Riceviamo e volenteiri pubblichiamo:
ORDINE DEL GIORNO
In occasione di questo primo, agognato congresso di Risorgimento Socialista ci è sembrato doveroso redigere un contributo che, per essere funzionale al dibattito assembleare, non può non sfiorare le due questioni al momento cruciali: quella politica e quella organizzativa.
Iniziamo ovviamente dalla prima. La decisione, presa “al volo” un anno e mezzo fa, di aderire a Potere al Popolo è stata per noi una scelta obbligata, dettata dall’emergenza, ma non grettamente opportunistica – e lo scorrere del tempo le sta rendendo giustizia. Malgrado la batosta rimediata il 4 marzo 2018, del resto propiziata dall’oscuramento mediatico, e l’assenza della lista alle elezioni europee di maggio PaP si sta rivelando un soggetto politico dinamico e abbastanza promettente: un caso più unico che raro nel panorama asfittico della sinistra (pseudo)antagonista italiana dove – Partito Comunista di Marco Rizzo ed alleanza “sovranista” in gestazione a parte – si seguita a recitare un copione datato che pochi contatti ha oramai con l’attualità e le esigenze di quello che dovrebbe essere l’elettorato di riferimento. L’abbandono del progetto da parte di forze come il PRC, capaci di rinnegare il sistema liberalcapitalista solamente a (vane) parole, costituisce in fondo un elemento positivo, poiché lo affranca da pastoie che, a breve-medio termine, lo avrebbero reso l’ennesimo, autoreferenziale aborto politico. Il fatto che i media sistemici stigmatizzino con PaP l’emergere di un “populismo di sinistra” significa che molte questioni sono state poste nella maniera corretta: alludo alla posizione nei confronti della moneta unica e dell’Unione Europea, riconosciuta come irriformabile perché creata per fare ciò che sta puntualmente facendo, ma più in generale alle proposte in materia economica e sociale, che si discostano nettamente dai format di marca neoliberista adottati senza manco adattamenti di facciata da movimenti che, pur richiamandosi a una gloriosa tradizione, l’hanno svuotata e capovolta nella pratica di governo (e persino di opposizione: si pensi alle squallide intemerate da destra contro il c.d. Decreto Dignità e il DDL Spazzacorrotti). Sotto altro profilo la difesa intransigente dell’indipendenza venezuelana rispetto alle mire statunitensi ha approfondito il solco che ci separa da una pseudo-sinistra delle “belle parole” che celano, in verità, prona acquiescenza all’ordine liberalcapitalista.
Una parte non minimale del merito di questa evoluzione va ascritta a Risorgimento Socialista, attivo anche all’interno della piattaforma Eurostop: per quanto indiscutibilmente “piccoli” ci siamo dimostrati in grado – e compagni come Stefano Fassina l’hanno più volte riconosciuto – di sviluppare utili riflessioni fuori schema, fra le quali va annoverata quella contenuta nel documento dell’estate scorsa, che hanno dato linfa al dibattito interno a PaP. Detto questo, tocca aggiungere che, nonostante i progressi fatti, anche Potere al Popolo non è immune da quel dogmatismo che, in misura ben maggiore, permea le formazioni politiche della c.d. sinistra radicale (e forse l’aggettivo non le è stato appioppato impropriamente…). Le pecche sono evidenti, e si riflettono in primis nella fallacia di analisi su fascismo e antifascismo datate e “di maniera”, e in quanto tali inidonee a cogliere e valutare le trasformazioni in atto da tempo. Intendiamoci: è senz’altro necessario fare riferimento al passato, visto che un dovere in tal senso ci deriva dalla XII norma transitoria e finale della Costituzione e, prima ancora, dalla nostra Storia, ma tutt’altra cosa è fossilizzarsi sul passato medesimo – come sta facendo ad esempio il PRC – lanciando vibranti anatemi che denotano, in fondo, mancanza di ambizione e coraggio politici. Perché mantenga una sua vitalità la narrazione antifascista va, al contrario, aggiornata al presente: tocca proporre modifiche alle normative esistenti e, sulla base dei fatti, formulare una denuncia concreta, dettagliata e incisiva nei confronti del potere capitalistico, evidenziando l’importanza della rappresentanza democratica come antidoto al predominio lobbistico e/o finanziario e ponendo altresì l’accento sul controllo delle imposte e del loro utilizzo (Fisco), sulla redistribuzione della produzione e della ricchezza accumulata, sulla contrattazione e sui diritti del Lavoro e sulla partecipazione popolare alla gestione amministrativa nazionale e locale, senza peraltro dimenticare l’esigenza di democratizzazione delle forze dell’ordine (Genova 2001, ma non solo). Su questa direttrice va enfatizzato il ruolo dell’antifascismo militante in contrapposizione ad un totalitarismo capitalista che alla destra nazionalista e autoritaria e a certe sue pulsioni novecentesche si affida come ad utili strumenti.
