Spine e Spinelli

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 Il nuovo colpo di scena nella triste vicenda di Barbara Spinelli è la sua uscita dalla lista Tsipras perché “non all’altezza del progetto di superamento del frazionamento a sinistra” ( ma non era anche lei candidato di bandiera a dover dare quell’altezza?). Perciò si tiene il il seggio, migra verso un’altra formazione e abbandona l’unica lista che porta il nome di  Tsipras proprio nel momento in cui ella stessa sostiene che la direzione dell’unione verrà determinata dalle decisioni sulla Grecia. Probabilmente proprio questo coinvolgimento nominalistico l’ha indotta a defilarsi del tutto come ultimo atto di un progetto politico telefonato dal gruppo De Benedetti.

Certo la Spinelli anti austerità e anti troika, era pochissimo convincente vista la sua vicinanza a tutto tondo, persino personale e parentale, con le ragioni dell’economia capitalistica ed anzi francamente non ho mai compreso come possa essere stata considerata una persona a sinistra visto che pur essendo stata cooptata, in ragione del nome, prima da l’Espresso e poi da Repubblica, ha lavorato senza problemi di sorta alla Stampa e al Corriere. Di fatto temo che un certo internazionalismo liberista, scagliato contro il corpaccione xenofobo del leghismo e del berlusconismo di strada, abbia creato più di un equivoco, in un Paese dove di certo ce n’è stata grande abbondanza.

Ma insomma pazienza, è andata in questo modo con “virgolette d’oro” e si potrebbe tranquillamente chiuderla qui, se non fosse che l’equivoco che si è addensato in questa vicenda, non è che una particolare espressione di quell’equivoco sull’Europa che ci portiamo dietro praticamente da sempre e che ha finito per essere un feticcio della sinistra e un fraintedimento per la democrazia. Con il vantaggio di poter risalire direttamente dalla figlia al padre putativo di questa Europa, ovvero ad Altiero Spinelli che assieme ad Ernesto Rossi redasse il manifesto di Ventotene che viene continuamente citato e probabilmente mai letto. Nemmeno a me sarebbe mai venuto in mente di leggerlo, lo confesso, se non fosse stato per gli studi universitari su Piero Martinetti (praticamente il solo docente italiano ad aver subito rifiutato le leggi razziali) che mi portarono a un suo allievo, Eugenio Colorni, anche lui al confino come antifascista a Ventotene assieme alla moglie Ursula Hirschman e autore di una prefazione al testo che lui stesso  fece circolare clandestinamente a Roma nel  1944 poco prima di essere fucilato.

Ora lo scenario è il fascismo, la prigionia, la guerra feroce tra europei, l’antisemistismo, il comunismo, il liberalismo e l’internazionalismo capitalista che s’intrecciano e si confondono in tempi drammatici: si tratta quindi di un documento da prendere con le adeguate pinze del contesto in cui nasce. Tuttavia una cosa è abbastanza chiara, già ad una prima lettura: che gli stati uniti d’Europa delineati in questo documento fondativo o che si vuole tale, sono molto simili all’unione che effettivamente ci ritroviamo. La Ue di oggi non è un tradimento rispetto a quelle idee come spesso siamo portati a pensare, ma ne è in qualche modo la realizzazione sia pure con errori ed omissioni, l’unica cosa che gli europeisti di maniera sono disposti ad ammettere.

Tutto nasce da un’intrinseca sfiducia nella democrazia (in special modo una sfiducia nell’Italia) da parte di due persone dell’antifascismo liberale che giudicano i singoli sistemi nazionali troppo fragili e inadeguati: in essi si sviluppano inevitabili conflitti interni, fatalmente destinati a politiche di potenza che portano alla guerra e alla negazione di libertà per i  cittadini. Se dunque conflitti e  guerre negano la libertà, bisogna cancellare gli stati e le divisioni nazionali che sono all’origine dello scontro e arrivare ad una federazione europea. Il federalismo diventa dunque di per sé la soluzione politica in grado di far perdere di senso alla destra e alla sinistra. Come poi la libertà possa avere spazio concreto nell’ipotetica federazione non è spiegato, come dentro di essa possano essere risolti i problemi e le attese sociali o i conflitti di classe è del tutto ignorato. O forse è illustrato da uno degli ispiratori ideologici del manifesto stesso, un  idolo per Ernesto Rossi, ossia l’economista Lionel Robbins, ferocemente anti keynesiano e uno dei padri putativi del neoliberismo di Chigago: quella soluzione non concerne tanto i cittadini quanto la libertà del mercato cui sono affidate “le scelte applicabili su mezzi scarsi ad usi alternativi”. Non è certo un caso che l’interpretazione di carattere elitario e antipopolare della Ue sia stata quella che ha avuto maggiore fortuna nel tempo. E del resto proprio uno degli autori del manifesto, ovvero Spinelli, attraverso il gruppo cosiddetto del  coccodrillo dal nome di un ristorante dove si svolsero le riunioni iniziali, fu determinante molti, molti anni dopo per arrivare  al trattato di Maastricht. Cioè a quel governo monetario garante di tante e progressive libertà.

Il manifesto di Ventotene oggi potrebbe essere considerato la soluzione possibile prodotta dia una generazione che si trovò a vivere due guerre mondiali, la dittatura e la prigione, ma francamente non so quanto possa apparire coerente, lungimirante e sensato oggi. Men che meno potrebbe delineare una qualche altra Europa il cui compito dovrebbe essere quello di contestare l’idea di un’unione continentale come surrogato e sostituto di democrazia.

Fonte: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/05/12/26742/

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