La storia del femminismo non è sintetizzabile in formule semplicistiche, al suo interno vi sono correnti e prospettive diversificate. Vi sono pensatrici che hanno testimoniato “il pensiero al femminile”. Il pensiero è materiale, ha la sua genesi nelle condizioni materiali del soggetto per trascenderle con la forza plastica del logos. Il logos è “meta-fisica”, infinito attualizzato nel finito, è attività che si sgancia dall’immediatezza per oggettivarsi nella genesi di se stesso. Il pensiero al femminile rischia di essere “ideologico”, poiché resta interno alla prospettiva femminile, inficia il “meta” che costituisce l’essenza del pensiero nella sua forma filosofica, la quale è processo di elevazione dalla parte all’universale, è dinamica olistica mai conclusa. Il pensiero al femminile si chiude nella caverna non riconoscendo la sua parzialità. Nel femminismo il ripiegamento su tematiche specifiche femminili ha avuto la funzione di rivendicare i diritti delle donne, ma l’assolutizzazione della posizione parziale ha impedito l’elevazione all’universale concreto, il quale non nega le differenze, ma le riposiziona nell’universale.
Carla Lonzi è stata pensatrice femminista, la quale ha rivendicato la differenza femminile ma l’ha trasformata in paradigma assoluto con cui giudicare l’intera storia dell’umanità interpretata come la scena del crimine in cui le vittime sono sempre le donne. Il semplicismo favorisce forme di integralismo al limite dell’irrazionale, si alzano barriere manichee che non favoriscono una visione dinamica e olistica dei problemi, si semplicizza e si omologa e il risultato è l’indifferenziato. Ciò malgrado Carla Lonzi rispetto al femminismo anglosassone ha un’indubitabile capacità critica. L’emancipazione delle donne non può essere la riduzione delle stesse ai canoni maschili. La liberazione da legami e processi sociali alienanti non può che realizzarsi con il riconoscimento delle differenze:
“La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà[1]”.
L’efficientismo è il cappio del capitale che si stringe al collo delle donne, è qui evidente che la capacità critica si arena nella parzialità:
“Detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dalla egemonia dell’efficienza. Noi vogliamo mettere la nostra capacità lavorativa a disposizione di una società che ne sia immunizzata[2]”.
La Lonzi riduce il modo di produzione capitalistico ad espressione fallica, per cui le donne sono le sole vittime della razionalità efficientista che vuole possedere e dominare. Il semplicismo manicheo impedisce di valutare correttamente le dinamiche oppressive del capitale, le quali non alienano l’uomo o la donna in generale, l’essere umano in astratto non esiste, è espressione ideologica del potere. Vi sono donne e uomini che egualmente posseggono i mezzi di produzione, e dunque, alienano uomini e donne in posizione subalterni. Naturalmente la condizione subalterna maschile e femminile non è eguale, ma gli operai e gli impiegati sono precarizzati e offesi come le donne. Nel tempo attuale gli uomini non solo sono assoggettati dai possessori del capitale, ma subiscono l’umiliazione continua di una propaganda che li descrive come stupidi e molestatori.
Sputare su Hegel
La logica astratta conduce Carla Lonzi a giudicare Hegel quale pensatore maschilista e ideologo della cultura patriarcale. Destoricizza Hegel e specialmente non considera che Hegel era per la libertà delle donne nella scelta dei mariti, purtroppo se si è presi da un pregiudizio negativo si cade nella trappola dell’astratto:
“La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale[3]”.
La pensatrice si spinge a leggere la storia come l’oppressione realizzata sulla donna. Nella sua lettura gli uomini a prescindere dalla posizione che occupano all’interno del modo di produzione capitalistico sono gli aguzzini delle donne. Questi semplicismi, oggi tornati in voga, producono lotta orizzontale ed impediscono di individuare il vero nemico: le oligarchie del capitale a prescindere dal genere e dall’orientamento affettivo:
“L’oppressione della donna è il risultato di millenni: il capitalismo I’ha ereditato piuttosto che prodotto. Il sorgere della proprietà privata ha espresso uno squilibrio tra i sessi come bisogno di potere di ciascun uomo su ciascuno donna, intanto che si definivano i rapporti di potere tra gli uomini. Interpretare su basi economiche il destino che ci ha accompagnate fino a oggi significa chiamare in causa un meccanismo di cui si ignora I’ impulso motore. Noi sappiamo che caratterialmente I’essere umano orienta i suoi istinti in relazione al soddisfacimento o meno nei contatti con l’altro sesso. Al materialismo storico sfugge la chiave razionale che ha determinato il passaggio alla proprietà privata. E lì che vogliamo risalire perché venga riconosciuto l’archetipo della proprietà, il primo oggetto concetto dall’uomo: l’oggetto sessuale. La donna, rimuovendo dall’inconscio dell’uomo la sua prima preda, sblocca i nodi originari della patologia possessiva[4]”.
