Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Ho finalmente letto il libro di Sara Wagenknecht e provo ad esporre il più brevemente possibile le mie critiche, argomentandole piuttosto sommariamente, dati i limiti di tempo e di spazio inevitabili in un articolo che é comunque diventato, contro le mie intenzioni, fin troppo lungo; soprattutto ci tengo a segnalare alcuni aspetti importanti (e secondo me per lo più preoccupanti) delle sue affermazioni, un po’ a mo’ di “sottolineature”, cioé enfatizzandoli e sperando di contribuire alla riflessione in corso su L’ Interferenza (e altrove).
Dalla lettura emerge immediatamente un atteggiamento sostanzialmente riformistico, socialdemocratico “vecchio stampo”, con grande enfasi e preoccupazione per la mobilità sociale in via di avanzato e vieppiù ingravescente impedimento e forte interesse per la possibilità di accesso individuale a buoni posti di lavoro ed elevate condizioni di “prestigio” sociale per i figli dei modesti lavoratori e della piccola borghesia (accesso che oggi destra e “””sinistra””” alla moda ostacolano); e invece sostanziale disinteresse per una lotta collettiva volta all’ indebolimento e auspicabile estromissione dal potere delle classi dominanti e smodatamente privilegiate. Ma a mio parere oggi di terreno per il riformismo non ne esiste più, essendo stato spazzato via da due fatti che hanno completamente eliminato le indispensabili conditiones sine qua non che consentivano di praticarlo, almeno in una certa misura, nella seconda metà del XX° secolo. E cioé la terribile sconfitta del “socialismo reale” e la correlata riduzione ai minimi termini dei Comunisti (per quanto molto limitatamente e incoerentemente tali siano stati) anche in quasi tutto il mondo occidentale capitalistico; ed inoltre il tendenziale mutamento in corso nei rapporti di forza politici, economici e militari e fra “centri” e “periferie” del sistema imperialistico mondiale che tende ad ostacolare oggettivamente sempre di più la possibile concessione ai lavoratori di elementi di relativo benessere, fino alla creazione di aristocrazie operaie e di “ceti medi benestanti”, nei centri del sistema stesso; sistema imperialistico mondiale che trova scarsissima attenzione, se non proprio nulla, da parte della Wagenknecht. Da questa totale ignoranza, o per lo meno gravissima sottovalutazione, tipicamente socialdemocratica, della corposissima realtà dell’imperialismo derivano la concentrazione dell’interesse della Wagenknecht per le aristocrazie operaie e i ceti medi dell’ Occidente e per le loro aspirazioni alla mobilità sociale in via di sempre più inesorabile frustrazione; e la sua totale indifferenza per le legittime e spesso drammatiche esigenze del proletariato delle periferie del sistema, con una particolare ostilità acritica (per non dire peggio) verso quelle frange del proletariato periferico stesso che sono costrette all’ emigrazione (ostilità che perfettamente si sposa di fatto con quella delle destre reazionarie “tradizionali” ed esplicitamente dichiarantisi tali). Emigrazione “al nordovest” che non é certo una forma di “turismo per diletto”, e della quale alla Wagenkenecht interessa solo, molto “tradeunionisticamente” e corporativisticamente (ma direi pure grettamente e meschinamente), il possibile peggioramento che potrebbe favorire (o secondo lei piuttosto determinare) del mercato del lavoro per ceti medi e lavoratori occidentali autoctoni (possibilità peraltro ampiamente enfatizzata e sopravvalutata, sempre in coro con la peggiore destra “tradizionale e orgogliosamente tale”: tutti gli immigrati con cui ho avuto e ho a che fare sono manovali dell’edilizia, addetti a pulizie e altri servizi “alla persona” o “all’ impresa”, operai della logistica e dei trasporti, dell’ agricoltura o dell’ allevamento, mentre di certo altri cadono purtroppo nel sottoproletariato e nella criminalità: tutti “impieghi” di fatto di scarsissimo interesse per il ceto medio impoverito, le aristocrazie operaie e per lo meno gran parte del proletariato autoctono che tanto stanno a cuore alla nostra; impieghi a cui costoro sono ben poco interessati da ben prima che le attuali “ondate migratorie” potessero determinarne -ammesso e non concesso da parte mia – un abbassamento delle retribuzioni per aumento di domanda di posti di lavoro).
