Ripensare
l’emancipazione delle donne con Auguste Bebel non può che esserci d’ausilio per
enucleare la causa prima del “problema”.
Nel nostro tempo a capitalismo integrale il tema manipolato del
femminismo-patriarcato è uno degli strumenti ideologici più efficienti per il controllo
e per la divisione dei popoli. La
politica della “faglia” permette al dominio di istigare alla lotta orizzontale,
in modo che il vertice resti “velato e al sicuro”. Il dominio pone in luce i
sintomi di contraddizioni reali per oscurarne le cause e dirigere le proteste
verso falsi obiettivi. Le proteste sono anch’esse artatamente sollecitate dal
sistema mediante casi di cronaca, la cui presenza sui media è ipertrofica e
compulsiva. Si spinge il popolo a diventare massa-folla da manovrare e si dà in
pasto il nemico da rieducare e omologare. Vi è sempre un “nemico” che ha la
funzione di stornare l’attenzione da un’analisi sociale e politica adeguata.
Il genere maschile è
dunque rappresentato come un essere atavico e un problema sociale che esige una
soluzione. Si occulta la causa prima di tutte le violenze: il capitalismo a
trazione integrale.
August Bebel nel suo
testo La donna e il socialismo ha
mostrato che il capitalismo sin dal suo esordio è stato connotato dalla
violenza sfruttatrice, per cui discriminazione e sfruttamento hanno in esso
l’origine. La lotta di tutti contro
tutti è la verità del capitale, pertanto uomini e donne sono presi dalle
spettrali forze del capitale e posti ai ceppi. L’alfabeto emotivo che
caratterizza il capitale è il solo interesse personale da ottenere con
menzogne, raggiri e sfruttamento. Le donne e gli uomini delle classi subalterne
sono così inclusi in un processo di violenza legalizzato. La violenza non è
causata dagli uomini ma dal capitalismo con le sue leggi ferree:
“Nella nostra vita sociale, la lotta per l’esistenza assume proporzioni
sempre più forti. La lotta di tutti contro tutti è scoppiata violenta e viene
condotta spietatamente, quasi senza badare ai mezzi. Il motto: Levati di là che
vò star io ha, in pratica, la sua attuazione nelle gomitate, nei pugni e nei
pizzicotti. Il più debole deve cedere davanti al più forte. Dove non può la
forza fisica, che qui si traduce nella forza del danaro e del possesso, si
adoperano i mezzi più raffinati e indegni, per raggiungere lo scopo. Menzogne,
raggiri, inganni, spergiuri, falsi, delitti atroci vengono commessi per
eliminare testimonianze incomode e rimuovere gli ostacoli. E come avviene in
questa lotta per la vita che ognuno affronta l’altro, così abbiamo classe
contro classe, sesso contro sesso, età contro età. Il vantaggio, l’interesse,
ecco l’unico regolatore dei sentimenti umani, davanti al quale ogni altro
riguardo deve cedere; migliaia e migliaia d’operai e d’operaie vengono lanciati
sul lastrico quando l’interesse lo esige, e quando han consumato l’ultima
camicia e l’ultimo oggetto di corredo, li aspetta la pubblica beneficienza o
l’esilio forzato[1]”.
La violenza dilaga e attraversa i generi, le età, le
generazioni e i subalterni, poiché l’egemonia del capitale impone modelli
irraggiungibili. I subalterni condizionati dalla forza dei media, che assedia
il pensiero e divide i cuori, non aspirano che ad imitare i capitalisti e le
classi limitrofe e a tal fine si lotta per la scalata sociale e si disperde
così la verità:
“La folla però aspira non solo teoricamente, ma anche in pratica a
maggiore eguaglianza, e siccome non conosce ancora nella sua ignoranza la via
che conduce alla realizzazione di queste aspirazioni, così cerca l’eguaglianza
col tentare di mettersi alla pari con quelli che sono più in alto, e col
procurarsi in qualche modo tutti i godimenti possibili. Ogni mezzo, ogni
artifizio di seduzione deve servire a coltivare ed appagare coteste tendenze, e
se ne vedono spesso le conseguenze. La soddisfazione di un impulso
perfettamente onesto, fa traviare molti trascinandoli spesso al delitto, mentre
la società cammina a modo suo, non potendo fare altrimenti senza mettere a
pericolo la sua stessa esistenza[2]”.
