(Ri)pensare il Gay Pride

La quarta guerra mondiale in atto è costituita da conflitti tra le zone di contatto in un pianeta, politicamente già multipolare, e da una guerra culturale senza sosta. La parola omosessuale indica persone con orientamento affettivo verso persone dello stesso genere, è similare al termine eterosessuale, parola che indica l’orientamento affettivo verso generi diversi. Sembra la scoperta dell’acqua calda, invece non lo è. In primis usare l’espressione“ orientamento affettivo”, anziché “orientamento sessuale” significa riportare le persone omosessuali o eterosessuali alla loro umanità. Ciascuna persona si umanizza nell’affettività e nella stabilità affettiva. La quarta guerra mondiale in atto, invece, cerca di ipersessualizzare le persone. Individui che consumano i loro giorni alla ricerca di relazioni fugaci e incapaci di stabilizzarsi in relazioni di coppia e comunitarie, sono soggetti politicamente depotenziati, in quanto dirigono l’attenzione quotidiana sulla sola vita privata e sulla sessualità.

Il logos che accomuna tutti gli esseri umani è capacità di trascendere il privato con la prassi della parola con la quale risemantizzare il mondo. Individui depotenziati e abituati al consumo di relazioni si predispongono al consumo dei prodotti. La teoria del valore, vera sostanza e struttura del capitalismo, come Marx ci ha insegnato, in tal modo penetra nei corpi, li incorpora fino a farli diventare parte delle transazioni perennemente in essere. In tale contesto le persone omosessuali divengono “gay” e non più “persone omosessuali”.  Il termine “gay” indica un modo di essere e un modo di vivere ben espresso nel gay pride nel quale le persone omosessuali mettono in scena uno stereotipo importato dalla cultura anglosassone.

Sono i nuovi pregiudizi della globalizzazione, le persone omosessuali devono essere “gay” e comportarsi secondo i canoni fluidi ed edonistici funzionali al sistema. È una nuova forma di sfruttamento non ancora decriptata. Si tratta di un nuovo pregiudizio. Si utilizzano le persone omosessuali per far penetrare nel tessuto sociale un modo di vivere atomistico e individualistico. Non è emancipazione, dove le persone sono usate per fini ideologici ci sono solo nuove gabbie. Le persone omosessuali, oggi, fanno fatica ad essere riconosciute come persone. Per persona si intende la comune banale differenza che distingue ogni essere umano da un altro pur accumunato dalla medesima natura umana. Se si percepisce la persona omosessuale come gay e i mezzi mediatici lo rappresentano come soggetto connotato da comportamenti barocchi, nella percezione quotidiana le persone omosessuali faranno fatica ad essere riconosciute come tali. Ogni persona omosessuale è diversa da un’altra, per cui nella infinita varietà dell’umanità bisogna riconoscere ogni persona nella sua irripetibile umanità. Dobbiamo uscire dallo stereotipo del “gay” e guardare la persona nella sua irripetibilità. Il percorso che porta all’emancipazione delle persone omosessuali è ancora lunga e irta di ostacoli e trappole. Ciò che manca è il momento politico nel quale pensare, se la rappresentazione abituale non sia un’altra forma di stereotipo che scaccia i precedenti. L’emancipazione non potrà che realizzarsi solo quando ogni persona omosessuale o eterosessuale potrà esprimersi senza etichette che ne  inficiano la percezione sociale e personale. Non è secondario l’aver trasformato i pride da manifestazione di visibilità ed uscita dal mondo delle ombre a baraccone economico e quindi, per attrarre persone alla festa le persone omosessuali sono probabilmente condizionate a mettere in scena uno stereotipo funzionale ad attrarre spettatori; bisognerebbe pensare, se la spettacolarizzazione sia d’ausilio alla liberazione rispettosa di un gruppo umano che ha lungamente sofferto.

Bisognerebbe elaborare nuove forme di visibilità per uscire da rischiosi nuovi ghetti. Nuovi spazi di incontro in cui prevalga la dimensione della parola e della comunicazione. Stereotipi e pregiudizi si abbattono solo nella normalità degli incontri nei quali ciascuno si rende visibile con  la propria storia e con il proprio vissuto senza forzature.  La politica è l’arte dell’incontro con la quale capire le radici profonde delle discriminazioni sociali antiche e nuove.

Lo spettacolo abbaglia, ma divide, in quanto ci sono attori e spettatori, bisogna uscire da tali logiche per una nuova cultura dell’incontro tra persone diverse ed eguali liberate dall’ansia di dover stupire per essere accolte.  Le persone devono raccontarsi senza narcisismo e nel rispetto della propria indole, in modo da trascendere con i pregiudizi le spire del dominio che aliena anche quando afferma di “emancipare ed includere”. Deve prevalere l’ordinario sullo straordinario e la comprensione politica della propria infelicità, perché ogni sofferenza personale non è mai causale,  dev’essere riportata alla materialità storica del contesto per essere resa razionale e reale.

Ecco perché giugno è il mese del Pride - Collettiva

3 commenti per “(Ri)pensare il Gay Pride

  1. Giulio larosa
    30 Agosto 2023 at 20:00

    Sante parole aggiungo che consapevolmente o no oggi gli omosessuali sono il braccio violento e prepotente dei padroni e dei grandi poteri antipopolari e antinazionali e imperialisti. Quindi al momento nemici. A meno di una chiara condanna di queste carnevalata che sono le processioni della nuova chiesa del Wef.

    • Gian
      31 Agosto 2023 at 23:17

      Assolutamente d’accordo. Conosco due omosessuali che sono in assoluto disaccordo con i “gay pride”. Sono persone che vogliono solo vivere le loro affettività e sessualità con la discrezione di una coppia etero, e se uno è parrucchiere, l’altro è un magazziniere.

      PS
      Il parrucchiere un amico delle elementari, il magazziniere un collega.

  2. Leninista 1917
    31 Agosto 2023 at 12:57

    Gran bello articolo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.