Ai suoi pupilli del ceto medio, delle aristocrazie operaie e anche di parte del proletariato “ordinario” occidentale la Wagenknecht offre abbondantemente comprensione e sostegno (soprattutto teorico, verbale) contro il disprezzo subito da parte delle elitès politiche della pseudo- “”””sinistra”””” da lei detta “alla moda” (senza virgolette al sostantivo “sinistra”), molto più blandamente indicando come bersagli di auspicabili lotte, e comunque non affatto radicalmente volte alla loro estromissione dal potere e dal privilegio, i ben peggiori nemici del popolo costituiti dai capitalisti monopolistici finanziari, dei quali i suddetti politicanti sedicenti “””di sinistra””” non sono che i maggiordomi, la claque, o al massimo le guardie del corpo. Invece di proporre (come fanno i comunisti) la lotta contro l capitalisti monopolistici finanziari, per indebolirli e poi estrometterli dal potere, da buona socialdemocratica auspica utopici cambiamenti nella loro gestione del loro potere ed un maggiore rispetto delle aspirazioni di ceti medi e lavoratori dipendenti …Peccato non si renda conto che tali auspicati cambiamenti riformistici rientrano a pieno titolo e senza residui nelle proverbiali “buone intenzioni di cui sono lastricate le vie dell’ inferno”, per lo meno in assenza di un forte sistema di stati socialisti, di un proletariato in buona misura comunista, in lotta per il socialismo anche “da noi” (se la storia degli ultimi decenni insegna qualcosa, é certamente che “senza pericolo di rivoluzione, niente riforme!”); ed inoltre in presenza di una borghesia periferica del sistema imperialistico mondiale in progressiva emancipazione dal dominio del “centro” (decisive in proposito essendo state anche le lotte decennali dei paesi socialisti e dei partiti comunisti, per quanto durissimamente sconfitti alla fine del XX° secolo).
Come già accennato, un argomento che occupa un posto centrale ed é continuamente rammentato in buona parte delle oltre quattrocento pagine del prolisso libro della Wagenknecht é quello dell’ immigrazione in Occidente dalla periferia del sistema imperialistico mondiale: un vero e proprio chiodo fisso, proprio come lo é per la più becera destra reazionaria, sciovinista e forcaiola “tradizionale, non camuffata da pseudosinistra”, che “da sempre” lo usa allo scopo di additare allo scontento popolare, un innocente capro espiatorio onde celare e tutelare i veri colpevoli del peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Su questo argomento mi sembra anche di cogliere da parte dell’ autrice una notevole dose di ipocrisia, se non proprio di malafede: ad esempio per il fatto -innegabile- che per superare completamente e definitivamente le enormi ingiustizie arrecate dall’ imperialismo alle popolazioni del “sud del mondo” ci vorrebbe ben altro che il diritto per queste ultime di emigrare al “nord” (o all’ “Ovest”) propone di lottare contro questo palliativo che solo in minima parte potrebbe alleviare le ingiustizie stesse, e intanto non propugna alcuna lotta antiimperialistica per cercare di realizzare questo necessario “ben altro”. E cerca di giustificare un simile atteggiamento stigmatizzando alquanto capziosamente l’ innegabile carità pelosa e l’ ottimismo facilone della pseudo”””sinistra””” politicamente corretta e delle O “””N””” G.
Le tesi della Wagenknecht in proposito si fondano per lo più su studi di “enti ufficiali” del mondo occidentale, come fondazioni, centri di ricerca privati, università, lo stesso FMI (sic!) e mettono in evidenza il tendenziale oggettivo peggioramento del “mercato del lavoro” in Occidente, soprattutto a scapito di quelli che lei definisce “gli ultimi” ma in realtà sono casomai i “penultimi”, precedendo chi é costretto a emigrare, fra gli “sconfitti della globalizzazione (capitalistica; aggettivo che sistematicamente omette)”. Sciorina infatti svariati dati (ben reali!) circa la pesante riduzione dei salari negli ultimi decenni in Occidente, additandone, alla maniera dei più beceri leghisti, la causa principale, se non esclusiva, nell’ immigrazione, che a grandi linee vi é andata di pari passo (ma se “post hoc” non significa necessariamente “propter hoc”, a maggior ragione non lo significa “simul hoc”); e invece ignorando o almeno assai minimizzando quello che per me ne é il motivo fondamentale; e cioé il grave deterioramento dei rapporti di forza nella lotta di classe a livello nazionale in ciascun paese e a livello internazionale (il concetto stesso di lotta di classe non compare mai, salvo svista da parte mia, nelle oltre quattrocento pagine del prolisso e ripetitivo volume). Ma un immediato, automatico abbassamento dei salari a causa dell’ aumento della domanda di lavoro conseguente all’ immigrazione si può attuare solo in assenza di una regolazione collettiva dei contratti di lavoro, oppure in caso di violazione dei contratti stessi, cioé nel lavoro nero. I lavoratori, autoctoni o immigrati che siano, possono e devono opporsi ad un simile andazzo non opponendosi (peraltro poco efficacemente, dato che di fatto é difficilmente arrestabile) all’ immigrazione e prendendosela con il fasullo capro espiatorio rappresentato dagli immigrati, bensì lottando, soprattutto con l’ arma dello sciopero, per i rinnovi dei contratti e, sia con lo sciopero che con le azioni legali dei sindacati, contro il lavoro nero. Se non si lotta per i contratti e contro il lavoro nero i padroni abbassano i salari a prescindere dall’ immigrazione, e solo lottando contro i padroni si può cercare di impedirlo, non certo sputando veleno sui compagni di classe immigrati. Inoltre secondo me confonde le cause con gli effetti, ritenendo all’ origine della notevole perdita di forza dei sindacati negli ultimi tempi e delle notevoli riduzioni dei salari, soprattutto nei settori economici meno qualificati come quelli dei servizi alle persone e alle imprese o della logistica e trasporti o il bracciantato in agricoltura e nell’ allevamento, l’ arrivo degli immigrati (che vi sono nettamente prevalenti), mentre secondo me é stato sostanzialmente questo indebolimento dei sindacati e questo netto e ingravescente peggioramento delle retribuzioni a scacciare i lavoratori autoctoni da quegli impieghi poco qualificati e scarsamente pagati e a relegarvi gli immigrati. Sostiene perfino che, soprattutto in tali settori scarsamente qualificati, gli immigrati sarebbero pagati meno degli autoctoni, cosa che francamente mi sembra assai poco credibile (e non documentata nel volume in questione); a meno che si tratti di lavoro nero, che peraltro non mi aspetterei significativamente diffuso in Europa occidentale in generale, salvo che in Italia; e men che meno nella Germania in particolare. Ma se così fosse, allora lottare per impedire l’ assunzione degli immigrati, come a chiare lettere propugna la Wagenchnekt, sarebbe una risposta di destra, reazionaria, oltre che scarsamente efficace quantomeno, mentre una giusta risposta di sinistra sarebbe lottare per la salvaguardia e il rispetto dei contratti unici nazionali di lavoro e la parità di retribuzione per tutti a parità di lavoro erogato. In questo modo, per stigmatizzare l’ ipocrisia della destra malamente camuffata da pseudo “””sinistra””” politicamente corretta, “alla moda” come suole chiamarla, finisce per accondiscendere convintamente alle più bieche narrazioni grettamente e meschinamente corporativistiche della destra “esplicita e fiera di essere tale”. Particolarmente ipocrita mi sembra l’ uso da parte della W. dell’ argomento dell’ emigrazione in Occidente di medici, ingegneri e altri lavoratori laureati o comunque più o meno altamente qualificati dai paesi poveri (non per sfuggire ad una autentica miseria ma per arricchirsi fregandosene delle esigenze dei loro connazionali e delle risorse e dei decisivi contributi da essi pagati per il raggiungimento delle loro qualifiche professionali) come capzioso e intellettualmente disonesto argomento contro l’ emigrazione dei poveri, non fruitori di alcuna risorsa locale per la loro formazione, in fuga dalla miseria. Se quest’ ultima emigrazione é osteggiata e combattuta dalle destre tradizionali, quell’ altra é invece tolleratissima e anzi incoraggiata da tutte le destre, sincere e autofalsificantisi come “””sinistre”””. E se la Wagenknecht fosse davvero preoccupata per il drenaggio di risorse dai paesi poveri ai paesi ricchi (e se il suo “generoso interessamento” alle sorti dei paesi poveri vittime dell’ imperialismo non fosse altrettanto peloso della carità a buon mercato delle O”””N”””G) potrebbe benissimo limitarsi a proporre il divieto di concessione di posti di lavoro qualificati e ben remunerati (come quelli da medico o da ingegnere) ai cittadini provenienti da tali paesi poveri, invece di invocare restrizioni indiscriminate all’ immigrazione che di fatto non toccano minimamente questi privilegiati che se ne fregano dei propri popoli.
