Ana Pauker, una comunista rumena

Ana Pauker fu fra i massimi dirigenti del partito comunista rumeno della fase di instaurazione e di consolidamento del socialismo, dopo la seconda guerra mondiale. Comunemente considerata una stalinista di stretta osservanza, fu una figura molto complessa, e per certi versi anche tragica, nel suo tentativo di mettere insieme disciplina di partito e convinzioni personali, vita ed affetti personali e militanza politica, in una fase sanguinaria e tragica della storia del suo Paese.

Nasce come Hannah Rabinsohn, il 28 dicembre 1893, a Codaesti, un villaggio della Moldavia, nel giovane Stato rumeno da poco liberato dal dominio ottomano, e governato da Carlo I. Un piccolo e giovane Stato diviso fra i suoi cascami feudali nelle campagne, ed una borghesia urbana che guardava alla Francia come modello. La famiglia di origine era molto povera, una famiglia di mercanti, ebrei ortodossi, il nonno era un rabbino, il padre un haham, cioè un saggio conoscitore della Torah. Cresce in una famiglia numerosa, quattro fratelli, due altri morti alla nascita. La famiglia si sposta presto a Bucarest, alla ricerca di condizioni di vita migliori.

Per aiutare la famiglia, inizia a insegnare in una scuola elementare ebraica a Bucarest, e nel 1915, influenzata da un collega, entra nel partito socialdemocratico rumeno, rompendo con la tradizione familiare, proseguita dal fratello Zalman, che invece diventa sionista. Il Paese è al disastro, l’ingresso nella prima guerra mondiale, fortemente avversato dalle classi popolari, si è risolto in una cocente sconfitta e nell’occupazione di due terzi del Paese da parte degli Eserciti delle potenze centrali, nonché nell’imposizione, nella parte libera del Paese, di un premier filo-tedesco. Il partito socialdemocratico rumeno è convintamente non interventista e guidato da un marxista, Christian Rakovsky. Con la Rivoluzione russa di ottobre, radicalizza le sue posizioni, allineandosi in maggioranza con i bolscevichi, e viene messo fuori legge, e sottoposto a dure repressioni, da parte del Governo della Romania libera. La giovane militante Hannah è costretta a fuggire, e si reca a Ginevra, dove inizia a studiare medicina, senza però completare gli studi.

Lì, a Ginevra, farà la conoscenza della vita: un giovane rumeno ebreo, come lei, anche lui esiliato politico, Marcel Pauker, studente di ingegneria ed esperto di Esperanto, reduce di guerra. Inizierà un rapporto con lui, ed in breve si sposerà. Sotto la spinta di Marcel, convinto marxista, viene reclutata come agente della Ceka. Nel 1922, subirà un primo arresto in Svizzera, con l’accusa di spionaggio. Dopo ulteriori arresti nel 1923 e 1924 i giovani sposini scappano dalla Svizzera, prima a Berlino, poi a Parigi e Vienna. Nel frattempo, Marcel entra nel Comitato Centrale del nascituro partito comunista rumeno, e torna nella madrepatria, lasciando a Berlino la giovane moglie. Arrestato quasi immediatamente, riuscirà ad evadere nel 1925 e fuggire a Mosca.

Nel 1928, arriva la promozione: anche grazie ai buoni uffici del marito, Ana viene chiamata a Mosca, per ricongiungersi con Marcel ed entrare nella scuola internazionale Lenin del Comintern, struttura deputata alla formazione dei quadri dei partiti comunisti nazionali, e diventa molto amica di Dimitry Manuilsky, il leader del Pcus nell’Ucraina.

Sotto la tutela dell’influente Manuilsky, si reca in Francia nel 1930, con l’incarico di fare da istruttore per conto del Comintern dei comunisti locali. Tale promozione serve per lenire il dolore di una ennesima separazione da Marcel che, tornato in Romania clandestinamente nel 1929, era nuovamente stato arrestato, dopo aver operato come agitatore durante il tragico sciopero dei minatori di carbone della valle del Jiu, costato decine di morti durante la successiva repressione militare (sciopero in verità gestito politicamente dal più moderato partito nazionale contadino, ma radicalizzato grazie all’operato degli agitatori comunisti).

