Liturgia e menzogna
Ogni sistema democratico totalitario ha le sue liturgie, i suoi ricordi collettivi su cui costruire l’immagine di sé e del mondo. La storia stessa è ricostruita attraverso i punti nodali in cui interi popoli riconoscono la svolta storica che segna una distanza dai regimi politici precedenti e, specialmente, una svolta irreversibile che si connota per essere un salto di qualità verso un nuovo e co-procedente migliore orizzonte politico.
La liberazione di Auschwitz è per l’Occidente verità storica, ma anche mito fondativo indiscutibile. L’attenzione verso il male assoluto e la sua sconfitta con la liberazione dei campi di sterminio hanno segnato la lettura della storia occidentale, fino a farne un mito, fino a trasformarla in una narrazione indiscutibile.
L’irrazionale entra nella storia con i miti pronti a diventare “ideologia” nel senso marxiano del termine. La liberazione di Auschwitz ha reso tale evento storico incomprensibile nelle sue conseguenze e nel suo significato intrinseco. Auschwitz viene in tal modo astratto dal sistema economico e sociale e consegnato al male assoluto che ha fatto irruzione nella storia con il nazionalsocialismo. La storia diviene rassicurante, il male è stato vinto, e noi siamo i fortunati eredi della grande epopea del progresso democratico.
Se invece di aderire a tale narrazione si problematizza Auschwitz, si comprende che esso non è stato sconfitto, anzi, Auschwitz nella sua mostruosità rappresenta l’espressione più inquietante della produzione industriale. I campi erano interni alla logica dell’industria, ed hanno sperimentato la logica della produzione agli esseri umani divenuti “materia prima”. Ad Auschwitz si è sperimentato il trionfo della macchina come organismo vivente in cui le parti, esseri umani compresi nel ruolo di carnefici o di vittime, erano parti incluse nella megamacchina di produzione. Nel campo non vigeva il sadismo ma la logica della produzione, ogni essere umano era un “pezzo” da cui estrarre plusvalore altrimenti era immediatamente gassato. Auschwitz non è scomparsa ma è tra di noi, è un marchio, come ha rilevato Günther Anders, impresso nella contemporaneità e non riconosciuto. Il male continua a concretizzarsi in forme sempre più evidenti, desta “meraviglia”, poiché non è conosciuto, lo si è respinto dal presente per associarlo ai totalitarismi del passato di cui Auschwitz ne è l’archetipo massimo secondo l’interpretazione corrente.
Filosofi che inquietano
Vi sono filosofi che inquietano, disorganici ad ogni potere e narrazione, Günther Anders è il filosofo dell’inquietudine, rompe i semplicismi ideologici con annessi miti del progresso. Il campo di Auschwitz è rimasto, è simile alle idee platoniche, un modello di produzione e trasformazione delle comunità in mega macchine produttive. Il capitalismo contemporaneo ha rielaborato il sostrato razionale che ad Auschwitz è stato applicato secondo modalità estreme nel sistema attuale:
“Auschwitz ha impresso il suo marchio alla nostra epoca, e ciò che è accaduto là potrebbe ripetersi ogni giorno[1]”.
Ad Auschwitz non è stato sperimentato solo lo sterminio in serie secondo logiche industriali, ma è emersa la possibilità di coltivare esseri umani senza immaginazione ed empatia. Esseri umani normali ma dalla vitalità emotiva estremamente bassa, al limite della vita non organica.
Il progresso tecnologico per le oligarchie al potere di ogni sistema ideologico è un mezzo con cui far regredire le comunità ad immensi termitai, in cui è incluso solo chi serve la mega macchina. L’asservimento consenziente è lo scopo del capitalismo nella sua fase apicale. Servi volontari sono i “pezzi” che si adoperano per far vivere il sistema. L’ontologico è la macchina totale che emargina o annienta l’ontico non organico alla produzione e alla distruzione creativa:
“Pertanto se parlo di pericolo, non è perché fiuti qua e là totalitarismi politici, ma perché dappertutto incombe su di noi il totalitarismo tecnico, tecnico appunto, accanto al quale quello politico risulta essere un fenomeno secondario. Insomma quel che vedo è che il nostro mondo, e veramente nella sua interezza, tende verso il <<regno chiliastico della macchina>>; e che la nostra metamorfosi in pezzi di una macchina co-procede continuamente attraverso questo sviluppo[2]”.
A scuola di Hiroshima e Auschwitz
I pezzi della macchina non pensano, non sono esseri senzienti, non hanno capacità immaginativa, si limitano similmente agli animali non umani ad assolvere alle funzioni dell’ambiente lavoro. Non vi è alcuna riflessione sui fini, trionfano i mezzi, sono mezzi per un fine stabilito dalla macchina del capitale. I pezzi delle macchine non pensano, perché sono programmati dai media a parlare e ad agire secondo modalità prestabilite. L’eremita di massa è solo un orecchio in cui versare le parole del dominio, ha occhi per imprimere nella sua mente la logica del superfluo. Le rappresentazioni scientemente ordinate dal sistema divengono parole, gesti, comportamenti ed interpretazioni che confermano la menzogna del sistema macchinale. Non è necessario sterminare gli oppositori, poiché ogni casa è il luogo dove il sistema entra con le sue immagini e le sue parole preconfezionate a rieducare i potenziali oppositori.
Gli eventi più tragici della storia, Hiroshima e Nagasaki, dove si è sperimentato lo sterminio in serie, ma in tempi rapidissimi e senza scampo sono rappresentati come momenti di vittoria sul male, e non sono riconosciuti come parte della logica del male che impera e domina ed ha sperimentato un nuovo salto di qualità nella distruzione e nell’assoggettamento dei popoli. Valutare l’esperimento atomico su un paese sconfitto come una vittoria di civiltà significa educare le nuove generazioni alla normalità del male, significa abituarli alle logiche dei bombardamenti etici: se si sta dalla parte “giusta”, tutto è lecito.
I pezzi non pongono in discussione “le menzogne” del sistema, ma si inchinano ad esse come fossero verità. Praticare la menzogna e parlare di essa come verità è possibile solo se si riducono le persone a pezzi ontici per l’ontologia della produzione.
Siamo tutti figli di Eichmann, l’indifferenza organica è la tonalità emotiva della mega macchina che produce il male. L’esodo da tale condizione può iniziare con una pluralità di modi e mezzi, uno dei quali è la capacità umana di non lasciarsi completamente invadere dal potere, di resistere ai condizionamenti al punto da essere capace di comprendere che Auschwitz e Hiroshima sono il prodotto della stessa logica. Ritornare nella storia significa defenestrare la logica macchinale con i suoi apparati sociali ed istituzionali, per uscire dalla superstizione del progresso e dalla mortificazione dell’indifferenza.
La filosofia ritrova il suo senso nel mostrare l’oscurità in cui siamo. La caverna con i suoi oscuramenti non è data per sempre, essa è produttiva, è il luogo dove infinite forme di manipolazione, sempre nuove, si sperimentano. La ricerca della verità non può che incontrarsi con lo smascheramento continuo delle nuove forme di inganno. Per portarle alle luce è necessario il cammino comunitario, in quanto ogni essere umano può contribuire portando una scintilla di verità e svelando una parte delle ombre in cui siamo tutti.
[1]GüntherAnders, Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze, 2018, pag. 65
[2] Ibidem pag. 65
Buna-Werke, La Buna, l’impianto chimico della IG Farben tedesca per la produzione di gomma sintetica che sorgeva a Monowitz, accanto ad Auschwitz, dove il prigioniero Primo Levi fu costretto a lavorare dal 1943 fino alla liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa.