Difendere la scuola pubblica

Vi sono autori trattati come “cani morti”, poiché le loro analisi permettono di svelare le contraddizioni cariche di potenzialità rivoluzionaria del proprio tempo storico. La filosofia è attività teoretica e politica mai conclusa. La riflessione sulla totalità storica in cui si è implicati consente di valutarne non solo la qualità, ma anche le contraddizioni ma anche i processi strutturali in atto. Filosofare è operazione metodologica e logica, è metodo d’indagine in quanto  capacità di tessere assieme le parti ideologicamente separate dal potere, è logica in quanto il tessere le parti ideologicamente separate comporta la comprensione razionale del proprio tempo concettualizzato nella sua verità. L’ostilità e l’ostracismo colpisce solo i veri filosofi, gli accademici e gli eruditi che si limitano alla specializzazione filosofica sono favorevolmente accolti dal potere, in quanto alla coscienza critica del proprio tempo hanno sostituito l’adattamento opportunistico e carrieristico. Massimo Bontempelli[1] è stato filosofo del nostro tempo, attraverso le analisi sulla condizione della scuola dopo la caduta dell’Unione Sovietica pone in evidenza la decadenza dell’intero tessuto sociale privatizzato e saccheggiato dalle logiche privatistiche comuni alla destra e alla sinistra. L’annichilimento di un’istituzione non si può astrarre dal suo contesto storico. Massimo Bontempelli fu un pensatore hegelo-marxiano, la sua metodologia di indagine è stata concreta, ovvero metafisica nel senso alto della parola. La metafisica non è un trascendere oltre lo spazio e il tempo, ma un oltre che ricongiunge la complessità storica costituita da dati, istituzioni e modi di produzione.  Per poter concettualizzare è necessario ricongiungere ciò che appare diviso per ricostruirlo nei suoi nessi storici e strutturali, solo in tal modo “l’oltre” si rivela nel “con” per dare  senso alla totalità. Lo sfacelo del nostro tempo storico è comprensibile, se lo si  riporta  al disastro delle istituzioni pubbliche sotto la spinta del neoliberismo. L’analisi critica sulle patologie che ammorbano l’istituzione scolastica permette di capire il presente nella sua totalità, in quanto l’approccio di Massimo Bontempelli è olistico:

 

“Lo sfacelo del sistema-scuola, dunque, è nello stesso tempo espressione e concausa dello sfacelo della nazione[2]”.

La privatizzazione del patrimonio pubblico ha comportato la privatizzazione della scuola pubblica, essa è formalmente pubblica, ma gestita secondo criteri aziendalistici e, specialmente, deve formare sudditi che perseguono la sola logica del profitto. Nel disastro della scuola è riflessa la controrivoluzione neoliberista che ipostatizza se stessa con l’eliminazione veloce di ogni residuo comunitario, pertanto la scuola, luogo dove si dovrebbero formare cittadini dallo spirito critico, è stata pesantemente travolta dal ciclo di controriforme che hanno interessato globalmente l’intero asse sociale:

“È la storia del disastro sociale provocato dal grande ciclo delle privatizzazioni che tra il 1993 e il 1999 ha smantellato l’economia pubblica italiana. Le pressioni più forti ad avviare tale ciclo non sono state nazionali, ma estere, provenendo dalle nuove regole iperliberiste dell’Unione economica e monetaria europea nata da Maastricht nel 1992, e dalla grande finanza anglosassone, desiderosa di prendersi a buon mercato i pezzi più produttivi e profittevoli della nostra industria nazionale[3]”.

Per poter smantellare velocemente ogni resistenza la testa d’ariete che ha fatto “il lavoro sporco” è stata la sinistra parlamentare, la quale  si è immediatamente venduta e adattata, dopo il 1989, per non perdere i privilegi acquisiti. In tal modo ha mostrato il nichilismo ideologico che ne ha eroso gradualmente le fondamenta. Senza idee e senza verità metafisiche ha puntato unicamente a conservare il potere, l’assenza di ideali e di progetti politici ha favorito la salita alla ribalta di personaggi mediocri.

