L’isola di fronte alla sfida dell’apertura: sopravvivere senza perdere le proprie radici. A cavallo tra nostalgia e progressismo
Alcune volte nella storia ci sono piccoli cambiamenti che sono sintomo di grandi trasformazioni. Avvenimenti passati in sordina, ma che sono in grado di disvelare il rinnovamento inatteso di una nazione. L’evento che vi racconto potrebbe sembrare quasi una barzelletta, invece non lo è: tra pochi mesi aprirà il primo Mac Donald’s a Cuba. Ora, questa vicenda non sarebbe di nessun interesse se fosse accaduta in qualsiasi altro paese al mondo, soprattutto per noi Occidentali che siamo invasi dalle catene di fast food. Ma non all’Avana, roccaforte del castrismo, dove in un Big Mac con patatine si può trovare la cifra politica della nuova stagione cubana. Fino ad oggi tutto era fermo a mezzo secolo fa, più precisamente al lontano 1959, anno nel quale trionfò la rivoluzione del “lider maximo”. Abitazioni misere, vecchie macchine americane degli anni’50, coco-taxi e animali in giro per le strade. Non un paesino di campagna, ma L’Avana. Sembrava quasi di vedere l’Italia appena uscita dalla guerra.
Invece tra poco a Cuba si potrà assistere ad uno scenario rivoluzionario ma allo stesso tempo contraddittorio: socialismo e capitalismo insieme. Due teorie agli antipodi che si mescolano l’una con l’altra, cercano di sovrapporsi e coesistere come in un unico quadro. Il tutto però con grande difficoltà.
Ma facciamo un passo indietro, più precisamente alle dichiarazioni di Obama del Dicembre 2014: “Da oggi cambiano i rapporti tra il popolo americano e quello cubano. Si apre un nuovo capitolo nella storia delle Americhe” – e ancora – “todos somos americanos”. Frasi che sanciscono il riallacciamento dei rapporti diplomatici tra Usa e Cuba, interrotti dall’ascesa castrista.
Ma non solo. Cuba si lascia alle spalle la lunga stagione dell’embargo, che non permetteva l’importazione di qualunque prodotto e vietava alle aziende americane di avere relazioni commerciali con l’isola. Questa situazione aveva costretto gli abitanti dell’isola alla povertà, ma Castro era riuscito ugualmente a mantenere la leadership e il favore del suo popolo. Nonostante tutto il “lider maximo” non si è mai inchinato dinanzi agli americani e da questo punto di vista ha sempre avuto ragione: la dignità di un popolo non si vende per soldi.
Le ragioni dell’odio tra i due paesi hanno radici lontane. Addirittura bisogna tornare agli anni ’60, periodo della “Revoluciòn”. Gli States si ritrovano a poche miglia dalle loro coste il nemico sempiterno: i comunisti! I servizi segreti a stretto giro di posta decidono di infiltrare l’isola con esuli addestrati dalla Cia. Meno di tre giorni e l’operazione “Baia dei porci” si trasforma in un fallimento. La tensione nel frattempo sale: nel ’62 Cuba decide di armarsi con missili sovietici rivolti verso la Florida. Si teme il peggio, la guerra nucleare. Fortunatamente dopo pochi giorni il tracollo viene evitato in seguito alla decisione dei russi di ritirare i missili. Poi l’embargo nello stesso anno. Il finale della contesa solo pochi mesi fa: “La politica rigida su Cuba, che abbiamo adottato negli ultimi anni, non ha avuto risultati- dice Obama- l’isolamento non ha funzionato. 53 anni di embargo non sono serviti a nulla. Oggi mettiamo fine a un approccio datato”.
I cubani e il castrismo: storia di un grande amore.
Nonostante le grandissime difficoltà che hanno vissuto, i cubani non hanno mai abbandonato il loro presidente. Anche se gli americani durante questi ultimi anni ci hanno sempre un po’ sperato e anche provato. Addirittura erano così “premurosi” nei confronti dei cubani (non in maniera disinteressata ovviamente….) che periodicamente facevano sondaggi segreti riguardo al consenso del partito comunista nell’isola. Purtroppo gli è andata sempre male: vinceva in ogni caso Fidel Castro.
