigorosa fisica materialistica di stampo atomistico.

Nonostante produca titoli a palate, la ricerca della felicità nel nuovo ordine mercantile si trova molto più in basso. È al servizio della cultura neoliberale della prestazione, come spiega molto bene Byung-Chul Han (“La società senza dolore”, Einaudi, 2021). Non si cura dell’animo umano, al contrario si radica sul terreno del suo prosciugamento. È asservita all’unico valore assoluto, quello dell’individuo diventato impresa di sé stesso. La felicità viene così subordinata alla performance: “In forma di capitale emotivo positivo, la felicità deve garantire un’ininterrotta capacità di prestazione” (Han, “La società senza dolore”, p.16).

Cosi accade anche che, proprio nella società del “mi piace”, il diritto di non piacere, ed essere tuttavia felici, possa essere fieramente rivendicato da quegli stessi tecno-sudditi che per il resto partecipano a tempo pieno proprio al gioco dell’ostensione della propria immagine, basato sulla rimozione di tutto ciò che non è piacevole, grazie alle protesi narcisistiche gentilmente messe a disposizione dal capitalismo digitale. Così il nuovo “cittadino globale”, in realtà suddito del nuovo potere tecnocratico, come in un gioco di specchi non vede altro che sé stesso, ma non incontra più l’Altro. In definitiva, “il dispositivo della felicità isola l’essere umano e conduce a una spoliticizzazione e desolidarizzazione della società. Ognuno deve badare alla propria felicità, che diventa dunque una questione privata” (Han, “La società senza dolore”, p. 19). All’interno del quadro delimitato dall’ideologia mercantile, rafforzata dall’avvento del nuovo ordine digitale, la felicità è una questione nemmeno più individuale, ma appunto privata. Perché se fosse individuale potrebbe ancora rivolgersi all’interiorità, ma proprio lo spazio della riflessione è stato saturato nel tempo dell’infodemia e dei social, sopprimendo ad un tempo la profondità dell’introspezione e le condizioni di possibilità della coscienza sociale.

Fonte foto: da Google

1 commento per “Felicità e performance

  1. Enza
    28 Febbraio 2025 at 12:23

    Riflessioni utili e necessarie che si accordano al mio sentire e di tanti altri. Molto interessante il commento al libro di Han che non ho letto ma che è segnato tra i prossimi da comprare. Del filosofo ho invece centellinato “L’espulsione dell’altro” che propone il tema dell’esclusione e dell’isolamento favoriti dal cosiddetto benessere digitale. Mi permetto di ricopiare alcuni passaggi che hanno una forte interrelazione con quanto esposto. Quale felicità in una società che ti obbliga all’angoscia assolutamente da non msnifestare? La felicità dei like? O della continua ostensione di sé.
    Grazie al collega per gli spunti offerti.

    Han dedica un capitolo, nel saggio che ho citato, al tema dell’angoscia oggi.
    Egli mette in evidenza come essa nasca non da un orientamento interiore, ossia dal nostro singolare e autentico poter essere, bensì dall’esterno, dal continuo paragone con gli altri, a cui ci obbliga il sistema socio-politico neoliberistico della prestazione e produzione che ci vuole imprenditori di noi stessi, isolati e senza solidarietà .

    Lo studioso cita Heinz Bude: ” L’io si orienta a partire dagli altri e comincia a sbandare quando non crede di tenere il passo(…). L’dea di quel che gli altri pensano di qualcuno e di cosa pensino, di cosa si pensi di loro, diventa una fonte di angoscia sociale. Non è la situazione oggettiva a opprimere e distruggere la singola persona, ma la sensazione di avere la peggio nel paragonarsi a persone ritenute significative”.(…) Continua poi: ” Molti oggi sono tormentati da angosce diffuse: angoscia di non farcela, angoscia di fallire, angoscia di diventare dipendenti, angoscia di commettere un errore o di prendere una decisione sbagliata, angoscia di non riuscire a soddisfare le proprie esigenze”.

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