Appare interessante un’analisi del Report sui minori vittime di violenza assistita, pubblicato da Save the Children Italia Onlus per lanciare la campagna ABBATTIAMO IL MURO DEL SILENZIO; è un lavoro che analizza, o tenta fantasiosamente di farlo, i riflessi che la violenza domestica avrebbe sulla prole.
Tuttavia è un documento che nasce da indagini ISTAT unidirezionali, metodologia che male si concilia con la cristallina imparzialità che dovrebbe invece caratterizzare il lavoro di chiunque si occupi di diritti dell’infanzia.
Lo scontatissimo filo conduttore è come sempre la donna vittima di violenza in quanto sembra essere l’unico argomento politically correct, garanzia di ampi consensi per un lavoro sul quale difficilmente verranno sollevate dai qualunquisti obiezioni di merito e metodo, come invece accade ogni volta che qualcuno osa parlare di violenza subita da soggetti di genere maschile.
Quindi la violenza assistita, quella che sviluppandosi fra le mura domestiche ha come involontari testimoni i figli, secondo Save the Children registrerebbe ruoli stereotipati dell’uomo carnefice e della donna vittima, essendo inesistente nel Report l’analisi di dinamiche inverse.
Somiglia ad un testo targato NonUnaDiMeno o qualsiasi altra struttura che abbia come mission la tutela della donna, non sembra certo prodotto da una Onlus che si occupa di diritti dell’infanzia. Oppure se ne occupa selezionando, per genere, il soggetto che viola i diritti dell’infanzia.
Save the Children utilizza i dati ISTAT raccolti con interviste telefoniche[1] – quindi privi di qualsiasi requisito scientifico – per avventurarsi in ardite deduzioni – ancora una volta senza alcuna validazione scientifica – sulle varie forme di violenza domestica della quale sarebbero vittime i figli minorenni.
“A partire dai dati diffusi dall’ISTAT nel 2015, abbiamo stimato circa 427.000 minorenni che solo nell’arco temporale 2009-2014 hanno vissuto la violenza dentro casa (…) Sono state prese in considerazione le donne con figli dai 30 ai 54 anni (che presumibilmente avevano figli minorenni all’epoca delle violenze, considerando anche l’età media al primo figlio in Italia), che hanno subito violenza nel corso dell’ultimo anno o nel corso degli ultimi 5 anni. La stima dei figli minorenni è stata poi calcolata sul numero medio di figli per donna .”
Dunque …
L’ISTAT assume con contratto a progetto 64 operatrici dei centri antiviolenza per fare interviste telefoniche somministrando un questionario elaborato in collaborazione con i centri antiviolenza[2]. Tuttavia l’Istituto non ha nessuna certezza che l’intervistata abbia realmente subito le violenze che narra e nemmeno che sia realmente chi dice di essere, in quanto non esistono, perché non è previsto che vengano chiesti, riscontri documentali di alcun tipo.
Famo a fidasse, dicono a Roma.
Partendo da questa base già traballante, Save the Children aggiunge incertezze a pioggia: riduce la forbice d’età a 30/54 anni per ipotizzare che le donne considerate, presumibilmente (testuale), avevano figli minori al momento in cui sostengono di aver subito violenza, la supposizione deriva dall’età media della prima gravidanza. Ma è, appunto, una supposizione.
Altra supposizione è data dal numero medio di figli per donna, visto che la media è 1,4 probabilmente si può utilizzare questo coefficiente per la donna che forse ha subito violenza e probabilmente in quel periodo aveva più di un figlio, forse tutti minorenni, chi può dire il contrario?
Ecco come nascono 427.000 figli coinvolti nella violenza domestica.
Violenza dei padri, è ovvio.
Si parte da una base che non ha nulla di scientifico, si aggiungono due etti di supposizioni, mezzo litro di probabilmente, una manciata di forse, una spruzzata di Giucas Casella, una supercazzola stile Conte Mascetti, due olive, la scorza di limone … et voilà, la bufala è servita.
La fantasia diventa scienza.
Save the Children si occupa formalmente della protezione dei minori, ma è curioso constatare come non riesca ad affrancarsi dalla lettura unidirezionale e pesantemente gender oriented di un fenomeno che dovrebbe invece essere analizzato a 360°.
È doveroso prendere posizione contro i danni della violenza domestica agita dai soggetti maschili, ma chi può sostenere che dalla violenza agita da soggetti femminili non derivino uguali traumi per la prole?
Un dato deve far riflettere: l’ISTAT prende le distanze dalle opinioni pubblicate sul Report, che infatti nelle premesse contiene – scritta in caratteri più piccoli rispetto al resto del testo – la dicitura
ma sia chiaro che ….
Ah, ecco … si tratta di opinioni personali, non certo di dati scientifici, e sulle opinioni personali l’ISTAT chiarisce di rifiutare qualsiasi coinvolgimento.
Le persone che hanno collaborato al Report si esprimono quindi a titolo personale e non come ricercatrici ISTAT.