Ebbene sì, ricchi ma poveri. Questa la formula del castrismo. Economicamente l’isola è in una situazione estremamente difficile: lo stipendio medio di un lavoratore cubano non regge il confronto con quello di un qualsiasi stato occidentale. Però il” lider maximo” è riuscito a sopperire alla mancanza di benessere. Ha stimolato nei cubani un grande senso di appartenenza verso il loro paese. In quella famosa rivoluzione le persone ci credevano e alcuni ci credono ancora. Come se ancora lottassero contro Fulgencio Batista. Castro non ha fatto solamente propaganda, è riuscito anche a mettere in pratica molte delle sue idee socialiste. A Cuba la scuola è completamente gratuita, non esistono la disoccupazione e l’analfabetismo. A ciascun cittadino viene dato almeno il necessario per vivere (poco, ma è già qualcosa). Risultati non indifferenti visto l’isolamento cui l’isola è stata costretta.
Se le lancette dell’orologio cubano ricominciano a girare. Da quando è stato tolto l’embargo l’isola si è aperta al mondo. Di conseguenza il consenso nei confronti di Fidel Castro è iniziato a scendere. Il malcontento è cresciuto soprattutto in quelle fasce di popolazione che si occupano di turismo e commercio. Il numero dei visitatori, dall’inizio del disgelo, è aumentato vertiginosamente. Una crescita esponenziale. I toni delle persone però sono sempre pacati, contenuti. Non si sentono i vaffa, le proteste in piazza o l’indignazione. Al massimo allungando le orecchie c’è qualcuno che bisbiglia, magari sottovoce per non farsi sentire, che il cambiamento in fondo non è così malvagio. Insomma, che il tanto adorato comunismo riposi in pace, sembrerebbero pensare forse in parecchi.
I cubani col castrismo hanno sognato. Hanno combattuto per ottenerlo. Alcuni sono anche morti per averlo. Ora però mostra qualche centimetro di polvere: appare agli occhi di molte persone come un regime anacronistico. Soprattutto a questo punto che i reduci della rivoluzione sono sempre di meno…
Il “limes”. I Romani, essendo un popolo che di cambiamenti ne ha fatti, conoscono bene il concetto di confine. Esso era inteso come confine territoriale, ma se diamo a questo termine un significato più ampio e astratto, lo possiamo pensare anche come confine politico, sociale e amministrativo. Quando le legioni conquistavano nuove terre e sottomettevano gli abitanti delle stesse, raramente veniva utilizzata la violenza come “instrumentum regni”. Si preferiva lasciare a quel popolo i costumi, le tradizione e le usanze, in modo da preservarne l’identità ed evitare insurrezioni spiacevoli.
In questo momento anche Cuba trova davanti a sè ciò che non ha mai conosciuto: il modello capitalista. Non che l’isola sia stata attaccata o conquistata, ma si parla di un conflitto ideologico, dove è importante capire bene quale sia il confine, fino a dove è possibile spingersi. In che senso? La tentazione potrebbe essere quella di abbracciare in tutte le sue declinazioni il consumismo, buttando via come immondizia le conquiste sociali di Castro. Niente di più sbagliato. Noi occidentali che conosciamo bene quel modello siamo in grado di capire quanto grandi siano i danni che ci arreca. Occorre da parte del partito comunista cubano una certa “medietas”, il giusto mezzo. Partendo dal presupposto che il cambiamento è oramai inevitabile, bisogna cercare di integrare l’economia socialista con quella capitalista attraverso un processo graduale e ben ragionato. Senza grandi strappi. Altrimenti è facile passare dai tempi in cui si ammirava la “Revoluciòn” a quelli in cui ci si siede a un lurido tavolino del “Mac Donald’s” a mangiare un “Big mac” con patatine e “Coca cola” media. BURP!
P.s: ringrazio l’amico e fumettista Lorenzo La Neve per le prime due vignette dell’articolo.