Decisamente subalterna all’ ideologia dominate capitalistica dei “diritti civili senza diritti economico-sociali” e delle libertà democratiche puramente formali (“libertà da” senza “libertà di”). ma anche non poco ipocrita, mi pare inoltre l’ enfatizzazione delle differenze e la pretesa di trattare in maniera assolutamente, completamente diversa i profughi costretti esplicitamente ad emigrare per guerre, violenze, discriminazioni politiche e gli emigranti formalmente “liberissimi di restare in patria” …nella miseria e nell’ impossibilità reale, effettiva di condurre una vita onesta e dignitosa a causa della rapina e del supersfruttamento imperialistici, delle cui “briciole” godono (senza virgolette) anche i proletari occidentali (e nel loro ambito le aristocrazie operaie e ceti medi anche di un po’ più che di mere “briciole”). La Wagenknecht pretende di dimostrare che gli elettori di destra appartenenti alle classi lavoratrici e al ceto medio impoverito, in tendenziale incremento in Occidente negli ultimi anni, così facendo non si comportano da (ma lei capziosamente dice tout court che “non sono”) reazionari fascisteggianti per il solo fatto che sono … lavoratori e ceto medio impoverito: “ragionamento”, se così vogliamo chiamarlo, di un’ illogicità plateale (fra l’ altro all’ uopo esagera unilateralmente questo votare a destra da parte di costoro ,pure in qualche misura innegabile, mentre invece fra di essi molto più diffusamente prevale l’ astensione, come anche la Wagenknecht stessa qua e là é costretta ad ammettere). E’ ovviamente ben vero, come lei sostiene, che questi elettori potrebbero venir convinti a votare a sinistra, essendo questo fra l’ altro il loro vero interesse. Ma il fatto é che essi, nella misura in cui effettivamente lo fanno, votano per la destra (esplicitamente e fieramente tale) per il semplice fatto di avere come unica “alternativa” (si fa per dire…) il votare un’ altra destra che molto maldestramente pretende di camuffarsi da pseudo”””sinistra”””. E però, inseguendo le destre populiste, scioviniste e xenofobe nell’ additare gli immigrati come nemici da detestare e contro cui lottare e colpevoli del deterioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e ceti medi autoctoni, così celando i veri colpevoli e nemici (di classe!), e cioé i grandi capitalisti monopolistici finanziari transnazionali, la Wagenknecht potrà forse ottenere più voti alle elezioni, ma di certo non recupererà voti “di sinistra”, né arginerà in alcun modo questi pericolosi orientamenti popolari profondamente errati, corporativistici, subalterni all’ ideologia reazionaria dominante, e pure oggettivamente autolesionistici (oltre che gravemente lesivi dei legittimi interessi di altri gruppi e ceti ancor più sfruttati e oppressi). E per quel che mi riguarda, non essendo un politicante a caccia di voti per la mia carriera ma cercando di comportarmi come un militante di sinistra e anzi comunista, non sento il ben che minimo interesse per un siffatto travaso di suffragi elettorali senza alcun mutamento in positivo degli orientamenti politici (reazionari) di chi li esprime. Del resto per chi minimamente conosca la storia non é certo una novità che masse popolari e operaie duramente colpite nei loro interessi economici in assenza di adeguate proposte politiche e di lotta (per lo meno tendenti a profondi mutamenti negli iniqui assetti sociali vigenti e responsabili della loro rovina) possano cadere vittime della peggiore demagogia reazionaria e più o meno esplicitamente fascista (almeno in senso lato) che propone loro falsi capri espiatori a tutela dei veri nemici dei popoli (ieri in Germania e altrove gli Ebrei; oggi in tutto l’ Occidente gli immigrati dalle periferie del sistema imperialistico