Nel 1930, Marcel inizia la sua traiettoria declinante. Si rende protagonista di un duro scontro politico con Vitaly Holostenco, il fiduciario di Stalin nel partito comunista rumeno, nel tentativo di scavalcarlo nella nomina a segretario generale del partito comunista rumeno al Congresso di Kharkiv. Richiamato immediatamente a Mosca, Marcel viene duramente rimproverato dal Comintern, ed assegnato ad un ruolo minore: spedito in Siberia come ingegnere, a coordinare la realizzazione di un nuovo complesso industriale a Magnitogorsk, e bandito momentaneamente da ogni attività politica.

Mentre il marito ha le sue difficoltà a Mosca, Ana inizia a fare carriera; nel 1930, viene nominata segretaria nel Segretariato Latino del Comintern, supervisionando i partiti comunisti di Italia, Francia, Spagna e Portogallo, nel biennio 1930-1932 è in Francia come istruttrice politica del Comintern, nel 1934 torna in Romania, con l’incarico di primo segretario del Comitato Centrale del partito comunista rumeno, con lo pseudonimo di “Maria Grigoras”, e lì viene nuovamente arrestata nel 1935, e condannata a dieci anni di carcere, proprio mentre Marcel, riabilitato dopo il periodo siberiano, viene nominato componente della segreteria generale del partito comunista di Romania, anche se vive in esilio a Praga, per non essere arrestato. Ana si farà sei anni di carcere durissimo, con tanto di lavori forzati, e verrà liberata solo nel 1941, grazie ad uno scambio con Ion Codreanu, detenuto in Unione Sovietica, e, in quanto membro del Parlamento della Bessarabia nel frattempo occupata dai sovietici, gradito ai nuovi padroni del Paese: il “conducator” Ion Antonescu, supportato dall’esercito e dal partito fascista della Guardia di Ferro, impegnati in una politica di riconquista delle regioni della Grande Romania invase dall’Armata Rossa.

Liberata e nuovamente a Mosca, Ana viene incaricata di fare l’istruttrice politica nell’ambito del Comintern, e di condurre la redazione della radio “Romania Libera”. Dovrà però sopportare il dolore della scomparsa del marito Marcel, caduto definitivamente in disgrazia durante le grandi purghe staliniste. Ana ammetterà, anni dopo, il grande dolore di non averlo potuto aiutare, perché nel frattempo era carcerata in Romania. Arrestato dall’Nkvd a marzo 1937, con l’accusa di trotzkismo, Marcel viene detenuto nel famigerato carcere della Taganka, dove verrà sottoposto ad un primo interrogatorio solo un anno dopo. Per diversi anni, vi fu il sospetto che Ana, nel frattempo detenuta in Romania, avesse supportato le accuse al marito, in cambio di un interessamento politico sovietico per essere rilasciata. Ma le ricerche condotte negli archivi del Comintern da Levy (2001) la scagionano da questa infamante accusa: avvicinata da agenti sovietici nel carcere, più volte rifiuterà con decisione di avallare le accuse di trotzkismo rivolte al marito. Nonostante la fedeltà di Ana, Marcel verrà condannato a morte in un processo farsa e fucilato ad agosto 1938. Tutto ciò sarà reso ancor più lacerante dal segreto che avvolgeva la sorte di Marcel: per lunghi anni, Ana confidò ai suoi parenti ed amici la sua speranza segreta, ovvero che Marcel fosse stato inviato in un gulag, e che magari ne potesse uscire vivo, a fine condanna. Soltanto nell’ottobre del 1959, a pochi mesi dalla morte, Ana saprà la verità ufficiale sulla sorte del marito.

