Il 27 Gennaio è la giornata della memoria, ancora una volta abbiamo assistito alla liturgia delle parole istituzionali e degli appelli accorati. Le principali cariche istituzionali si sono esibite nello spettacolo della memoria. Gli appelli e la giornata dedicata alle vittime dell’olocausto decadono nel loro valore, se si continua a proiettare squallidamente il male nel passato che non trascorre e ad assolvere il presente “fortilizio e presidio contro ogni discriminazione”. Il presente, dunque, è da difendere nei suoi valori costitutivi e nella sua prassi. Il neoliberismo ci ha donato la libertà da ogni forma di razzismo, anzi lotta per l’uguaglianza contro ogni deriva razzista e classista. Il potere per autolegittimarsi deve raccontare menzogne e rimuovere la verità, al suo posto campeggiano la simulazione ed i simulacri. Il paesaggio della democrazia neoliberista ci restituisce, invece, una realtà solida ed incontrovertibile: il razzismo nelle sue forme polimorfiche è tra di noi, dal razzismo nella forma dello stereotipo positivo: le donne sono meglio e le persone omosessuali sono sempre sensibili e geniali, al razzismo evidente ammantato di scientificità: il greenpass. Ci si appella al significato etico della memoria per distrarre l’attenzione dalla violenza che inonda la comunità tutta e che la frammenta in innumerevoli contrapposizioni senza sintesi. La memoria dell’Olocausto serve ad oscurare il presente. Si tratta di un’operazione ideologica messa in atto con cinismo raro. Si ricorda l’Olocausto per legittimare la democrazia quale sistema che ha vinto il razzismo, ma il vero senso della memoria è ricordare per imparare a riconoscere i sintomi pericolosi che fanno presagire il ripetersi di simili eventi in modo differente. L’industria dello sterminio è arrivata fina a noi nella forma della propaganda del sistema che in crisi di consenso utilizza anche lo sterminio per darsi spessore etico. L’uso ideologico ha lo scopo di occultare e non consente di razionalizzare il presente. Si mette in atto un processo di derealizzazione collettiva, l’effetto è l’irrazionale che diviene legge e pratica quotidiana di disimpegno. L’Olocausto dovrebbe insegnare non solo a riconoscere i razzismi nelle sue forme palesi e subdole, ma anche che la scienza non è neutra, è parte costitutiva del potere, per cui il confine tra politica, scienza ed economia, in realtà è inesistente. Chiedere alla popolazione di avere fede nella scienza non può che comportare una nuova forma di obbedienza che prepara nuove tempeste. In una democrazia obbedire e commemorare il passato non sono azione virtuose, ma semplicemente comportamenti che neutralizzano il senso critico e la responsabilità verso il presente storico. Il potere liberista con le sue liturgie formali uccide nuovamente le vittime del genocidio. Se si vuole dare al loro sacrificio un senso, bisognerebbe ricordarle in modo che la loro tragica fine ci insegni a non distogliere lo sguardo dal presente, solo la responsabilità politica può far rivivere non la memoria di circostanza, ma le vittime tutte, perché esse ci invocano alla responsabilità sociale e politica, in tal modo, divengono la forza plastica che ci incoraggia a cogliere il male nei dettagli, nelle parole e in ogni vuoto atteggiamento celebrativo. I forni crematori continuano a bruciare, ma non ne sentiremo l’odore della carne bruciata fin quando ci limiteremo ad assentire alle vuote liturgie che non insegnano nulla, ma vorrebbero ammantare il presente con il velo di Maya della deresponsabilizzazione verso le violenze che scorrono sotto il nostro sguardo nel silenzio della memoria. Si dovrebbe dissertare la giornata della memoria per farla rivivere diversamente, lontani dalle vetrine e dalle passerelle. Dobbiamo riprenderci la storia, strapparla a coloro che la usano come un’arma per dividere il tempo storico in modo binario tra il tempo dell’Olocausto e il tempo della liberazione che, in realtà, deve ancora avvenire. Il rispetto per le vittime dovrebbe condurci a lottare contro le nuove forme di razzismo e ad uscire dalla zona grigia dell’indifferenza che il sistema favorisce con l’ipocrisia e l’ignoranza collettiva.