mondiale). E la soluzione democratica e progressiva a questo pessimo andazzo non consiste certamente nel blandire e ulteriormente rafforzare queste tendenze corporative limitandosi a coprirle di un sottile strato di vernice rossa (anzi: rosa assai pallido!). Particolarmente oscena, vergognosa, mi sembra poi, in particolare, la pretesa identificazione da parte della Wagenknecht fra immigrazione e terrorismo (pseudo-) islamico, da lei qualificato come autenticamente ed indubbiamente tale, in ossequio alla peggiore ideologia dominante, mentre si tratta in parte di quasi inevitabili e discutibili reazioni spontanee allo sfrenato iperterrorismo genocida perpetrato dall’ imperialismo occidentale, e in altra parte dell’ opera di utili idioti o di deliberati, consapevoli provocatori al servizio dell’ imperialismo stesso: in ogni caso niente a che vedere con l’ immigrazione in Occidente in cerca di lavoro! Fra l’ altro la Wagenknecht dimostra anche una totale subalternità, sempre tipicamente socialdemocratica, riformistica, alle tendenze ideologiche “aclassiste” e “buoniste” largamente correnti nella sinistra neoliberale, come ama chiamarla, che tanto -giustamente- aborre, prendendo per buona l’ esistenza di una pretesa “natura umana” non ulteriormente caratterizzata culturalmente (e dunque senza divisioni e antagonismi classistici) ma governata da “istinti” (concetto per l’ appunto eminentemente biologico e non storico-sociale) più o meno moralmente (o meglio: moralisticamente) buoni oppure malvagi, influenzabili nel bene o nel male “verticalmente”, per così dire, e cioé per appartenenze a popoli o nazioni e mai “orizzontalmente”, ovvero secondo la collocazione nell’ ambito dei rapporti di produzione materiali (e infatti il materialismo storico é “roba da comunisti”).
Il titolo del decimo capitolo del libro é particolarmente illuminante circa i seri limiti del riformismo della Wagenknecht, recitando “Democrazia oppure oligarchia. Come farla finita col predominio [N.d.R.: e non: con il potere e l’ esistenza stessa] del grande capitale”. Dunque con la Wagenknecht non si va fino in fondo contro i monopoli capitalistici finanziari transnazionali, fino a lottare per la loro espropriazione, ma si segue quella che oggi é per me la mera illusione di limitarne lo strapotere e i privilegi; e questo probabilmente perché si é consapevoli che combatterli radicalmente é un’ impresa molto ardua e comporta seri sacrifici per chi voglia tentarla (ma soprattutto perché si crede nella bufala ideologica del “fallimento del socialismo reale”). Ma oggi, in assenza di alcuna seria minaccia rivoluzionaria, non andare alla radice del problema comporta di fatto inevitabilmente l’ accettazione di continui ingravescenti compromessi a perdere, stante anche l’ inconciliabilità di concessioni riformistiche ai subalterni e sfruttati con gli interessi transnazionali dei dominanti e la concorrenza fra di essi, nonché la tendenzialmente crescente emancipazione delle periferie dal dominio dei centri nel sistema imperialistico mondiale. Dato il suo soverchiante dominio economico, Il grande capitale dispone infatti un’ enorme potere di ricatto e condizionamento delle “””libere””” scelte degli elettori, degli eletti nei parlamenti, e dei governi. Se fra le masse popolari sfruttate ed oppresse esiste una certa consapevolezza per lo meno della possibilità di tentare (realisticamente) cambiamenti rivoluzionari (dagli esiti non necessariamente “fallimentari”), allora prima di esagerare con questi ricatti e condizionamenti forzosi delle scelte degli elettori i monopoli al potere sono costretti a pensarci su e a considerare anche l’ ipotesi che, esagerando nel “punirli economicamente” delle loro “eccessive pretese riformistiche” onde