In questa tempestosa relazione fatta di politica prima che di vita familiare, e di lunghi periodi di lontananza, Marcel e Ana metteranno alla luce tre figli, Tanio, nato nel 1921, nato nel periodo svizzero,  morto ad appena un anno, mentre Ana era agli arresti, Vlad, nato nel 1926 ed ancora vivente, nato a Parigi, e Tatiana, nata nel 1928 a Mosca, e deceduta nel 2011. Marcel, anche a causa dei lunghi periodi di lontananza, non fu un marito sempre fedele: nel 1931, dalla relazione con Roza Elbert, darà i natali a Yakov a Mosca, mentre Ana è impegnata politicamente in Romania.  Marcel ha avuto anche almeno altre due relazioni. E anche Ana lo ripagherà di conseguenza: nel 1932, in Francia, ha una relazione con il militante comunista slovacco Eugen Fried, incaricato dal Comintern di supervisionare il partito comunista francese. Da questa relazione nasce la sua quarta figlia, Masha. Possiamo largamente perdonare ad Ana questa scappatella, sia perché Marcel non era da meno, sia perché, come tutti dicevano, Fried era un uomo particolarmente affascinante. Inoltre, nel 1951, Ana deciderà di adottare un quinto figlio, Alexandru, un orfano di cinque anni incontrato nell’orfanatrofio di Sibiu.

Nonostante la caduta in disgrazia del marito, Ana, tornata nella Mosca minacciata dalla avanzata  della Wehrmacht, intraprende una irresistibile ascesa politica. Grazie alle sue amicizie con dirigenti del Pcus come il citato Manuilsky, ed a una reputazione di carattere di acciaio che piace a Stalin, nel 1943 viene nominata istruttore politico della Divisione Tudor Vladimirescu, composta da combattenti rumeni che devono aiutare l’Armata Rossa, e nel 1944 diviene membro del Comitato Provvisorio del partito comunista rumeno. Da quella posizione, diviene di fatto la leader di una delle tre fazioni in cui si dividerà il partito comunista rumeno, ovvero quella dei “moscoviti”, che ha come altri esponenti di spicco personaggi come Vasile Luca, che si confronterà con quella dei “prigionieri”, composta cioè da esponenti che durante la guerra si trovano in carcere nella madrepatria (il cui leader è Gheorghiu-Dej) e con quella del “segretariato” (capeggiata da Patrascanu). Rientra in Romania nel 1944, seguendo l’avanzata dell’Armata Rossa, diventando di fatto la segretaria-ombra del partito comunista, un partito che anni di repressione e clandestinità hanno ridotto a poche migliaia di iscritti, con pochissima presa sulle classi popolari.

Con l’occupazione militare sovietica del Paese, e con il riconoscimento, fatto a Yalta, della Romania come area di interesse sovietico, i tentativi di Re Michele di ripristinare il precedente regime monarchico e liberale saranno vanificati rapidamente. Il Governo-fantoccio guidato dal Generale Radescu, vicino all’estrema destra nazionalista rumena, durerà meno di tre mesi: a febbraio 1945, una manifestazione di massa organizzata dai comunisti per chiedere le sue dimissioni finirà in un bagno di sangue. Vishinsky, che per conto di Stalin si occupa della Romania, ne chiede le immediate dimissioni, ritenendolo responsabile del massacro, minacciando, in caso contrario, di non restituire alla Romania la Transilvania settentrionale. Con le dimissioni di Radescu, a marzo 1945, la Pauker firma con gli altri leader comunisti delle due altre fazioni un patto di non belligeranza, finalizzato alla conquista del potere. Stante la modesta rappresentatività politica dei comunisti, la Pauker è la principale artefice della costruzione di un fronte popolare, che includerà anche il ben più rappresentativo partito dei braccianti guidato da Petru Groza, ed altre formazioni politiche minori comunque controllate da Mosca. Scegliendo abilmente di restare temporaneamente dietro le quinte, per non spaventare Re Michele, la Pauker gli presenta un apparente compromesso: un governo di larga coalizione, che includa anche i partiti di centro destra, come il partito contadino o il partito nazionale, ma che sia guidato da Groza, stretto alleato di Mosca, sebbene non iscritto al partito comunista, e che veda i comunisti nei Ministeri-chiave (in particolare, agli Interni ed alla Giustizia). Michele, con l’Armata Rossa sotto il suo palazzo, non può far altro che accettare.