Ci torneremo, poiché il Report sembra giocare sull’equivoco costituito dall’alone di “ufficialità” e “valenza scientifica” che citare l’ISTAT comporta.
Entrando nel merito, emerge come la definizione di violenza assistita sia chiaramente pilotata verso la costruzione di una immagine esclusivamente femminile di vittima, la vittima maschile è negata a priori.
Ad esempio, viene introdotto il criterio di violenza assistita indiretta per descrivere la percezione di violenza domestica anche da parte di bambine e bambini che non vi avrebbero assistito.
A tale proposito il Report cita la possibilità che i bambini, pur senza essere stati presenti al momento della lite, vedano in casa porte o tavoli rotti, evocando quindi l’immagine del classico pugno sulla porta, sfogo tipicamente maschile riproposto anche in centinaia di film, fiction etc., ma evitando accuratamente di citare indicatori di sfoghi tipicamente femminili come bicchieri e soprammobili in pezzi, stoviglie, vasi, posacenere e cocci in generale.
Dare un pugno sulla porta è violenza, spaccare piatti evidentemente no.
Stesso principio per la percezione traumatica che coinvolge i minori: se un bambino vede la porta sfondata intuisce subito la causa, è sensibile, è turbato, soffre per colpa del padre violento; se invece tornando da scuola deve camminare sui resti di piattini, tazzine e teiera che la madre ha tirato al padre, diventa improvvisamente tonto e non si accorge di nulla.
Gli esiti della lite sono anch’essi gender oriented? Influiscono cioè sulla sfera psicoemotiva infantile solo quando vengono prodotti dall’aggressività maschile?
La sensibilità a comando, in base a chi faccia cosa.
Un sentito grazie a Save the Children, di un Report così obiettivo se ne sentiva veramente il bisogno.
Poi passiamo alla violenza psicologica, anche questa analizzata solo in chiave di vittime femminili.
Il Report cita lo stress e il cambio di umore da parte della vittima (ovviamente femminile, essere donna ed essere vittima sembrano essere utilizzati come sinonimi), l’alterazione della normale vita familiare col coinvolgimento dei servizi sociali o del sistema giudiziario.
Vale a dire che in una coppia che si separa (quando cioè il sistema giudiziario è indispensabile ed il supporto dei servizi sociali molto probabile) la colpa è del marito che vittimizza la moglie chiedendo la separazione.
Poco importa che la separazione venga chiesta nella maggioranza dei casi dalla moglie, la colpa è sempre del marito che traumatizza i figli imponendo loro lo sconfinamento nel sistema giudiziario.
Se la questione analizza aspetti diversi, il Report non lo spiega.
Non è contemplata l’ipotesi che anche un soggetto maschile possa essere stressato e/o avere alterazioni dell’umore, possa essere insultato dalla moglie, umiliato in pubblico e in privato, deriso e denigrato anche alla presenza dei figli, limitato nella frequentazione della prole.
Secondo Save the Children non accade mai, e se accade la depressione paterna non ha alcun riflesso sull’emotività dei figli.
Tornando alle violenze fisiche, il Report mostra i vistosi limiti che comporta utilizzare come riferimento le indagini che l’ISTAT ha effettuato tramite interviste telefoniche.
Non c’è alcun riscontro, anche per la narrazione degli episodi più gravi non esistono referti di pronto soccorso, certificati medici o verbali di polizia e carabinieri. Qualsiasi episodio entra nelle statistiche come verità assoluta per il solo fatto che l’anonima intervistata abbia risposto “si” ad una domanda dell’intervistatrice, punto.
Beh, così è facile …
Non serve certo la professionalità dell’organico ISTAT, se viene sdoganato il pregiudizio ideologico le ricerche “scientifiche” le sanno fare tutti.
Sarebbe utile invece consultare anche altre fonti, la pluralità di informazioni è l’unico metodo valido per tracciare i reali contorni di un fenomeno.
Sembra sia difficile accettare che oltre alla violenza maschile esiste anche la violenza femminile, quindi materna, nei confronti dell’infanzia.
Telefono Azzurro nel maggio 2011 lancia la campagna per donare il 5 x 1000 utilizzando un messaggio che fa leva sulla necessità di contrastare la violenza domestica agita dal padre.
Sempre Telefono Azzurro però, lo stesso anno, aveva pubblicato il resoconto delle richieste di aiuto ricevute al numero 1.96.96, dal quale risultava prevalente la figura materna nelle violenze verso i figli.
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“Il dramma dei bambini: spesso l’orco
è proprio la mamma”
Rapporto Telefono Azzurro – 04/03/2011 |
Tuttavia al momento di fare cassa meglio puntare sul classico, diciamo così, tacendo l’evidenza numerica delle violenze femminili anche se rilevata dalle stesse operatrici di Telefono Azzurro, e sfoderando lo stereotipo del padre-carnefice che forse si dimostra conveniente per chiedere soldi.
Le segnalazioni sulle madri maltrattanti raccolte da Telefono Azzurro non sono una realtà solo italiana ma trovano riscontro anche nel panorama internazionale; il trend di una violenza domestica prevalentemente femminile viene infatti confermato già nel 2006 e ribadito nel 2009 dal Dipartimento Sanitario statunitense, Direzione Famiglie e Minori.