forzarne antidemocraticamente la volontà, potrebbero scavarsi la fossa come classe). Ma da quando la bufala ideologica del “fallimento del socialismo reale”, pienamente condivisa e propalata, e per nulla criticata dalla Wagenknecht, si é enormemente diffusa non pende più sulla testa dei potenti e degli sfruttatori la spada di Damocle di una possibile espropriazione, se esagerano nel negare “sollievi riformistici“ agli sfruttati e nel ricattarli pesantemente con il loro strapotere economico; concessioni riformistiche i margini oggettivi per una eventuale concessione delle quali tendono d’ altra parte a restringersi progressivamente anche per l’ emancipazione delle borghesie produttive di quello che veniva detto “terzo mondo” dal dominio dell’ imperialismo occidentale: fine della praticabilità realistica del riformismo. Oltre a questo, il preteso “fallimento del socialismo reale” concorre potentemente alla devastante falsità ideologica tuttora ampiamente diffusa a dispetto di continue plateali smentite pratiche-empiriche, della pretesa inevitabile “inefficienza dello stato” (“dimostrata” dalla storia dell’ URSS) ed “efficienza del privato” nell’ economia in generale e nell’ erogazione di imprescindibili servizi pubblici in particolare, con connesse disastrose privatizzazioni ed esternalizzazioni contro cui si scaglia (vanamente, se é vero quanto sostengo) la Wagenknecht. E così la Wagenknecht propone (se l’ ho capita bene…) una (infatti) poco chiara limitazione dei poteri delle banche, in particolare della possibilità di acquisire quote di proprietà di imprese produttive non in grado di restituire crediti; e la definisce iperbolicamente “un nuovo tipo di proprietà per un’ economia innovativa” che comporterebbe magicamente una gestione delle imprese (private) oculata, efficiente, a vantaggio della collettività e dei dipendenti delle stesse. Bum! Ma mi sembra evidente che una legge che impedisse alle banche di essere ripagate con fette di proprietà delle imprese con loro indebitate e insolventi non sarebbe che la legalizzazione di un esproprio arbitrario del capitale finanziario prestato (un “furto”, secondo l’ ordinamento sociale vigente, comunque un esproprio …anche se non proprio proletario). A queste condizioni quale banca privata sarebbe mai disposta a concedere crediti? Ed anche l’ annullamento dei debiti degli stati dell’ UE verso le banche, che pure la Wagenknecht propone, non sarebbe che una misura estemporanea da applicare in casi estremi e assai critici, probabilmente di difficile attuazione nelle circostanze concrete in cui la si tentasse: meglio di niente, certo, ma comunque una misura che non risolverebbe affatto definitivamente il problema ma che ben che vada metterebbe solo delle pezze nelle situazioni peggiori (una sorta di tassa patrimoniale straordinaria, una tantum). Problema che sarebbe invece definitivamente risolto attraverso la nazionalizzazione delle banche stesse (ma questo per la Wagenknecht puzza troppo di “fallimentare socialismo reale”). Il tutto restando nell’ Unione Europea, illusoriamente pretendendo (se non millantando in malafede) di cambiarne le regole fondamentali di funzionamento e però mantenendo l’ euro come moneta unica: Ma questo é precisamente quello che fanno da sempre i peggiori europeisti della pseudo”””sinistra”””” alla moda tanto vituperati dalla Wagenknecht. La quale fra l’ altro pretenderebbe perfino che questo consentirebbe “di nuovo la svalutazione”, come ai “bei tempi” pre-euro, per riequilibrare e rendere più equi i rapporti fra le diverse economie dell’ UE stessa (forse per magia, data la presenza della moneta unica e l’ assenza di monete diverse, ciascuna delle quali svalutbile secondo i diversi interessi dei vari stati nazionali!).