Il governo-Groza sarà quindi nominato nel marzo del 1945, e sarà il gabinetto che porterà la Romania verso la Repubblica Popolare. Groza, dietro indicazioni moscovite che filtrano dalla Pauker, inizia immediatamente una epurazione nelle Forze Armate e nella Pubblica Amministrazione di elementi, a torto ed a ragione reputati vicini al precedente Governo fascista-nazionalista di Antonescu, fa chiudere di autorità decine di giornali e riviste considerati vicini al vecchio regime, mentre Patrascanu, Ministro della Giustizia, riscrive in senso chiaramente repressivo il codice penale e mette in piedi i tribunali popolari responsabili per la condanna a morte di centinaia di persone accusate di aver partecipato al regime di Antonescu, o di essere legate alla Guardia di Ferro, o semplicemente di essere dei sabotatori. Sul versante sociale, il Governo Groza avvia la riforma agraria che getta le basi per la successiva collettivizzazione, espropriando qualsiasi proprietà superiore ai 50 ettari, o anche qualsiasi proprietà di dimensione inferiore posseduta da “aristocratici”, “membri del precedente governo Antonescu”, “traditori della Patria”, “criminali di guerra”, cioè in pratica tutti coloro che sono sospettati di avversione per i comunisti, e colpendo in modo particolarmente duro la minoranza tedesca e le proprietà della Chiesa luterana, accusata di essere alleata con la Germania di Hitler. Viceversa, per preservare un minimo di compromesso con Re Michele, le proprietà della Chiesa ortodossa vengono rispettate. Viene inoltre introdotto il suffragio universale femminile. Il confronto con Re Michele si fa sempre più duro: quando Groza gli porta la legge di riforma agraria per la promulgazione, Michele gli chiede di dimettersi. Al suo rifiuto, il Re si rifiuta di promulgare qualsiasi disegno di legge dell’esecutivo. Al che, molto semplicemente, Groza decide di promulgarsi le leggi da solo, in spregio alla Costituzione. A Novembre, una manifestazione anti comunista, organizzata anche dai partiti che formalmente fanno parte del Governo, ma di fatto sono esautorati, viene soffocata nel sangue dall’Armata Rossa.

In questo clima, e sempre con il controllo militare sovietico, a Novembre 1946 vengono organizzate delle elezioni largamente truccate e influenzate da numerosi episodi di intimidazione, che formalmente assegnano al blocco guidato da Groza l’84% dei suffragi.  A quel punto, scatta la seconda fase della trasformazione del Paese: i partiti tradizionali, come quello contadino, vengono messi fuori legge, con l’accusa di essere al servizio della CIA, il partito socialdemocratico viene costretto a fondersi con quello comunista, che assume il nome di partito dei lavoratori rumeni, l’opera di repressione politica viene intensificata (lo stesso Antonescu viene giustiziato nel 1946) e il 30 Dicembre 1947 Groza e Gheorgiu-Dej si presentano, muniti di pistola, nel palazzo del Re, costringendolo a firmare l’abdicazione. Poche ore dopo, il Parlamento rumeno proclama la fine della monarchia costituzionale e la nascita della Repubblica popolare, processo che culminerà con la promulgazione della nuova Costituzione del 13 Aprile 1948, largamente copiata da quella sovietica.