 

Mediocrazia e autonomia scolastica

La mediocrità è l’espressione del nichilismo neoliberista: la realtà storica non è compresa nella sua complessità e nei suoi pericoli, si adattano ad essa ricette miracolose con cui sfuggire allo sfacelo che avanza. Sullo sfondo restano calcoli politici dalla gittata limitata ed irresponsabilità verso gli elettori e la nazione tutta. La mediocrità non ha progettualità, in politica è ripiegamento trasformistico verso la difesa di interessi personali o lobbistici, per cui non si ha la tempra morale e politica per porre un limite ai condizionamenti che provengono dall’esterno. In questo clima si introduce l’autonomia scolastica. Il nichilismo è svuotamento dei significati linguistici. La lingua smette di essere punto di contatto, in quanto le parole sono un mezzo per dominare e  manipolare l’opinione pubblica. La parola autonomia è resa innocua e traviata, non più indipendenza dalla burocrazia e dall’economia, ma diviene il cavallo di Troia, il grande inganno con cui far entrare il neoliberismo a scuola e renderla dipendente dal mercato. La scuola quale istituzione principe della formazione si eclissa, è solo l’obbediente serva del mercato. Perde ogni specificità e senso per essere “azienda tra le aziende”:

“Berlinguer, così, già nel 1997, disarticola il sistema nazionale della pubblica istruzione, assimilando i singoli istituti scolastici ad aziende che producono ciascuna una propria offerta formativa, ma credendo di compiere una riforma progressista nel nome della cosiddetta autonomia delle scuole. Autonomia è una parola seducente, che evoca una prassi democratica e una libertà da pastoie burocratiche. La realtà che si nasconde dietro quella parola è però il diminuito impegno dello Stato nel finanziare il sistema scuola, la consegna data ai singoli istituti scolastici, sia pure per un futuro non immediato, a cercarsi finanziamenti privati, e l’abbandono di ogni progetto educativo nazionale con contenuti culturali vincolanti per l’insegnamento nelle singole scuole, tutti elementi che discendono dal contesto storico e ideologico, proprio dell’epoca, di privatizzazione del pubblico”.

Lo scopo finale per lo Stato assimilato dalle potenze della finanza è abbandonare la scuola al suo destino, limitare i finanziamenti, renderla economicamente autonoma. La scuola deve reperire i fondi per la sua sussistenza, è parte della guerra perenne del mercato all’interno del quale l’unico scopo è reperire risorse. Il cittadino non è più tale è suddito del mercato: il docente  deve adoperarsi per il marketing, il preside dev’essere un manager e in ultimo lo studente non è più persona che si apre al mondo conoscendosi nella concretezza della classe, ma è solo consumatore e produttore. Massimo Bontempelli è venuto a mancare nel 2011, non ha visto, ma ha profetizzato con lo sguardo della civetta la “Buona scuola” di Renzi e la lunga e inesorabile discesa e scomparsa dell’istituzione  nel nichilismo del  mercato.

 

Scuola e senso

Il filosofo e storico pisano evidenziava  che la scuola non è il luogo dove si impara il lavoro, quest’ultimo si impara nei luoghi deputati a ciò, la scuola deve formare la persona alla vita comunitaria sviluppando  senso critico e politico. La scuola formatrice di lavoratori sarà sempre in affanno nell’inseguire il mercato, è negata nella sua finalità ontologica e assiologica, e ciò non potrà che comportare la frustrazione di coloro che vi operano e un senso di impotenza depressiva che non può che contribuire a realizzare i processi di derealizzzazione. Non a caso il risultato di tale meccanismo posto in essere è il trionfo della mediocrità con cui il potere può saldamente conservarsi.  Docenti attenti alla carriera, e non ai contenuti e all’educazione, e formule didattiche finalizzate  a presentare il niente come innovazione hanno prodotto la ricetta della mediocrità. I peggiori nelle istituzioni sono diventati il “punto di riferimento”, l’insegnamento ha realizzato il nichilismo didattico: si tengono in ordine le carte, si valorizza la quantità burocratizzata. I contenuti disciplinari e i processi educativi con annessi ostacoli da superare con lo sviluppo del concetto sono declassati ad attività secondarie e moleste,  in quanto non attraggono iscritti:

