Le lettere di Berlicche di Clive Staples Lewis insegnano l’azione del male, esso agisce inoculando il male ed il falso a piccole dose. Siamo abituati a pensare al male come a una presenza che si svela in atti tragici e cruenti, invece il male è piano, si insinua gradualmente nelle vite. Il male è discreto ed applica la logica dell’azione graduale. Deve distogliere l’attenzione dal bene e dalla verità in modo impercettibile, deve guidare l’attenzione verso il male, ma il soggetto non deve essere consapevole di essere l’oggetto di un’azione. Deve vivere l’incanto della prassi senza che sia tale, deve sentirsi attore e protagonista di un agire trasformativo. Il male conosce il soggetto, sa bene che la dignità del soggetto è massimamente offesa nel sentirsi oggetto, pertanto manovra e manipola, affinché il soggetto non sia consapevole di ciò, anzi gli dona l’illusione di essere il signore e padrone del proprio agire. Sottrae la libertà, ma regala l’illusione di essa, così il soggetto si lascia condurre verso il regno della derealizzazione. Siamo abituati a pensare il male come una forza distruttrice, lo è, ma solo nelle ultime fasi, si mostra in modo eclatante e radicale. Siamo impreparati dinanzi al male, in quanto non ne riconosciamo la genealogia, il suo svelarsi nei dettagli insignificanti, nei suoi tocchi leggeri che preparano la tragedia finale, quando si svela, spesso, è troppo tardi, si appartiene ad esso, in quanto l’addomesticamento delle coscienze è il suo scopo reale e finale. Il male è il dominio con la conseguente reificazione delle coscienze a cui è sottratto il concetto. Il male lo immaginiamo mediante figure ed eventi terribili, per cui ci sfugge nella quotidianità. Si radica per l’incapacità di coglierlo con il concetto, pertanto entra in ogni vita e vi si stabilisce diventando la normalità non riconosciuta. C. S. Lewis coglie il male nel suo divenire, allerta il lettore per favorire l’attenzione al dettaglio e alla gradualità crescente con cui il male si afferma ed alberga nella contemporaneità, il lavoro del male, la contro-prassi del nichilismo trova terreno fertile per il suo attecchimento, in quanto è dotato di immense forze tecnologiche a cui si deve aggiungere la crisi metafisica-ontologica. Mancano i “maestri”, coloro che testimoniano la prassi del bene, pertanto l’omologazione rafforza il male crescente. I testimoni del bene non devono essere i “grandi”, ma persone che con la semplicità irradiano la loro luce ed indicano che il bene non solo è possibile, ma specialmente senza di esso all’umanità è sottratta la sua natura e la sua capacità di pensare e razionalizzare la realtà. Berlicche insegna a Malacoda l’arte sottile dell’inganno in modo da rompere senza grandi scossoni il binomio realtà-razionalità:
“Le sole cose da farsi sono di non fargli incontrare cristiani sperimentati (compito facile oggigiorno), di guidare la sua attenzione ai brani adatti della scrittura, e poi di metterlo al lavoro nell’impresa disperata di risentire i suoi vecchi sentimenti unicamente con la forza della volontà, e il gioco è vinto. Se invece è un tipo speranzoso il tuo lavoro consisterà nel farlo star tranquillo nella bassa temperatura del suo presente stato di spirito e di assuefarlo a poco a poco, infondendo la persuasione che dopo tutto la temperatura non è poi tanto bassa. In una settimana o due gli metterai il dubbio che forse nei primi giorni della sua vita cristiana egli era un pochino eccessivo. Parlagli della “moderazione in tutto”. Se ti accadrà di condurlo al punto di pensare che “la religione, sì, va bene, ma fino a un certo punto”, potrai sentirti felicissimo nei riguardi della sua anima. Per noi 39 una religione moderata vale quanto una religione nulla – ed è più divertente, V’è anche la possibilità di un attacco diretto alla sua fede. Una volta che sarai riuscito a fargli ritenere che il periodo di depressione è permanente, perché non potrai convincerlo che la sua “fase religiosa” sta morendosene, proprio come tutte le sue altre fasi precedenti?[1]”.