Dunque le critiche all’ UE della Wagenknecht sono a mio avviso deboli e probabilmente inefficaci (quasi certamente destinate ad afflosciarsi quando si venisse al dunque, come già successo a quelle di Syriza e Podemos) a causa di una sua sostanziale subalternità alle narrazioni “europeistiche” dominanti e in generale ad un certo deteriore eurocentrismo “paraimperialistico”: critica l’ UE ma non esclude in un futuro lontano una integrazione economica europea di tipo federalista. Narrazioni alle quali mi viene da obiettare: perché mai dovrei aspirare – sia pure “a tempo debito e nei dovuti modi“ – ad una simile integrazione continentale piuttosto che a una più vasta e non eurocentrica collaborazione mondiale? Meglio tendere verso una futuribile integrazione europea o verso una teoricamente possibile già oggi, su un piede di reale parità e indipendenza, integrazione nei BRICS+? (Per chi non l’ avesse capito, la domanda é retorica, personalmente non avendo dubbi). In realtà per poter realisticamente evitare che le banche condizionino le imprese produttive secondo i loro interessi puramente speculativi ed ottenere investimenti produttivi di merci e di benessere reale, regolando a tal fine le transazioni finanziarie, sarebbe necessario nazionalizzare per lo meno le banche stesse, ma più probabilmente anche le imprese produttive. Ma una simile ipotesi é assolutamente esclusa dall’ immaginario della Wagenknecht: probabilmente la terrorizza in quanto le ricorda troppo il “socialismo reale” ed il suo preteso “fallimento”. E per questo mi sembra che finisca per propinarci la solita minestra (riformistica) riscaldata: la proprietà privata capitalistica ideologicamente spacciata come passibile di funzionare per il benessere della collettività sociale anziché a scopo di massimizzazione del profitto ad ogni costo e il più possibile a breve termine (con una relativa, limitata promozione del benessere generale solo come eventuale mero effetto collaterale fortuito, purché non sia di impedimento all’ unico fine del lucro privato; oppure a meno che non sia imposto obtorto collo ai padroni con la lotta di classe).
La Wagenknecht ripropone anche, sotto lo slogan “economia di mercato senza grandi gruppi industriali” degli aggiustamenti legali antimonopolistici di vaga ispirazione proudhoniana, di già ripetutamente tentati e miseramente falliti in passato. La storia dimostra che le leggi antitrust sono sempre o largamente permissive o facilmente aggirabili da parte dei monopoli, dato che essi, controllando nei fatti le leve dell’ economia, possono sempre ricattare elettori e governi che pretendessero di percorrere questa via, di conseguenza senza uscita. L’ unico provvedimento legale in grado di colpire efficacemente lo strapotere dei monopoli sarebbe invece la loro nazionalizzazione, come previsto in Italia dalla costituzione, ma la nostra si guarda bene dal propugnarla! Sempre espressioni di subalternità riformistica al capitalismo sono le proposte della Wagenknecht circa la crisi ambientale, che si basano sulla pericolosa illusione di poterla efficacemente affrontare senza fermare l’ incremento tendenzialmente illimitato di consumi e produzioni, realisticamente possibile solo attraverso un efficace controllo centralizzato, statale dei mercati e la pianificazione delle attività agroalimentari, industriali e terziarie, cosa di cui é imprescindibile conditio sine qua non la proprietà sociale collettiva dei mezzi di produzione, per lo meno dei più grandi e decisivi nell’ orientamento generale dell’ economia. Il fatto che le varie destre, comprese quelle che pretendono di camuffarsi maldestramente da “””sinistre””” spaccino penose pagliacciate elitarie e antipopolari, come la (costosa e sostanzialmente inefficace per la tutela dell’ ambiente) promozione della mobilità individuale elettrica o il veganesimo (che le Wagenkencht giustamente stigmatizza) non é affatto un buon motivo per evitare di lottare per quello che dovrebbe essere oggettivamente indispensabile per chiunque avesse sinceramente a cuore la sopravvivenza dell’ umanità e avesse un minimo di consapevolezza del problema, e cioé per sovvertire i rapporti di produzione capitalistici; il che comporta, fra le tante altre conseguenze, anche riduzioni dei viaggi, dell’ impiego di energia elettrica, benzina, cibi particolarmente sofisticati e altri consumi “voluttuari” non solo da parte dei super-ricchi, ma anche, sia pure in ben diversa misura, da parte di quei “meno privilegiati” che stanno tanto a cuore alla Wagenknecht. La quale pretende, demagogicamente più che populisticamente, di liquidare come un ghiribizzo delle elitès superprivilegiate, quella che chiama sdegnosamente “economia della postcrescita”, appellandosi in perfetta