“Formulari vuoti, e divoratori di tempo, si sostituiscono alla serietà dei contenuti dell’insegnamento, progetti parcellari interrompono la continuità dei percorsi disciplinari, la demenziale esaltazione della flessibilità organizzativa corrode forme di omogeneità indispensabili alla scuola, persino l’unità del gruppo-classe alle elementari. Scocca, in quegli anni, l’ora degli insegnanti mediocri, che sono finalmente legittimati a disinteressarsi alla loro preparazione culturale e di ogni vincolo di contenuto ai loro insegnamenti, e possono ritagliarsi un’immagine positiva indaffarandosi nel nulla di scartoffie, griglie, funzioni promozionali, formule valutative (come il demenziale giudizio tripartito su capacità conoscenze e competenze)[1]”.

L’analisi impietosa e senza infingimenti di Massimo Bontempelli non può limitarsi alla sola critica, ma deve intraprendere e inerpicarsi per il sentiero che porta all’uscita da tale condizione. Per poter ricostruire il senso della formazione bisogna prendere atto che la scuola ha la sua genesi all’interno della formazione dello Stato-nazione. Solo una nuova consapevolezza nazionale e comunitaria senza nazionalismo può indurre la comunità a prendere consapevolezza che la scuola svuotata di ogni senso e umanità corrisponde all’annichilimento della cultura nazionale. Senza cultura nazionale non vi è progetto politico, ma dipendenza linguistica, politica ed economica dalle forze capitalistiche globali:

“Non si può dunque ricomporre un sistema-scuola, contrastando l’analfabetismo culturale, e l’impoverimento mentale di massa diffusi dal suo sfacelo, senza ricomporre uno Stato-nazione, finalità generali ben distinte dagli interessi particolari, funzioni pubbliche ben distinte dalle attività private. Solo una tale dimensione statale, infatti, ha bisogno di una cultura della cittadinanza e di una scuola che la promuova, mentre una società di mercato ha bisogno di ottusità consumistica, non di scuola[1]”.

 

Capitalismo reale

La scuola non è un’agenzia lavorativa, non si può assegnare alla scuola tale compito che spetta allo Stato come la Costituzione recita. La scuola forma persone e non lavoratori, l’istituzione scolastica è prassi di umanesimo integrale. La comunità è viva e sana se riconquista politicamente il “senso metafisico” delle istituzioni. Il capitalismo reale, parafrasando la definizione di comunismo reale utilizzata per denigrare i paesi al di là del muro, nella sua verità storica è forza assimilatrice e intrinsecamente nichilista, nega la natura umana che si materializza nelle istituzioni. La propaganda del “capitalismo reale” struttura il consenso su temi a cui i popoli sono naturalmente sensibili come il lavoro per far deflagrare le istituzioni che dovrebbero formare alla cittadinanza critica. L’utile e il lavoro divengono grimaldelli per attaccare frontalmente le istituzioni formative, le quali se formano non producono, pertanto sono inutili e non preparano all’attività lavorativa:

“La soluzione del problema drammatico della mancanza di lavoro (e soprattutto dei diritti del lavoro riconosciuti dalla nostra Costituzione) è compito di un esteso intervento statale nell’economia, da ricostituire secondo il dettato costituzionale e in nome dell’integrità della nazione, e non rientra nella possibilità della scuola[2]”.

