Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Presento qui la prima traduzione in italiano di “Suona musicista!”,una delle ultime poesie di Yuri Vologodsky, morto in ospedale la notte del 7 aprile scorso per l’esito delle gravissime ferite riportate nella guerra che Russia e NATO stanno combattendo in Ucraina. Il predetto poeta era infatti anche un soldato, che nella primavera del 2014 si arruolò come volontario nelle milizie popolari del Donbass per difendere la sua gente dal genocidio messo in atto dal governo criminale di Kiev.
Originario di Slavyansk, Vologodsky aveva sangue cosacco nelle vene e decise di prendere in mano il fucile, oltre che la penna, esattamente 9 anni fa, quando le popolazioni del Donbass iniziarono ad opporsi apertamente al Colpo di Stato di Euromaidan che si era consumato a Kiev, dal 13 novembre 2013 al 23 febbraio 2014, per opera di gruppi armati filonazisti, organizzati dai servizi segreti americani e finanziati da Poroshenko, l’oligarca scelto da Washington per sostituire il legittimo presidente Yanukovich, politico filorusso che fu, allora, destituito con la violenza di piazza dalla carica di Capo dell’Ucraina. Pochi giorni dopo l’immediata insurrezione della Crimea, che sfociò il 27 febbraio 2014 negli scontri di Simferopol, anche nel Donbass scoppiò una rivolta contro le forze “filoatlantiche” di Euromaidan. Un’istantanea operazione militare speciale della Russia, eseguita dai paracadutisti della 56^ brigata e dai marinai della Flotta del Mar Nero, permise alla Crimea di passare subito sotto la protezione del governo di Mosca. Quasi 3 settimane dopo, attraverso un referendum popolare, la Crimea scelse poi di staccarsi dall’Ucraina, esercitando il legittimo diritto all’autodeterminazione dei popoli che l’ONU prescrive al punto 1) della sua Carta ma, assurdamente, rifiuta ancora di riconoscere in via formale al popolo russo di Crimea.
Di fatto, la mancata approvazione dell’ONU è stata cosa del tutto irrilevante, perché la Crimea da quel giorno si è reintegrata alla sua vera madrepatria, la grande Nazione russa, di cui aveva fatto parte dal 1784 al 1991, anno in cui ne fu separata a seguito di quel decreto irrazionale e scellerato con cui Gorbaciov sciolse la struttura statale dell’URSS con un “semplice” atto amministrativo di natura autoritativa (lo definisco “irrazionale” poiché, per quanto fosse stata ridotta a un carrozzone super-burocratizzato da Krushev e da Breznev, l’URSS non era affatto sul punto di crollare né era agitata da alcuna protesta sociale; anzi, nel 1989-1991, sotto il profilo geopolitico era ancora la seconda potenza economica mondiale, oltre che una superpotenza militare).
Al contrario della Crimea, per motivi che qui non è il caso di analizzare (dico solo che non fu davvero per un errore di Putin), le due regioni russofone del Donbass in rivolta (Luhansk e Donetsk), che erano anche le due regioni più ricche dell’Ucraina, non si ricongiunsero alla Russia. Provarono invece la via dell’indipendenza statale. A Donetsk, la regione in cui viveva Vologodsky, il 6 aprile 2014 la gente occupò gli edifici del governatorato regionale e il giorno dopo fu autoproclamata la nascita della nuova Repubblica popolare di Donetsk, con un Atto di sovranità convalidato dal popolo, l’11 maggio 2014, attraverso un referendum dall’esito plebiscitario.
Si può dire che inizia qui il conflitto del Donbass. Inizia qui la sua resistenza popolare contro il regime repressivo dell’Ucraina di Poroshenko, che vietò ai russofoni del Donbass una libertà democratica fondamentale: quella di poter parlare ed esprimersi liberamente nella propria madrelingua, cioè in russo. Divieto della libertà di espressione linguistica, divieto di intrattenere relazioni economiche, commerciali e sociali con la confinante Russia che, grazie a Stalin, ha civilizzato i bisnonni e i nonni di queste genti cosacche del Donbass, discendenti dai nomadi delle steppe, che erano ancora adusi al saccheggio predatorio e ai pogrom nella Russia zarista del 1905 e che, durante la Guerra Sociale del 1918-1921, costituirono la cavalleria controrivoluzionaria che combatté con le armate bianche contro i bolscevichi. Fu Stalin che li civilizzò educandoli, nell’URSS multietnica, al rispetto dei valori della pacifica convivenza civile; e poi li rese ricchi costruendo, nelle valli del fiume Don, le più grandi centrali idroelettriche d’Europa (energia pulita!) e grandi industrie d’estrazione mineraria. E’ per questo che oggi la gente del Donbass sente di appartenere alla civiltà russa e dal 2014 combatte per difendere, contro il nazismo banderista di Kiev, la propria identità etnico-culturale, che in realtà non è innata, bensì è un risultato storico prodotto dall’immenso lavoro politico che fece Stalin per edificare il Socialismo.