conformità con l’ ideologia consumistica dominante a impossibili “bacchette magiche” tecnologiche: Cito da pag. 375: “Una crescita che non punta al consumo, ma a beni di consumo durevoli, i cui materiali finiscano per essere riciclabili il più possibile: una crescita basata su tecnologie nuove, con le quali potremo davvero dire addio all’ età dello sfruttamento selvaggio delle naturali fonti di sussistenza, in cui abbiamo mandato in fumo i combustibili fossili. Di conseguenza la chiave per un’ economia ecocompatibile é costituita da incentivi non alla rinuncia, bensì all’ innovazione tecnologica”: in barba al secondo principio della termodinamica (e al “terzo” di Georgescu-Roegen) per l’ appunto magicamente neutralizzati! Pretendere, come fa la Wagenknecht, di avere il continuo, illimitato incremento di produzioni e consumi in un pianeta limitato e anche la tutela dell’ ambiente o di avere la proprietà privata dei mezzi di produzione e anche il loro impiego non per il profitto ma per il bene comune é come pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca (e – mi dispiace doverlo ripetere ancora – se nei “trenta gloriosi” si é avuto in Occidente un limitato utilizzo capitalistico dei mezzi di produzione anche per il bene comune é stato solo a causa della minaccia mortale che il capitalismo stesso subiva dall’ esistenza del “socialismo reale” e dalla forza dei comunisti decisi a sovvertirlo anche altrove). Ma la Wagenknecht, pretendendo di ottenerlo anche in assenza di tale minaccia mortale e per di più stanti gli attuali rapporti di forza fra periferie e centro del sistema capitalistico mondiale, non fa che stilare un demagogico libro dei sogni (irrealizzabili). Su un piano filosofico più generale, la vita non é tutta rose e fiori; e in particolare non esistono realistici obiettivi di progresso civile che non comportino sforzi dolorosi (le marxiane “doglie del parto” della storia) e prezzi da pagare; e non solo da parte dei superprivilegiati del presente. Il socialismo non é e non potrà mai essere un paradiso sulla terra, ma inevitabilmente implica anche che si sacrifichi, anche a livello di massa, non poco dello smodato consumismo deteriormente edonistico che il capitalismo ha consentito e ancora in misura via via decrescente consente anche a settori sociali limitatamente sfruttati ed oppressi, soprattutto nel centro del sistema imperialistico mondiale. Ma una metafora calzante dell’ alternativa capitalistica al non paradisaco, limitato e sobrio benessere che potrebbero consentire (oltre alla sopravvivenza della specie umana!) il socialismo é, almeno per una minoranza dell’ umanità residente soprattutto al Nord del mondo, quella di un’ iperalimentazione iperglicidica che porta inesorabilmente al coma e alla morte di diabetici crapuloni (morte inevitabilmente arrecata però anche alla maggioranza, residente principalmente al Sud e all’ Est, cui peraltro impone una ferrea dieta fortemente ipocalorica e ipoglicidica). Ma questo la Wagenknecht non lo può capire, integralmente succube come é alla logora e vieta ideologia capitalistica, abbondantissimamente falsificata empiricamente dalla storia, che pretenderebbe di distinguere (con Schumpeter, da lei citato) fra un’ impossibile “imprenditorialità (privata)”, al servizio del bene comune e il “capitalismo (reale)”; che é come credere che Babbo Natale o la Befana portino tanti bei regali ai bambini buoni. Malgrado la Wagenknecht mi risultasse altamente antipatica per i motivi qui esposti fin dalle prime pagine di questo libro (con la “ciliegina sulla torta” della denominazione “personale” del movimento da lei fondato e diretto, perfettamente in linea anche “stilisticamente”, per così dire, con l’ andazzo corrente fra i politicanti al servizio della conservazione e della reazione e con l’ ideologia individualistica dominante), prima di finirne la lettura sarei comunque stato disposto a dare il voto (“turandomi il naso” come diceva un pessimo reazionario del secolo scorso), a liste elettorali che a lei si ispirassero, alla condizione che si impegnassero ad evitare assolutamente qualsiasi trattativa per eventuali collaborazioni con i nemici del popolo della pseudo”””sinistra” politicamente corretta e ad uscire senza se e senza ma e nel minor tempo tecnicamente possibile dalle associazioni a delinquere NATO ed UE. Cioé se non si fosse trattato di rimettere in scena ancora una volta il logoro copione tragicomico di Syriza e Podemos. Ma la mia costanza nel voler arrivare fino in fondo alla lettura é stata premiata dalla constatazione che si tratta di un’ ipotesi infondata, e anzi esclusa senza alcun dubbio da parte della Wagenknecht stessa. Che di questo decisivo chiarimento sinceramente ringrazio.
Fonte foto: da Google