In nome della giustizia (borghese) la spoliazione dei beni
dei più deboli è stata la normale violenza degli ultimi secoli. Il capitalismo
negli ultimi cinque secoli ha proceduto con intensità diverse a saccheggiare materialmente
e spiritualmente uomini e donne, fino a privarli della loro umanità. Per
procedere in tal senso ha sempre individuato un nemico reale o presunto verso
cui convogliare la rabbia e nel contempo ha rafforzato la sua posizione apicale
rappresentandosi come liberatore e araldo dell’uguaglianza:
“La storia degli ultimi cinque secoli è una storia di continue rapine a
danno delle proprietà pubbliche e private, rapine commesse nei vecchi Stati
civili dell’Europa dalla nobiltà, e nell’Europa meridionale anche dalla Chiesa.
Quando la rivoluzione francese espropriò i beni della nobiltà e della Chiesa,
lo fece “in nome del bene generale” e sette milioni di piccole proprietà, che
rappresentano la forza della Francia borghese dei tempi nostri, devono a codesta
espropriazione la loro esistenza. In nome del “bene generale” la Spagna strappò
più volte i beni della Chiesa, e l’Italia li confiscò intieramente, applaudite
dai difensori più zelanti della “sacra proprietà[3]”.
Lo sfruttamento non è solo l’uso dei corpi degli uomini e
delle donne per la spremitura del plusvalore, esso penetra nella vita privata e
riduce le famiglie a magre aziende, in cui il calcolo delle entrate e delle
uscite diventa una ossessione. Il pericolo della miseria sempre alle porte
inocula nella famiglia la lotta per l’ultimo risparmio e riempie di livore i
suoi membri sempre insoddisfatti del bilancio famigliare. Si lavora e si è
poveri:
“Il focolare è il luogo dove si trascinano i magri bilanci fra
l’entrata e l’uscita, e dove si fanno le riflessioni più scoraggianti sul
rincaro dei mezzi di sussistenza e sulla sempre maggiore difficoltà di
procurarsi il denaro necessario. Sull’altare fiammeggiante ove fuma la
zuppiera, vengono sacrificate gioventù e ingenuità, bellezza e buonumore, e chi
riconosce nella cuoca vecchia, incurvata e dalle occhiaie incavate, la sposa
una volta fiorente, spiritosa, pudicamente civettuola, seducente, adorna la
fronte della corona di mirto! Già agli antichi era sacro il focolare, e vicino
ad esso venivano posti i lari e i numi tutelari – lasciate che anche noi
manteniamo sacro il focolare sul quale le nostre donne virtuose e fidate
muoiono di lenta morte per rendere piacevole la casa, per imbandire la mensa e
conservare sana la famiglia…”[4].
Le crisi di sovrapproduzione spingono gli uomini alla miseria
e le donne alla prostituzione. Bisogna vendersi per sopravvivere, la legge del
mercato penetra nella psiche e nel corpo. Le donne private di tutto dal
capitale non possono competere con la meccanizzazione della produzione e ciò
equivale anche per gli uomini. I sibalterni divegono supeflui, in questo clima
di violenza le vite si consumano tra degrado e brutture:
“Lo scoppio delle crisi economiche determinano di dieci in dieci anni
un notevole aumento delle prostitute in tutte le grandi città e nei centri
manifatturieri. La concentrazione dell’industria, cioè lo sviluppo e il
miglioramento della meccanica, rende sempre più acuta la tendenza della
produzione capitalistica a far senza dei lavoratori adulti, e di occupare in
loro vece dei ragazzi e ragazze. Così nel 1861 in Inghilterra, per non citare
che un esempio, nelle industrie disciplinate dal bill sulle fabbriche, il
numero delle donne impiegatevi era di 308.278 contro 467.261 maschi. Ma nel
1868, in cui il numero complessivo dei lavoratori di queste industrie era
salito a 857.964, quello delle donne raggiunse la cifra di 525.154 contro
332.810 maschi soltanto. Le “braccia” femminili erano dunque aumentate in sette
anni del numero enorme di 216.881; quello dei maschi era scemato di 134.551[5]”.
Per riappropriarci della verità storica, come la mosca chiusa
nella bottiglia di L. Wittgenstein, dobbiamo trovare il percorso per uscire dall’oscurantismo del nostro tempo. Le categorie del
pensiero marxiano e marxiste non sono il “cane morto” della storia del
pensiero, ma esse sono strumenti da usare per decodificare il nostro presente.
Il loro oblio è la dimostrazione che il dominio li teme. Alla cultura
dell’astratto dobbiamo contrappore la forza dialettica della tradizione
socialista e comunista con la quale sottrarci ai processi di omologazione. La
chiarezza dei problemi nella loro materialità storica è l’incipit per l’emancipazione dal grande inganno.
[1]
August Bebel, La donna e il socialismo, Testi del marxismo rivoluzionario II, www.pcint.org
– ilcomunista@pcint.org
[2]
Ibidem pag. 104
[3]
Ibidem pag. 113
[4]
Ibidem pag. 55
[5] Ibidem pag. 72