Il simulacro del logos
L’obiettivo del male e far franare l’essere umano nell’irrazionale, renderlo suddito dei suoi appetiti e delle sue pulsioni. Il principio di realtà arretra dinanzi all’accecamento dei desideri. Alla fine l’essere umano non sa pensare e concettualizzare la realtà, l’irrazionalità lo spinge ad essere veicolo del male. Il risultato finale è l’irrazionale, ma avviene mediante il calcolo e la strategia. Queste ultime ammiccano alla razionalità, ma non lo sono. Sono l’esoscheletro del logos, perché non hanno fondamento veritativo e mancano di razionalità oggettiva. La razionalità del male è il simulacro dellogos, è l’ombra del logos non riconosciuta. Il male è nella confusione dei piani e dei concetti che si sovrappongono per disperdersi fino a diventare indistinguibili. Senza differenze e relazioni concettuali la realtà si contrae e si inabissa nell’ombra dell’omologazione, al punto da confondere e rendere interscambiabili il logos con il suo fondamento veritativo con la tecnocrazia nichilistica. Sono due forme differenti dello spirito, ma il male abitua ad associarle e a fondarle. In tal modo la manipolazione trionfa e il male soverchia il bene. La derealizzazione è portata al cuore di ogni esistenza con l’abitudine a calcolare e a non pensare il concetto. La derealizzazione si instaura con gradualità, è un processo che esige dosi crescenti di menzogne al fine di addomesticare il logos e di tacitarlo, alla fine la totalità è falsa, per cui la distinzione tra bene e male è ardua. L’essere umano abituato alla manipolazione, si allontana dal logos e dalla razionalità dei problemi. Scende i gradini della sua dignità, si rende e si sente sempre più simile all’animale non umano. La grande vittoria del male è nell’instillare nell’essere umano il disprezzo verso se stesso, la sfiducia verso il logos si ribalta in asservimento fanatico alla scaltrezza tecnocratica:
Tutto il suo sforzo consisterà dunque nel tener la mente dell’uomo del tutto lontana dall’argomento del suo valore. Preferisce che l’uomo si creda un grande architetto e un grande poeta, e poi se ne dimentichi, anziché egli spenda molto tempo e molta fatica nello sforzarsi di essere un architetto o un poeta da nulla. I tuoi sforzi di istillare la vanagloria o la falsa modestia nel paziente saranno attaccati da parte del Nemico con il naturale suggerimento che, di solito, non si esige che un uomo abbia un’opinione dei suoi talenti, dal momento che può benissimo continuare a migliorarli al massimo senza decidere in quale precisa nicchia del tempio della Fama si trovi. Devi fare ogni sforzo per allontanare un tale suggerimento dalla consapevolezza del paziente[1]”.
Per sconfiggere il male e la tecnocrazia non si può non fare appello all’uso pubblico della ragione-logos e della filosofia. La capacità di distinguere il valore qualitativo degli atti e dei provvedimenti governativi e personali non può che discendere dal portare la Filosofia nell’agorà, in modo che possa contribuire all’arte del discernimento e della distinzione con cui la realtà diviene razionale. Il male sembra prevalere con l’irrazionale che associa paura e tecnocrazia, la filosofia può insegnare a capire la paura per riportarla al suo senso senza permetterle di essere mezzo con cui il dominio perpetua se stesso nell’indifferenza. Berlicche è tra di noi, insegna il male e lo riproduce permeando le tecnologie con la sua logica nichilistica, la filosofia ha la forza etica per opporsi e dischiudere gli orizzonti della storia, se resta fedele alla sua ricerca del bene-verità
[1] Ibidem pp. 59 60
[1] Clive Staples Lewis, Le lettere di Berlicche, Mondadori 2009, pp. 39 40