Assistiamo infatti anche in Europa (ma soprattutto altrove!) a fenomeni inquietanti, che ci devono tuttavia apparire come la conseguenza delle modalità con cui, a livello continentale, il potere viene spietatamente gestito: l’impoverimento senza fine dei ceti subalterni e la repressione del dissenso con strumenti mediatici e giuridici ma, all’occorrenza, anche coercitivi (certe immagini della protesta francese si sono impresse nella memoria di tutti noi, ma neppure certe nostrane insofferenze verso blande forme di contestazione vanno sottovalutate) generano rabbia e rifiuto diffusi, che si traducono nel sostegno disperato a leader che, per ambizioso calcolo politico, vendono al pubblico scorciatoie che, sebbene scivolose e accidentate, conducono invariabilmente alla stessa meta prefissata dal sistema. L’eredità antifascista va oggi spesa nella lotta contro il regime totalitario neoliberista, unico responsabile del proliferare di populismi di destra ben rappresentati da entità come Casa Pound e Altaforte che “meritano” la nostra attenzione non per la modesta consistenza elettorale o l’altrettanto modesto fatturato, ma in relazione al loro progetto Culturale e di proposta Sociale (Patria, Famiglia e Dio con tutto quello che ne consegue) assolutamente funzionale, al di là delle apparenze, alle esigenze di un sistema che prospera soffiando sul fuoco delle contrapposizioni fra i subalterni all’insegna del “divide et impera”. Anche la questione “razzismo” viene posta ed affrontata in maniera censurabile: si eleva la parte più appariscente (gruppuscoli e frange organizzate) a “tutto” e, così facendo, si finisce per condannare senza appello una maggioranza che nel “diverso” vede (e teme!) non già un inferiore, bensì un concorrente al ribasso e, insieme, un possibile perturbatore del residuo di vita sociale, mentre rimane in sottofondo la causa che produce questo rigetto verso lo straniero, ovvero la scelta compiuta sia dal centro-destra che dal centro-sinistra (entrambi intrisi di liberismo) di abbracciare, accodandosi convintamente a “chi comanda”, gli interessi classisti di un capitale che vede nel cittadino e nel migrante nient’altro che risorse da spremere.
Questo ci porta alla tematica dolente dell’immigrazione: va indicata una terza via tra il peloso solidarismo a buon mercato di chi si augura per il 2019 l’approdo di un milione di migranti e le roboanti dichiarazioni leghiste in merito ai rimpatri e ai porti “chiusi” – ed essa passa attraverso l’attuazione dei contenuti dell’articolo 10 della Costituzione tramite interventi legislativi mirati che, bandite le opposte e speculari propagande, forniscano risposte realistiche ad un’emergenza che si è trasformata in una situazione strutturata per effetto delle perduranti politiche predatorie del capitalismo occidentale globalizzato e guerrafondaio, e richiede perciò modalità di intervento diverse da quelle sino ad oggi previste: ad esempio, un controllo dei flussi attraverso ingressi coordinati e protetti con contestuale superamento della Legge Bossi-Fini.
L’elenco dei temi caldi – e perciò da “raffreddare” ricorrendo al raziocinio – non termina ovviamente qui: nato per affermare sacrosanti diritti, il femminismo ha assunto negli ultimi tempi una veste caricaturale, a tratti sinistra, e più che a promuovere l’emancipazione delle donne il movimento fattosi dogma sembra oggidì proteso alla colpevolizzazione dell’uomo e in via indiretta, ma col beneplacito del capitale, ad accentuare il processo di disgregazione della società e quella solitudine esistenziale che rende gli appartenenti ai ceti subalterni – maschi o femmine che siano – sempre più indifesi e manipolabili. La parità tra i sessi non si persegue attraverso l’imposizione di un vocabolario “al femminile” (tutte e tutti, La Presidente ecc. ecc.) o per il tramite di campagne elitarie, bensì mediante un’apertura ai temi che vengono posti dalle Donne sul versante culturale superando l’aspetto fisico/oggettivo e dando attuazione, ancora una volta, alla Carta Costituzionale, il cui articolo 3 dà un senso concreto al termine “uguaglianza”.
