Riceviamo e volentieri pubblichiamo
La sinistra italiana si trova culturalmente gravemente impreparata ad affrontare i nodi critici del tempo che viviamo. La perdita del consenso elettorale nei ceti popolari e proletari che essa dovrebbe tradizionalmente presidiare, l’incapacità di radicarsi nei ceti sociali emergenti del precariato cognitivo e della new economy, determinano di fatto una segregazione in una posizione elettorale minoritaria, fondata per lo più su spezzoni di militanza storica e sul ceto medio globalizzato ed istruito. Anche l’egemonia culturale sembra essersi persa, in un contesto completamente modellato dai miti fondanti del liberismo: individualismo metodologico (che una parte sciagurata della sinistra cavalca, sotto forma di libertarismo dei diritti civili), meritocrazia, competizione.
In altre parti del mondo occidentale (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Spagna, per certi versi Portogallo) si manifestano segnali incoraggianti, seppur tormentati e non scevri da contraddizioni, di ricostruzione della sinistra. Anche nel nostro Paese un processo di ristrutturazione della sinistra si è avviato da circa due anni con eventi di rilevanza (Cosmopolitica che ha avviato il processo di scioglimento della ex SEL, il distacco definitivo della sinistra socialista dal PSI, che ha segnato la nascita di Risorgimento Socialista, il dibattito interno a Rifondazione Comunista, la parziale scissione della Sinistra Dem dal PD e, forse più importante di tutti, perché interrompe una fase ultraventennale di sconfitte ed arretramenti, la vittoria del No al referendum del 4 Dicembre).
Tuttavia, decenni di destrutturazione di capacità di analisi politica si sono fatti sentire, per cui, come spesso è avvenuto anche in passato, i tentativi di ricostruzione della sinistra italiana passano da approcci politicistici ed elettoralistici, nei quali l’oggetto (una lista politica che possa superare le soglie di sbarramento e garantire una visibilità istituzionale, spesso anche raffazzonata all’ultimo momento) precedono i principi sui quali l’oggetto stesso dovrebbe reggersi e legittimarsi. La discussione verte, con un dispendio di energie intellettuali e l’inevitabile bagaglio di acredini personali e ambizioni malriposte di personaggi non di rado improvvisati, sull’ennesimo esperimento di unità a sinistra. Che non potrà mai avere un effetto di compattamento della sinistra in un fronte politico in grado di impattare sulla realtà, se non si scioglierà preventivamente il nodo del perché, per quali battaglie, per quale piattaforma di proposta, si sta insieme.
Quand’anche una lista unitaria, guidata da una leadership sufficientemente attraente sotto il profilo mediatico, dovesse riuscire a portare una delegazione di parlamentari a Roma nella prossima legislatura, ciò non sarebbe, di per sé, un viatico per la rinascita della sinistra, se non vi fosse una piattaforma politico-programmatica sufficientemente dettagliata e fortemente condivisa. Le fasi in cui forze di sinistra sono state rappresentate in Parlamento, anche con numeri di tutto rispetto, ma che hanno coinciso con l’avvio del declino di tali forze, sono state numerose, negli ultimi vent’anni. L’impatto del parlamentarismo non ha risparmiato Rifondazione Comunista, che era una forza rilevante nel nostro panorama politico, e non ha risparmiato SEL, che è entrata nel processo fondativo di Sinistra Italiana dopo essere scesa a percentuali elettorali inferiori al 2%.
La tattica del presidio istituzionale non basta più. La partecipazione alle istituzioni, se non è sorretta da una cultura politica solida e da una strategia chiara, se non ha basi profondamente radicate nelle ragioni del popolo che si vuole rappresentare, rischia di essere spazzata via da due pericoli uguali e contrari: un radicalismo senza criterio, spesso di maniera, che risulta incomprensibile, oppure un riformismo blando, che cerca di sopravvivere negli spazi interstiziali, ed innocui, lasciati liberi dalla controparte. Senza contare il fatto che una lista di sinistra unitaria priva della necessaria coesione programmatica verrebbe usata solo come veicolo per tornare in Parlamento, e quindi smontata un secondo dopo il voto, per tornare ciascuno alle proprie identità originarie.