In questo contesto del 2014, come già detto, Yuri Vologdsky iniziò a combattere con le milizie popolari di autodifesa. Passò poi a militare nell’11° reggimento della Repubblica Popolare di Donetsk. Le milizie popolari sconfissero l’Ucraina di Poroshenko, ufficialmente battezzato presidente dagli USA il 7 giugno 2014. Ma, per Kiev, il Donbass era ormai perduto. Così, nel corso del 2016, i burattinai di Washington (gli stessi che oggi dirigono la guerra: Biden, Blinken, Victoria Nuland ecc.) cambiarono strategia, approfittando della tregua stabilita con gli accordi truffaldini di Minsk. Da un lato, iniziarono a militarizzare l’Ucraina, inviando istruttori NATO ad addestrare l’esercito, corpi speciali come il battaglione d’Azov, a costruire trincee ecc. in vista di una più dura offensiva contro il Donbass momentaneamente vittorioso. Dall’altro lato, screditarono Poroshenko e puntarono a costruire un nuovo leader nazionale, un personaggio proveniente dal basso e non dagli Oligarchi. Un umile comico dal dente avvelenato, che rappresentava per estrazione familiare la diaspora ebrea dell’Ucraina dei ghetti; che parlava il russo piuttosto che l’ucraino; che non aveva preso parte al golpe di Euromaidan; e che era divenuto un attore popolare (come Beppe Grillo, ma ben più malefico del genovese) grazie a una serie televisiva finanziata nello stesso 2016 dalla famiglia Biden (Sleepy Joe era, allora, il vice di Obama). Mi riferisco, chiaramente, a Zelensky, che poi fu eletto presidente nel 2019 carpendo, con false promesse e sotto mentite spoglie, addirittura il voto elettorale delle genti del Donbass.
A spiegare chi è e cosa rappresenta, realmente, Zelensky, dedicherò prossimamente uno specifico articolo che – sono sicuro – il Dott. Fabrizio Marchi, direttore di questo colto giornale, avrà la bontà di pubblicare.
Ho richiamato qui l’antefatto costitutivo del regime di Zelensky, perché è da questo punto che, per il Donbass, i rapporti di forza rispetto a Kiev si capovolsero a seguito dell’intervento diretto, benché dietro le quinte, degli istruttori di guerra della NATO. Ciò avvenne già durante l’ultimo anno in cui rimase al potere Poroshenko, nel 2018. Sicché il Donbass da represso divenne oppresso. E l’oppressione, sotto il regime dell’ebreo-nazista Zelensky, andò via via crescendo. Al di là di tutte le testimonianze dirette o dei reportage sul campo realizzati da giornalisti moralmente integri e intrepidi come Giorgio Bianchi, ne dà una recentissima informativa, addirittura, il Dipartimento di Stato americano che, per quanto riguarda l’essere al soldo di Putin, è sicuramente al di sopra di ogni sospetto. E’ facilmente reperibile in rete il dossier “Rapporti nazionali sulle pratiche in materia di diritti umani per il 2022: Ucraina“, compilato dall’Ufficio per la democrazia (del Dipartimento di uno Stato, come gli USA, che non è democratico per Costituzione !). Il succitato dossier attribuisce al regime di Zelensky – che, secondo l’Oca starnazzante in veste di Orsettina von der Leyen, starebbe combattendo per difendere i “valori dell’Europa” – i seguenti crimini: corruzione dilagante nel cuore stesso dello Stato (magistratura, gestione del demanio pubblico ecc.); abusi d’ufficio commessi dai funzionari statali in un clima di impunità; omicidi politici commessi da agenti dei servizi segreti di Kiev; sparizioni di persone in un numero tale (15.000 da marzo 2019 a novembre 2022) al cui confronto anche un Totò Rijna appare un santo; arresti illegali; torture per ottenere confessioni durante processi giudiziari;abusi fisici sui detenuti; totale repressione contro i media dell’opposizione politica con il pretesto che rappresenterebbero una minaccia per la sicurezza nazionale; e infine strage di civili inermi per mezzo di bombardamenti di artiglieria su città, paesi e villaggi del Donbass.
Il poeta Yuri Vologodsky ha preso in mano il fucile, oltre che la penna, proprio per combattere questa barbarie nazista perpetrata dal governo criminale di Zelensky, ora (nel 2023) aggravata dalle costanti persecuzioni religiose contro la Chiesa ortodossa (a tutto vantaggio del Vaticano ancora diretto da un Camerlengo sui generis come José Mario Bergoglio). Lo ha fatto, a differenza dei tanti (presunti) poeti che seguono la guerra seduti in salotto. Lo ha fatto agendo come Arthur Rimbaud, il più grande poeta francese, che scese in strada a combattere col moschetto, dietro le barricate, nella Rivoluzione comunarda che avvenne nel 1871 a Parigi.
