Alle origini del politicamente corretto, la necessità di porre dei limiti al linguaggio pubblico; negli stati caratterizzati da forti tensioni di carattere politico, etnico o religioso. Così nel Maryland del seicento, ricettacolo di tutte le minoranze religiose, sarà severamente proibita la polemica reciproca, con annesso uso di epiteti; così la Turchia di Ataturk e dei suoi successori considererà reato “l’insulto alla turchicità”; così la Jugoslavia di Tito interverrà, più o meno pesantemente, ogni qualvolta venga messa in discussione la versione ufficiale di una resistenza caratterizzata dall’”unità e fraternità” tra le sue varie etnie; così, infine, nel Ruanda postgenocidio, non esisteranno più i tutsi e gli hutu perché saranno tutti ruandesi. E potremmo continuare.
Qui non siamo al politicamente corretto, ma al politicamente necessario. Non si vogliono favorire le magnifiche sorti e progressive dell’umanità ma evitare che i suoi peggiori istinti la trascinino nel baratro.
Questo per dire che il governo del linguaggio, prima nell’anglosfera e poi nell’Europa occidentale, si colloca in una prospettiva diversa, se non opposta. Qui una società sicura di sé stessa e del suo futuro – ha dietro di sé il “welfare state” e poi la vittoria definitiva sul comunismo e, per la proprietà transitiva sul socialismo – può finalmente dedicare le sue energie a soccorrere i deboli e i diversi. Prima cambiandone il nome ( negri/neri, handicappati/diversamente abili, uomo, donna/persone, omosessuali, lesbiche/gay e via discorrendo) e, di riflesso, mutandone le sorti.
In tutto questo, pensiero unico e politicamente corretto si fondono in una cosa sola. Del primo, la sicurezza di rappresentare la via giusta per affrontare e risolvere i problemi del mondo, al punto dal negare che ce ne possano essere altri e lo stesso principio di realtà. Del secondo, la falsa coscienza, la sensibilità e il senso di colpa, quello che si può manifestare senza fatica e senza rischio perché i problemi di sistema sono già stati risolti per il meglio.
Se poi il popolo reagisce, magari in modo materiale e cioè, all’occorrenza, scorretto, materiale e volgare, tanto peggio per lui: l’ignoranza, il disprezzo, che dico l’ostilità pregiudiziale verso l’”altro da sé” sono parte integrante sia del pensiero unico che del politicamente corretto
Resta ora da capire perché la sinistra italiana, che sia collocata nell’area del governo o in un altrove vago e indefinito, si collochi pressoché interamente all’interno del politicamente corretto.
La risposta è drastica perché è semplice. Ci si crogiola nel politicamente corretto perché si è rinunciato a contestare il pensiero unico: per scelta, nel caso del Pd; per consapevole impotenza politica e intellettuale nel nostro.
Per capirci meglio, alcuni esempi concreti. E che ci riguardano in prima persona.
Noi “manifestiamo” continuamente ( praticamente non facciamo altro). Ma ciò che accomuna le nostre manifestazioni è, in generale, il senso della rinuncia e del limite.
Siamo accanto ai migranti: ma nel lasso di tempo che separa il loro salvataggio in mare dal loro sbarco in un porto sicuro. Siamo per l’accoglienza sino a correre il rischio di apparire come quelli che vogliono fare sbarcare tutti. Ma perché accettiamo – o subiamo – il fatto che le “condizioni politiche” che viviamo non consentono di fare alcun passo avanti né in materia di integrazione né nei rapporti con i paesi del terzo mondo.
Consideriamo i migranti come vittime e non come persone: il che ci permette di compiangerli da debita distanza e ci esime dal lottare in nome dei loro diretti e dei loro doveri.
Manifestiamo per i curdi, perché ciò rappresenta la quintessenza del politicamente corretto e perché sono o appaiono così simili a noi; ma non per pace o per i diritti umani del popolo siriano perché lì troveremo la strada completamente sbarrata.
Sfiliamo contro la mafia sotto lo sguardo partecipe dei politici e dei media; ma sappiamo – o dovremmo sapere – che ciò non aiuta in nulla la lotta contro le organizzazioni criminali: al punto che la ndrangheta lombarda poteva tenere le sue riunioni nella sede dell’associazione “Falcone e Borsellino”.
Ci battiamo per l’utero in affitto in nome della libertà della donna e per il “me too” e contro il femminicidio in nome della lotta al maschilismo dominatore sapendo di avere al nostro fianco il politicamente corretto di ogni ordine e grado. Ma non facciamo nulla per rimediare alle sopraffazione del potere e alle frustrazioni delle sue vittime in nome della dignità inalienabile dell’essere umano; perché che si tratta di un disegno irto di ostacoli.
Ci facciamo fotografare sulle navi ma non frequentiamo i luoghi dello sfruttamento quotidiano.
Ci battiamo per i diritti di pochi. Ma non per i diritti di tutti.
Ciò potrà soddisfare il nostro sentimento di superiorità morale. Difendere i pochi in pochi può essere considerato il massimo della vita. Ma non giova assolutamente alle cause che difendiamo. Insomma, essere politicamente corretti può essere gratificante, ma perdere automaticamente lo scontro con coloro che cavalcano il politicamente scorretto è, oggettivamente, un disastro.
Fonte foto: Il Dialogo di Monza (da Google)