Il maschio è predatore, la proprietà privata trova la sua genesi nella pulsione di possesso presente nei maschi, la donna è la prima proprietà del maschio. Carla Lonzi non spiega donde sorga la pulsione di possesso, le donne sono santificate, poiché toccate da immacolata concezione, per cui non hanno tale pulsione mortifera che fa dei maschi il male del mondo. Chiunque può constatare che la logica acquisitiva è trasversale ai generi, ha la sua maligna genealogia nella “cultura crematistica” in cui siamo implicati. L’emancipazione necessita della concretezza filosofica, senza la quale il manicheismo ideologico non può che porre le condizioni per riprodurre le stesse dinamiche che si condannano. Al semplicismo ideologico bisogna opporre il pensiero complesso con il quale individuare il vero nemico degli oppressi: le oligarchie transnazionali che giocano con i popoli come fossero flussi di capitali.
[1] Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, Gammalibri Milano, 1978 pag. 13
[2] Ibidem pag. 18
[3] Ibidem pag. 20
[4] Ibidem pp. 27 28
Salvatore A. Bravo
Sono convinto che sottoporre a critica la celebre opera di Carla Lonzi, “Sputiamo su Hegel”, che per quanto mi riguarda è la pietra miliare e fondante del femminismo (comunque un testo fondamentale) necessiti un approfondimento maggiore di questo pur pregevole articolo del nostro collaboratore Salvatore A. Bravo.
Invito comunque a leggerlo perché, sia pure in modo necessariamente sintetico, ha la capacità di svelare ciò che ormai da molto tempo sostengo, e cioè la natura fondamentalmente sessista e inter-classista del femminismo. Bravo l’ha colta perfettamente e non a caso nel suo articolo ha segnalato questa celebre frase contenuta nel libro della Lonzi che riporto testualmente:” La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale”.
Tradotto: la lotta di classe è un affare privato fra maschi. Il grande oppresso dell’umanità è la donna – spiega la Lonzi – e la proprietà privata ha le sue radici nel senso di possesso degli uomini nei confronti delle donne.
Si tratta di un vero e proprio ribaltamento e nello stesso tempo disconoscimento del materialismo storico (e non solo della filosofia hegeliana, naturalmente). La radice di ogni forma di oppressione e sfruttamento – dice in altre parole la Lonzi – non è nelle condizioni sociali, economiche e culturali che storicamente si sono determinate ma nell’ontologia maschile. La storia, e quindi lo sviluppo storico, le civiltà, i diversi contesti sociali e culturali, sarebbero state costruite su questa ontologia maschile (il senso innato di possesso degli uomini nei confronti delle donne).
Naturalmente il senso di possesso da cui scaturisce o scaturirebbe la proprietà privata sarebbe esclusivo appannaggio del genere maschile, secondo la Lonzi. Salvatore Bravo non manca ovviamente di cogliere questa clamorosa interpretazione (manipolazione?) della realtà, della storia e anche della condizione ontologica degli esseri umani, uomini o donne che siano (e, aggiungo io, indipendentemente dall’orientamento sessuale).
E’ così che il colpevole, il responsabile di ogni male, di ogni bruttura e di ogni orrore accaduto nella storia e nel mondo diventa il maschio eterosessuale. Con questo suo libro Carla Lonzi getta nel macero millenni di pensiero filosofico e riscrive letteralmente la storia. Il sessismo implicito (ma in fondo anche esplicito) del suo pensiero è evidente, e trovo ancora stupefacente che tale pensiero possa aver fatto breccia anche all’interno del movimento marxista occidentale (sottolineo occidentale).
Bravo sottolinea l’approccio volutamente parziale e non universale del femminismo. Il femminismo nasce parziale e non può che restare parziale, e anche per questo si allontana definitivamente dal marxismo. Il tentativo di alcune sedicenti femministe marxiste e/o “intersezionali” di coniugare la questione di genere (concepita, ovviamente, secondo lo schema interpretativo femminista) con quella di classe, è una contraddizione in termini. Lonzi pensava che il femminismo, colpendo al cuore il senso di possesso dei maschi (cioè la condizione ontologica dei maschi, secondo la sua visione), avrebbe minato anche la proprietà privata, o meglio le condizioni che rendono possibile la proprietà privata.
Oggi il femminismo, nella sua storica e concreta determinazione è di fatto (e chi lo nega è un cieco, uno stolto oppure un ipocrita in malafede) uno dei mattoni fondamentali dell’ideologia dominante nel mondo capitalista occidentale. Credo che tutti possono verificare se e in che misura il femminismo abbia colpito al cuore il sistema capitalista eradicando la causa prima che lo avrebbe prodotto, cioè il senso di possesso dei maschi.
(Fabrizio Marchi)