Il Dipartimento statunitense riferisce che bambine e bambini subiscono maltrattamenti ad opera di:
- la sola madre nella misura del 40% circa,
- il solo padre all’incirca nel 18% dei casi,
- padre e madre insieme, all’incirca nel 18% dei casi,
- madre in concorso con altre persone, circa 6%
- padre in concorso con altre persone, circa 1%
- soggetti non legati alla vittima da vincoli di parentela, circa 10%
- sconosciuti, circa 7%
viene specificato inoltre che la voce n° 6 annovera quasi esclusivamente female offenders: la babysitter, l’infermiera, la maestra, l’animatrice del centro estivo, l’educatrice del nido, etc.
In percentuale inferiore al 2%, bambine e bambini subiscono varie forme di maltrattamento ad opera di male offenders che hanno occasione di essere frequentemente a contatto con i minori (sacerdoti, autisti di scuolabus, allenatori sportivi, etc.)
Non è obbligatorio guardare all’estero, anche in Italia il materiale non manca. Basta volerlo consultare.
Accanirsi nel considerare solo delle fonti unidirezionali di dati è già di per sé un dato, che connota pesantemente la faziosità del lavoro svolto.
Nel giugno 2014 è stato presentato lo studio dell’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’Infanzia e dell’Adolescenza, all’interno del Workshop Pediatrico Internazionale di S. Pietroburgo.
Anche questo studio conferma un dato rilevato da più fonti ma nonostante tutto ancora difficile da accettare: in famiglia il soggetto di gran lunga più violento nei confronti dei bambini è la madre, nell’80% dei casi.
Segue il padre con il 10%, poi altri soggetti (nonni, nonne, fratelli, sorelle, zii, zie, cugini, cugine, etc.) per il restante 10%.
N.B. – si tratta di un’indagine svolta tra i medici pediatri italiani, non tra psicologi dell’età evolutiva.
I medici pediatri non si occupano di violenze psicologiche e stress emotivi subiti dai minori, ma riferiscono di aver notato nei baby-pazienti sintomi evidenti di percosse: lesioni, ematomi, slogature, lussazioni, abrasioni.
Nonostante tutto, una campagna di informazione distorta insiste nell’utilizzare mani maschili per simboleggiare le violenze subite dai minori.
Campagna Pubblicità Progresso 2014
E Save the Children sembra adeguarsi al trend antimaschile o, per chi preferisce filomammista perché – si sa – da noi domina un pensiero squisitamente accademico: la-mamma-è-sempre-la-mamma.
Alla luce di queste storture è lecito chiedersi: la mission di Save the Children è proteggere qualsiasi bambino da qualsiasi violenza, o la Onlus preferisce concentrarsi sulle violenze del padre e se la violenza la fa la madre è meglio non rilevarla affatto e girarsi dall’altra parte?
Da ultimo una nota curiosa: l’egida dell’ISTAT compare in molti grafici del Report, evidentemente torna utile scrivere più e più volte che la fonte sono i dati ISTAT, rende tutto più credibile, ufficiale, “scientifico”.
Perché dubitare, non c’è alcun bisogno di verifiche visto che compare il marchio dell’Istituto di statistica più prestigioso d’Italia.
Peccato che le elaborazioni sui dati ISTAT siano opinioni personali dalle quali l’ISTAT stesso prende le distanze.
Tuttavia i grafici sono grandi e colorati, chi vuole vada a consultarli al link https://www.savethechildren.it/campagne/abbattiamo-il-muro-del-silenzio
sono fatti per attirare l’attenzione sulla sintesi di un’analisi, per fissare un principio, per colpire l’immaginazione di chi legge.
Invece la dicitura che specifica l’estraneità dell’ISTAT alle conclusioni è scritta piccola piccola, meglio che passi il più possibile inosservata.
Lasciamo le conclusioni a chi legge.
Magari con un’analisi imparziale qualcuno avrebbe potuto riflettere sul fatto che la violenza tra le mura domestiche non è una esclusiva maschile, ma viene agita anche da donne. Anzi, prevalentemente da donne per quanto riguarda la violenza psicologica (non meno devastante di quella fisica, e soprattutto non meno invasiva per i minori).
Ma è meglio non alzare il velo sull’aspetto della violenza femminile verso partner ed ex partner che deve restare accuratamente occultata, può essere visibile solo la violenza subita da vittime femminili, quelle maschili non esistono e se esistono non se ne deve parlare.
Questo si che è Pari Opportunità.
Poi ci chiedono il 5 X 1000
……………..
[1] Sulla faziosità dei metodi ISTAT per confezionare l’indagine sulle donne vittime di violenze, ci siamo già espressi da tempo. Sull’argomento abbiamo depositato un documento anche alla Commissione Giustizia del Senato http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm02/documenti_acquisiti/957%20FENBI%20-%20B.pdf
[2] V. note metodologiche ISTAT