In ogni caso, per poter realizzare l’ambizioso programma proposto da Risorgimento a PaP nel documento del luglio 2018[1] è indispensabile liberarsi di riflessi pavloviani e apriorismi: “unire la sinistra di classe e quella sovranista”, nostro dichiarato obiettivo, è possibile a condizione che non poche certezze identitarie (tanto rassicuranti quanto infruttifere) vengano rimesse in discussione e che l’ascolto prevalga sull’impulso alla scomunica automatica. Solo così il movimento giungerà a maturazione anche sotto il profilo elettorale, assurgendo a punto di riferimento credibile per un popolo che, come ha dimostrato con il voto di marzo 2018, rimane assetato di cambiamento. Le premesse paiono esserci: lo testimoniano, da un lato, le reali motivazioni della rottura con Rifondazione e consimili “marxistosauri” europeisti e la denuncia dell’ambiguità dell’operazione de Magistris, dall’altro il lodevole (e nient’affatto scontato) equilibrio mostrato nei giorni del braccio di ferro tra UE e Governo italiano sulla manovra finanziaria. A proposito dell’attuale maggioranza – e della posizione da assumere nei suoi confronti – va evidenziato un punto: essa non è affatto “più di destra” di quelle che l’hanno preceduta ma neppure può essere considerata realmente alternativa o addirittura “antisistema”. L’unica alternativa al Capitalismo nella sua odierna declinazione neoliberista è infatti il Socialismo: manco per un istante dobbiamo scordarci che nostro scopo è l’edificazione, nel medio-lungo termine, di una società egualitaria, solidale sia al suo interno che verso l’esterno, non segnata dalla dicotomia capitale-lavoro. Bisogna accorciare i secoli al Capitalismo, ma senza perdere di vista il presente. Nel breve termine né Potere al Popolo né una sua evoluzione “adulta” potranno aspirare all’autosufficienza: è dunque necessario guardarsi intorno e individuare dei potenziali interlocutori partendo dalla realtà dei fatti. Escluse a priori le forze reazionarie o apertamente sistemiche residua il M5Stelle, sul cui ruolo non v’è perfetta identità di vedute tra i firmatari di questo documento: c’è chi stigmatizza l’ambiguità del gruppo dirigente “grillino”, aggravatasi nella gestione governativa in alleanza con la Lega, e chi valorizza, al contrario, una certa attenzione dimostrata nei confronti dei bisogni dei ceti deboli. Queste diversità di valutazione non stupiscano, visto che ci siamo imbattuti in un fenomeno nuovo, non facilmente inquadrabile nelle categorie alle quali eravamo abituati. Con il Movimento potranno registrarsi occasionali convergenze su determinati temi (ad es. il salario minimo garantito, il contrasto alle delocalizzazioni selvagge e lo stop alle aperture festive degli esercizi commerciali), ma un’incondizionata apertura al dialogo sarebbe controproducente: è invece necessario elaborare una narrazione e una proposta politica che “stanino” i gruppi dirigenti del Movimento, costringendoli a un confronto sul merito di questioni strategiche – e non digeribili dall’attuale sistema – quali un ritorno del ruolo imprenditoriale dello stato nei settori strategici per il Paese, la modifica del ruolo delle banche (separazione tra quelle speculative e quelle dedite al risparmio e azionarie) e l’applicazione dell’articolo 41 della Costituzione.
Le considerazioni fin qui dedicate a PaP sono a maggior ragione applicabili ad un movimento “lillipuziano” (in termini di seguito popolare) quale è il nostro. Risorgimento Socialista è una costola di Potere al Popolo, ma deve continuare a rivendicare una propria libertà d’azione, pur nel rispetto degli impegni presi (e finora sempre mantenuti). Occorre spendersi per allargare il fronte, aprendo un confronto con forze anche esterne che, sia pur altrettanto minuscole, manifestano capacità di elaborazione originale. Ci vengono riconosciuti – e talora imputati in malafede – un’assenza di pregiudizi ideologici e uno sforzo di obiettività che in questa fase possono essere preziosi, e permarrebbero tali anche se, magari per una certa disomogeneità fra le componenti, il progetto di PaP dovesse malauguratamente naufragare.
