Ci sono amici che, assistendo all’ultima puntata del varietà teatrale Dugongo Show, hanno espresso preoccupazione per me.
Il fatto che, in quella puntata, io e le mie compagne d’arte abbiamo deriso satiricamente tanto certe destrorse pulsioni securitarie del governo gialloverde quanto la tardo-borghesia globalista che a esso si oppone – essi dicevano – rischia di farmi e farci fare la proverbiale fine del vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro.
Riconosco l’esistenza di questo rischio ma essa, lungi dal dissuadermi, funge al contrario da ulteriore sprone a proseguire in tale direzione. Uno sprone che ha assunto, ormai, i contorni di un imperativo etico-morale: sovvertire, sabotare la dicotomizzazione e la polarizzazione che sono in atto presso l’opinione pubblica, nell’immaginario di massa, all’interno del dibattito politico.
La polarizzazione che vede fronte populista da una parte e nostalgici del liberismo-globalismo dall’altra, ritengo vada combattuta per due ragioni.
1) Innanzitutto, per ragioni inerenti agli interessi della classe lavoratrice di cui faccio parte: al netto di organizzazioni politiche ancora di ridotte dimensioni, nessuna delle due polarità oggi propone un’alternativa sistemica a quel modello neoliberista che è causa, nelle società occidentali, della fine della cetomedizzazione, dell’aumento della povertà, dello svuotamento della democrazia elettiva, della più grave crisi economica dal Dopoguerra.
2) In secondo luogo, la dicotomizzazione va sovvertita per ragioni di fiducia nell’umanità. Destra e sinistra vogliono oggi far sì che il dibattito politico non si fondi più sul ragionamento e sulla mediazione, bensì su enunciati assoluti e moralistici che si escludono a vicenda. La fiducia nella maturità dell’essere umano deve, al contrario, opporre il valore della mediazione all’assolutismo e al moralismo che questo immaginario border line, ogni giorno, cerca d’imporre.
D’altro canto, quanto appena detto potrebbe dare adito anche a due equivoci che reputo opportuno fugare immediatamente:
1) Sabotare la dicotomizzazione, non implica neutralità. Se ambo le polarità stanno agendo sul versante delle pulsioni irrazionali della coscienza collettiva, è evidente che occorre combattere contro l’una e contro l’altra. Sabotare la dicotomizzazione, quindi, non significa fare “come la Svizzera”, bensì proporsi come terzo attore del conflitto.
2) Sovvertire la contrapposizione molare tra populismo e sinistra liberale, non preclude alla possibilità di scelte politiche nette. Per esempio, rispetto a una delle principali dicotomie categoriali dell’attuale fase storica – ovvero quella tra eurofederalismo e sovranismo – io sono schierato, decisamente e per numerose ragioni, a favore del secondo elemento.
Ma ciò a cui nondimeno mi oppongo, è una correlata dicotomizzazione estremistica che riguarda la filosofia, le visioni generali del mondo. Una radicalizzazione che impedisce la dialettica e il confronto fra le due polarità e, dunque, che uccide il dialogo fra parti di società. Giusto per citare due esempi di suddetto radicalismo filosofico: da una parte, abbiamo una nichilistica esaltazione del “nuovo” e del “moderno” da parte dei liberal; dall’altra, osserviamo una tendenza ad ammiccare al “buon tempo antico” o a una società neo-disciplinare da parte dei populisti.
Questo piano di dicotomizzazione delle filosofie, ebbene, io ritengo impedisca di assumere i fenomeni di trasformazione sociale e antropologica come storicamente compresi. Dunque, questo livello di radicalismo può e deve essere combattuto anche quando si assumono, com’è il mio caso, scelte definite sul versante strettamente politico.
Dunque, con lo strumento ch’è proprio del nostro lavoro teatrale – e che vivaddio sta aumentando in successo e in distribuzione – io e le mie compagne d’arte proseguiremo lungo la strada del sovvertire e sabotare la dicotomizzazione in atto. E questo non sarà svolto con approccio di mediazione pacifica, bensì colpendo duramente entrambi gli elementi della dicotomia.
Come detto all’inizio, ciò avviene nella piena consapevolezza dei rischi.
E’ allora buffo che, a tale riguardo, io trovi appropriate le parole di Toni Negri: un teorico che in passato ho molto studiato ma rispetto al quale oggi – proprio in merito all’analisi su globalizzazione e sovranità popolare – mi trovo su posizioni totalmente antitetiche.
Nel testo del 1977 “Il dominio e il sabotaggio”, infatti, Negri scrive parole che, mutatis mutandis, sento applicabili alla mia semi-solitaria crociata contro la dicotomizzazione in atto.
“Questa mia solitudine è creativa, questa mia separatezza è l’unica collettività reale che conosco. Né l’eventuale rischio mi offende: anzi mi riempie di emozione febbrile, come attendendo l’amata.”
Riccardo Paccosi* (attore e regista teatrale)