Senza un nuovo processo di radicamento sociale non si va da nessuna parte, e si rischia di lasciare ulteriori macerie politiche che, per molti militanti oramai fiaccati da decenni di sconfitte, sarebbero la spinta definitiva per l’abbandono della politica. E regalerebbe un enorme argomento agli pseudo-teorici della fine della contrapposizione fra destra e sinistra. Ma questo radicamento sociale, nel deserto intellettuale e teorico della sinistra italiana attuale, va ricostruito ex novo. Non c’è nemmeno più la capacità di ragionare per classi sociali, e gli esperimenti orizzontalistici di civismo, che sono purtroppo una costante degli ultimi anni, non fanno che riproporre questa incapacità di identificare, isolare e rappresentare gli interessi sociali specifici della sinistra. Il richiamo ad una società civile, perlopiù fantasmata, copre con una patina di apertura e partecipazione dal basso un vuoto analitico e propositivo dei gruppi dirigenti che dovrebbero, invece, guidare i processi di ricomposizione degli interessi sociali.
E’ tempo quindi che gli intellettuali che si riconoscono, a vario titolo, nell’area della sinistra, riprendano il loro ruolo di intellettuali organici gramsciani, contribuendo a lavorare, per competenze e settori specifici, sulla costruzione di una piattaforma programmatica della sinistra italiana. Che il loro contributo possa crescere nel confronto reciproco di idee, anche diverse. E che la necessaria sintesi sia guidata da una analisi seria, rigorosa, della domanda sociale delle classi popolari e lavoratrici del nostro Paese. Perché alla fine una sintesi avulsa dalle esigenze che vengono dal basso non avrebbe alcun significato politico. Né ci si può aspettare che avrebbe una funzione didattica, nella misura in cui non esiste più il soggetto partitico di tipo leninista avente la forza di assumersi il ruolo di guida del popolo.
Il mio appello si rivolge sia alle forze politiche che stanno dedicando ogni possibile energia ad identificare il proprio posizionamento, autonomo e coalizionale, in vista delle elezioni, sia alle forze intellettuali che ancora esistono a sinistra. I partiti mettessero a disposizione un piccolo budget per fare una indagine sociale, anche a campione, sui principali temi che riguardano direttamente la vita quotidiana e le prospettive delle persone. Si affiancasse a tale indagine la voce diretta dei militanti e dei simpatizzanti, che costituiscono comunque una parte della società (anche se non l’unica, ed anzi una indagine basata solo sui militanti e non su quel corpo sociale più ampio che, in questi anni, si è rivolto ai vari populismi, sarebbe distorta e non rappresentativa).
Sulla base dei risultati di questa indagine, aggregati opportunamente per tematica, si organizzino gruppi di lavoro composti da intellettuali di chiara fama e di riconosciuta adesione alla sinistra, finalizzati alla elaborazione di una piattaforma programmatica, con il chiaro mandato di tenere conto dei risultati delle indagini preliminari condotte. Che questa piattaforma venga consegnata al dibattito delle forze politiche di sinistra, stabilendo ex ante le occasioni e gli appuntamenti di discussione, in modo tale da evitare che finisca per essere l’ennesimo prodotto non valorizzato dai gruppi dirigenti. Non ci si preoccupi del tempo necessario per arrivare a questo risultato, ma del livello di approfondimento raggiunto, e della qualità della proposta che ne scaturisce, laddove tale qualità sia misurata sul criterio della consonanza con le esigenze materiali delle classi popolari. Che chi sarà impegnato in tale lavoro garantisca la capacità di ascolto e di pluralismo necessari per raggiungere una sintesi, necessariamente collocata al di sopra delle proprie convinzioni personali.
I temi sui quali lavorare dovrebbero essere sufficientemente generali da poter essere considerati sistemici, e non quindi legati a contingenze politiche del momento, o a temi che riempiono i social network di commenti, ma poi si spengono una settimana dopo. Occorre cioè riuscire a costruire una base programmatica generale, un canovaccio di fondo in grado di fornire una direzione di marcia comune e condivisa, sul quale innestare le tematiche politiche più spicciole del day-by-day. Ma che non sia nemmeno così astratta da non evidenziare proposte generali (perché, per esempio, siamo d’accordo tutti nel dire che l’Europa così com’è non va, è sulle soluzioni che ci dividiamo) in grado di indicare una strada e di dare una speranza. Si lavori anche sulla comunicazione, oramai un feticcio inevitabile per la politica moderna, in modo da trasformare questo programma in contenuti accessibili all’opinione pubblica. Ci sia il coraggio anche di affrontare temi scomodi per la sinistra, come quelli dell’immigrazione, dello Stato nazionale, della globalizzazione, sui quali in questi ultimi decenni si è posata una incrostazione di buonismo, internazionalismo e solidarismo da slogan, mentre la società italiana prendeva derive non più controllabili e spesso contrarie. Si abbia il fondamentale coraggio di interrogarsi sul differenziale che, su tali temi, intercorre fra le narrazioni consolatorie e trite della sinistra e la realtà di ciò che pensano, maggioritariamente, le classi popolari.
Purché si parta.