Quando, sotto direzione NATO, dal 2019 i bombardamenti ucraini sul Donbass si intensificarono, Vologodsky lasciò l’esercito della Repubblica Popolare di Donetsk (da settembre 2022 divenuta una regione della Federazione Russa), per combattere contro il nazismo banderista di Kiev,entrando a far parte della formazione militare più importante del mondo, quella che come i 300 di Sparta spregia il pericolo: l’esercito Wagner, un gruppo militare creato da Putin e da Evgenij Prigozhin, proprio nel 2014, in risposta ai battaglioni di mercenari, detti contract fighters, reclutati tra il sottoproletariato di tutto il mondo dalle aziende americane di lavoro interinale accreditatecon il governo di Washington. Tornerò a parlare più estesamente di questo aspetto e, soprattutto, della Wagner quando pubblicherò, a breve, un’altra poesia di Vologodsky.
Mi sono dilungato già abbastanza, per dover scrivere solo un articolo di giornale. Rimando perciò alla pubblicazione prossima di un’altra poesia di Vologodsky anche l’esplicazione, che già qui sarebbe stata necessaria, del metodo critico-esegetico che ho utilizzato nella mia traduzione. Il lettore mi scuserà se terrò per un po’ in sospeso la sua curiosità sulla questione. Lo faccio perché, non essendo www.linterferenza.info una rivista di saggistica, scrivere gli articoli con una certa brevità è quasi un obbligo, che io ho già trasgredito abbastanza. Mi astengo, pertanto, anche dal commentare la poesia “Suona musicista !”. Mi pare fin troppo ovvio che, dato che il nome scelto da quest’esercito parastatale è quello del compositore Richard Wagner, i soldati wagneriti siano denominati musicisti.
Ritengo, perciò, necessario aggiungere qui solo una rapidissima indicazione, che svilupperò nel mio prossimo contributo su Vologodsky: la Wagner è un piccolo ma fortissimo esercito, che combatte secondo la filosofia spartana. Sparta elaborò, infatti, una sorta di filosofia orale, non scritta, che oggi, in base alle tesi dimostrate dall’Emerito Prof. dell’Università di Perugia Livio Rossetti, possiamo catalogarla come parte della Preistoria della Filosofia. Sparta sviluppò, indubbiamente, anche una sua Poesia epico-lirica, che Platone le invidiava.
Tirteo fu il suo maggior poeta, un poeta-soldato che cantava e combatteva per Sparta. Yuri Vologodsky, totalmente coinvolto dalla filosofia spartana della Wagner, ne ha poetato la forza militare ed è, ad oggi,il suo maggior poeta. Ripetendomi, assicuro che tornerò a scrivere qui sull’Interferenza.info per delucidare il lettore su questi aspetti. Soprattutto, pubblicando altre 2 o 3 poesie di Vologodsky, toccherò anche questioni finora neanche accennate, che ritengo molto importanti: prima tra tutte, la rivalutazione dei poeti-soldati russi e sovietici, come Semeyon Gudzenko e altri., che sono stati ingiustamente sminuiti, sul piano della critica artistica e letteraria, a causa della balorda ideologia della calunnia – denigratoria a prescindere – dettata dall’antistalinismo.
Si può fare giustizia di tanta calunniosa balordaggine antistalinista solo guardando, senza preconcetti, alla storia dell’arte e della letteratura russo-sovietica degli anni 1917-1954. Infine, fatto questo, ossia dissezionata la questione dalla sua valenza politica, potremmo passare anche ad affrontare un dilemma ancora più grande, quello del rapporto tra arte e vita.
E’ quello che intendo fare.
La poesia “Suona musicista!”, che ora finalmente offro alla fruizione del lettore, fu firmata da Yuri Vologodskycon lo pseudonimo di Yuri Volk, durante una pausa in trincea, nel corso della feroce battaglia di Popasnaya.
Giuseppe Casamassima
SUONA MUSICISTA!
Il Paese sarà sempre orgoglioso di te, o musicista !
Non per il suono della tromba, non per l’arpeggio dell’arco…
Ma perché tu suoni per noi sinfonie di battaglia,
Le rapsodie di morte della Wagner combattente.
Note musicali di ottave e di proiettili,
Tu le suoni al nemico con il piombo caldo.
Wagner suona così le note della musica.
Un soldato Wagner non è un semplice soldato.
È un guerriero diverso. Sa essere malvagio
E allegro, focoso e spericolato,
E la morte suona con lui un accordo intonato.
Musicista, la guerra spargerà petali sotto i tuoi piedi,
Quando il fiore della tua vita sarà un giorno spezzato.
Il nuovo combattente conosce la scala del solfeggio,
E’ il musicista che suona dentro l’orchestra Wagner.
O musicista, apri le Porte della Vittoria
Sparando in chiave maggiore di violino