In questa fase così convulsa, violenta e tragica, la Pauker giocherà un ruolo chiaramente moderatore, mettendosi contro Stalin e pezzi del proprio partito. Deputata in Parlamento sin dal 1946, nel novembre 1947 entra nel Governo, assumendo la carica di Ministro degli Esteri, sostituendo l’esponente moderato Tatarescu, per poi divenire vicepresidente del Consiglio dei Ministri, e rafforzando quindi la presenza dei comunisti nei ruoli-chiave. Dal 1945, inoltre, fa parte del segretariato generale del Comitato Centrale, l’organo apicale del partito, composto solo da quattro persone. Da questa posizione di forza, nel Governo e dentro il partito (nel 1948 , il Times le dedica la copertina, definendola la “donna più potente del mondo”) cerca di pilotare la transizione al socialismo nel modo meno cruento possibile. Insieme al suo sodale, il Ministro dell’Interno Georgescu, nel 1946 fa rilasciare fra i duemila ed i tremila prigionieri politici, offrendo una amnistia a tutti i membri della Guardia di Ferro che non avessero commesso crimini particolari. Cercherà anche di offrire una più ampia base di alleanza ai partiti moderati (al partito contadino ed a quello nazional-liberale) contrastando con l’indicazione moscovita di restringere la coalizione alle fazioni scissioniste, e più vicine ai comunisti, di tali partiti. Intercederà esplicitamente per ridurre la pena inflitta ai leader dei partiti di centro destra Corneliu Coposu, Ghita Pop e Iuliu Maniu. Cercherà di allargare la base sociale del partito dei lavoratori, concedendo la tessera, senza alcuna verifica preliminare, a qualcosa come 500.000 persone, alcune delle quali ex appartenenti alla Guardia di Ferro. Nel 1948, si opporrà fieramente all’ordine diramato dal Cremlino di verificare ed epurare questi nuovi aderenti al partito. Nel 1949, avanzando ragioni di interesse economico nazionale, ma in realtà per evitare di creare enormi campi di lavoro forzato per oppositori politici, si oppone al progetto di canale fra Danubio e Mar Nero deciso personalmente da Stalin, e che effettivamente fu realizzato da migliaia di prigionieri politici, molti dei quali morirono durante la sua realizzazione. Protegge attivamente centinaia di reduci rumeni della guerra civile spagnola, che sono accusati da Stalin di titoismo, e, quando il Ministro della Giustizia, e suo avversario nel partito, Lucretiu Patrascanu, cade in disgrazia, tenta invano di salvargli la vita, fino ad essere accusata dal supervisore sovietico della Securitate di aver sabotato e dilazionato l’indagine contro Patrascanu stesso. Infine, sfiderà la politica stalinista di frontiere chiuse facilitando l’emigrazione verso Israele di circa 100.000 ebrei rumeni, nel pieno della campagna anti-sionista di Stalin.

Quando nell’estate del 1950, contraddicendo i propositi redistributivi della proprietà agraria contenuti nella riforma del 1945, inizia la fase di collettivizzazione forzata delle campagne, si opporrà fermamente, sostenendo che tale politica non fosse in linea con il socialismo. In effetti, la collettivizzazione era invisa persino dai contadini più poveri, che con la riforma agraria di qualche anno prima avevano avuto accesso, perlopiù a pagamento e quindi dando fondo ai risparmi, all’agognata proprietà della terra. La riforma fu accompagnata infatti dalle baionette dell’Esercito e della Securitate, e circa 50.000 contadini furono arrestati e condannati a lunghe pene detentive per essersi opposti. Senza contare i numerosi casi riportati di omicidi di capi-villaggio che cercavano di organizzare la resistenza.  La Pauker riuscì, di fatto, a bloccare il processo per tutto il 1951, autorizzando i contadini espropriati di tornare alla loro proprietà originaria.