Dinanzi ad un capitalismo incapace di autocorreggere i  suoi postulati i resistenti devono palesare le contraddizioni del “capitalismo reale” e difendere le culture nazionali dalla globalizzazione del mercato. Difendere la comunità e la pratica del pubblico è possibile mediante la graduale processualità che deve condurre l’individuo a partecipare attivamente alla vita dello Stato, tale passaggio non può realizzarsi con “la furia del dileguare”, per cui la scuola è uno dei luoghi etici dove coltivare il concetto e la pratica comunitaria.

 

Ontologia in costruzione

Difendere la scuola pubblica significa schierarsi politicamente e filosoficamente per la comunità, e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni e la sussunzione. Massimo Bontempelli rileva che coloro che affermano ripetendo quanto ossessivamente si dichiara nei media di regime che il pubblico è inefficiente “approfittano” della cultura dell’astratto. In un contesto governato dalla violenza dei soli interessi privati, in cui il pubblico è additato quale causa del debito pubblico è inevitabile l’inefficienza del pubblico. In realtà si occulta con tale manovra la corruzione e l’alienazione che producono le attività private. Per rendere il reale razionale bisogna riportare l’astratto nella storia, diviene non rimandabile una cultura storica, non come vuota erudizione, ma come capacità filosofica di relazionare i dati e gli eventi per astrarre il concetto. In tal modo l’attività critica non può che condurre alla consapevolezza e alla prassi. La lingua e la storia umanizzano l’essere umano, sono veicolo di senso, sono ontologia in costruzione:

“C’è poi un’altra area di scuole, prevalentemente insediate in zone socialmente più fortunate e costituite per lo più, ma non solo, da licei classici e scientifici, in cui gli allievi sono sufficientemente scolarizzati. In quest’area l’asse culturale dell’insegnamento dovrebbe essere di tipo storico, per almeno tre motivi. In primo luogo la formazione di una consapevolezza storica è oggi indispensabile per il semplice fatto che le menti sono state totalmente destoricizzate[1].

La storia svela la verità dei processi di naturalizzazione del presente e dei paradigmi sociali, e specialmente ci offre la possibilità di raffrontare modelli sociali ed economici con cui capire il presente ed elaborare percorsi di emancipazione:

“Per poter pensare al cambiamento non di questa o quella cosa particolare, ma di un cosmo sociale, occorre infatti che esso non sia naturalizzato dalla nostra mente, ma sia relativizzato sulla scala del tempo. La storia è la grande tastiera di comparazione attraverso la quale un cosmo sociale viene relativizzato dal confronto con altri cosmi sociali di altri tempi e di altri luoghi. Chi conosce la storia delle pòleis greche può comparare il dominio dell’economia sulla politica del nostro tempo con il dominio della politica sull’economia nel tempo greco, e quindi relativizzarlo e pensarlo di conseguenza modificabile[2]”.

In un momento oscuro della nostro tempo la lettura di autori che fortemente hanno pensato il nostro presente è attività non antiquaria ma plastica con la quale far lievitare la consapevolezza critica, la quale è impegno e responsabilità nel presente. Il concreto è lo storicizzarsi per capire il reale storico contro “l’esclusione assoluta di ogni problema di realtà” come György Lukács sentenziava nell’Ontologia dell’essere sociale, a tutto ciò bisogna opporre la razionalità metafisica dell’impegno quotidiano, il quale può iniziare con la lettura di autori e filosofi antisistema.

 

[1] Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio1946– Pisa, 31 luglio2011) è stato uno storico, filosofo,  saggista e insegnante italiano.

[2] Fabio Bentivoglio, Massimo Bontempelli, Storia di uno sfascio epocale, 2009 in Dossier Scuola, pag. 20

[3] Ibidem pag. 20

[4] Ibidem pag. 23

[5] Ibidem pag. 25

[6] Ibidem pag. 28

[7] Ibidem pag. 30

[8] Ibidem pag. 31

 

Unitus e Sorano ricordano la figura e l'opera del Maestro Alberto Manzi | ONTUSCIA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.