Per essere chiari: noi stiamo oggigiorno in Potere al Popolo, ma siamo Risorgimento Socialista, e abbiamo il preciso obbligo, in questo frangente storico, di dialogare liberamente con chiunque coltivi idee e prospettive affini alle nostre, con un occhio di riguardo riservato a quelle forze che si stanno coalizzando in difesa di una “Sovranità Costituzionale” per noi imprescindibile.
Se vogliamo essere presi sul serio anche al di fuori del nostro piccolo mondo, tuttavia, dobbiamo imporci un deciso salto di qualità – e qui veniamo alla questione organizzativa, sinora mai affrontata in maniera soddisfacente.
Risorgimento Socialista ha festeggiato lo scorso dicembre i suoi tre anni di vita, e celebra in questi giorni il primo Congresso nazionale. “Troppo tardi!”, scandiscono certuni, notando che parecchi tra i fondatori già se ne sono andati e che – anche per un movimento privo di rappresentanti nelle istituzioni – il viavai di iscritti è eccessivo. Ai critici vale la pena rispondere: meglio tardi che mai!, e comunque: troppo tardi per cosa? Incidere sul reale era impresa improba un lustro fa non meno che oggi; inoltre – vediamo le cose in positivo – la perdurante crisi finanziaria, indotta o comunque alimentata dall’èlite sovranazionale, ha sgombrato il campo da numerosi equivoci, svelando l’inadeguatezza o l’insincerità di formazioni e leader politici che si baloccavano con il superamento del Capitalismo senza crederci sul serio.
Il Congresso è dunque un’occasione da non sprecare, e per non sprecarla bisogna superare in tempi brevissimi la situazione di provvisorietà in cui siamo rimasti immersi per alcuni anni. La sagacia, l’abnegazione alla causa e l’attivismo politico dell’attuale Segretario-coordinatore ci hanno permesso di ottenere successi insperati: egli è senza dubbio l’anima del nostro movimento, ma anche l’anima ha bisogno di un corpo solido e non evanescente. Se ha l’ambizione di radicarsi sul territorio e “contare” davvero Risorgimento Socialista non può continuare ad affidarsi a organi “precari” e spesso pletorici: in particolare al Coordinatore nazionale deve affiancarsi, e al più presto, una squadra ristretta di dirigenti politici, in pratica una Segreteria nazionale che con lui cooperi strettamente nell’attuazione della linea politica. L’elezione del Comitato Esecutivo non è di pertinenza di questo Congresso, spettando al Direttivo nazionale, ma in sede di definizione della linea politica l’odierna assemblea può chiedere ed ottenere la formazione di un esecutivo snello, di massimo 5-7 compagni, che si riunisca spesso, se del caso anche in modalità virtuale, e sia effettivamente in grado di dare “esecuzione agli orientamenti politici emersi dal Congresso e ad altre decisioni del Comitato Direttivo Politico” (punto 4.4. dell’attuale Statuto).
Per quanto concerne il Direttivo, la cui funzione è non meno importante, esso deve superare lo stato “liquido” che fino a oggi l’ha contrassegnato: fra l’altro, le discussioni andrebbero verbalizzate, in modo che resti traccia degli interventi e delle votazioni. L’idea di una rivista – cartacea oppure online – non merita infine di essere accantonata: servirebbe a farci conoscere un po’ meglio, sia come singoli esponenti che come forza politica non genericamente “di sinistra”, bensì orgogliosamente socialista, oltre che ricca di personalità originali.
Insomma: dobbiamo strutturarci una volta per tutte a livello nazionale – seguiranno, come effetti naturali, il radicamento territoriale ed una maggiore riconoscibilità all’esterno che attrarrà nuovi consensi e, al contempo, farà da freno ad un turnover che, è lecito sospettarlo, deriva anzitutto dall’incapacità di assumere una forma che sia percepita come stabile. La piena e celere attuazione del nostro Statuto opportunamente riscritto deve rappresentare, oggi e domani, l’obiettivo principale, poiché soltanto un’organizzazione adeguata può consentire a Risorgimento Socialista di portare avanti una battaglia politica efficace e non velleitaria.
In conclusione abbiamo chiesto all’Assemblea congressuale di votare a favore del documento appena illustrato, facendolo proprio nei contenuti.
Firmatari dell’ordine del giorno:
- Norberto Fragiacomo
- Antonio Saulle
- Franco Gei
- Giuliana Nerla
- Sandro Curzola
- Marco Papadopoli
- Paolo Magris
- Edy Dionis
[1] https://www.risorgimentosocialista.it/index.php/2018/07/02/unire-la-sinistra-di-classe-e-la-sinistra-sovranista/