La visione della Pauker era completamente diversa da quella ufficiale dello stalinismo: mentre la propaganda stalinista dipingeva la classe contadina rumena come l’equivalente dei “kulak” russi, commettendo peraltro un errore sociologico evidente, nella misura in cui nei villaggi rurali rumeni la gerarchia sociale era molto più accettata di quanto non fosse nella Russia zarista, la Pauker tentò testardamente, lungo tutto il suo periodo di potere, di includere in modo concordato la classe sociale dei piccoli e medi proprietari agricoli dentro la base di consenso del partito, sia mostrando aperture politiche nei confronti degli esponenti del partito contadino (che rappresentavano la piccola e media proprietà rurale) sia autorizzando un aumento dei prezzi delle derrate agricole, sia, infine, contrastando la collettivizzazione. Questa sua politica di inclusione della piccola proprietà agricola nella base sociale del comunismo, se era per molti versi coerente con la visione marxista di sottomissione di elementi della piccola borghesia e della classe contadina ai processi innescati dal proletariato ai fini della transizione socialista, era però fieramente in contrasto con Stalin”, che nel 1951, esasperato, dichiarò che la Pauker aveva oramai deviato verso una politica non marxista. Quanto le dovesse pesare una accusa simile lo si può dedurre dalle sue stesse parole. Disse infatti che “se un funzionario sovietico mi dice una cosa, quella per me è il Vangelo…se mi dicessero di buttarmi nel fuoco, lo farei”.

E’ probabile che questa politica favorevole alla piccola proprietà contadina fosse un modo per rafforzare il potere della Pauker nella lotta sempre più feroce che, con la fine di Patrascanu, opponeva la fazione moscovita da lei comandata, a quella “carceraria”, guidata dall’ambizioso Gheorghiu-Dej. Ma si alienò le simpatie di Stalin, annullando il suo vantaggio iniziale sull’avversario (essendo stata formata politicamente a Mosca, a differenza di Gheorghiu-Dej, era, inizialmente ed in linea di principio, considerata più affidabile da Stalin). Nell’agosto del 1951, Gheorghiu-Dej va a Mosca esclusivamente per convincere Stalin dell’esigenza di epurare dal partito la Pauker e i suoi alleati (Luca e Georgescu). Tale richiesta si associò all’esigenza avvertita da Stalin di “ripulire” i vertici del partito dei lavoratori, e così nel Maggio 1952 i tre vengono espulsi. La Pauker, in particolare, nel contesto della crescente campagna antisionista di Stalin, viene accusata di essere un agente di Israele, utilizzando la sua origine ebraica per rafforzare le accuse. Viene quindi prima esclusa da ogni carica di Governo e di partito e, a Febbraio 1953, arrestata e sottoposta a duri interrogatori. Rientra così in carcere a 60 anni, 12 anni dopo il suo ultimo arresto. La morte di Stalin nel mese successivo le salva, con ogni probabilità, la vita. Il cauto Gheorghiu-Dej, sospettando che il successore a Stalin potesse avere una linea diversa, per evitare errori la fa scarcerare e la mette agli arresti domiciliari.

Dopo il celebre Ventesimo Congresso del Pcus del 1956, Gheorghiu-Dej inizia a temere che Krusciov possa, nell’ambito della sua politica di destalinizzazione, riabilitare la Pauker, rimettendola al potere. Di conseguenza, forma una Commissione di alti dirigenti del partito, fra i quali il sinistro capo della Securitate, Alexandru Draghici, nel tentativo di farle confessare alcune accuse, diciamo piuttosto fantasiose (fra le quali l’accusa di “cosmopolitismo”). Ma il carattere di acciaio di Ana non si è affatto piegato. Respinge ogni accusa, e chiede di essere riabilitata e reimmessa nel partito. Ma Gheorghiu-Dej le scarica addosso tutti i crimini politici commessi, durante gli anni 1947-1952, principalmente da lui e dalla sua componente politica. Non riesce però nell’intento di farla condannare, ed è costretto a rilasciarla. Ana viene messa in pensione, con una indennità miserabile rispetto ai ruoli di potere ricoperti, e per arrotondare le viene concesso di lavorare come traduttrice dal francese e dal tedesco presso la casa editrice statale Editura Politica. Nella primavera del 1959, le viene diagnosticato un cancro terminale. Morirà il 3 Giugno 1960 per arresto cardiaco, divorata dal tumore, a 67 anni, senza nemmeno una menzione d’onore da parte della stampa. Verrà riabilitata solo nel 1965 da un Ceausescu ansioso di sottolineare le malefatte del suo predecessore, Gheorghiu-Dej.

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