Le cronache continuano a riportare la presenza a pochi chilometri dal confine di Gaza la presenza di un rave party. Si soffermano sull’opportunità di un simile permesso accordato a tale iniziativa.
Gaza ha una popolazione in gran parte giovanile, la quale conosce solo la guerra, il livello di disoccupazione è altissimo, la qualità di vita è nulla, non si muore di fame grazie agli aiuti degli enti sovranazionali. Non si vota né a Gaza né nel West Bank, si vive tra l’inedia e la violenza. La guerra e le ingiustizie sono un moltiplicatore di sofferenze che producono incessantemente nuove divisioni, le quali sono l’humus per ulteriori tragedie. La guerra non è mai la soluzione, in quanto scava trincee invisibili che rendono la soluzione diplomatica sempre più ardua.
Schierarsi, in un momento tragico, in cui innocenti sono caduti e cadranno da entrambe le parti, non è opportuno, si dovrebbe, invece, informare e ricostruire la genetica del conflitto. In molti nulla sanno della complessità del problema, pertanto ricostruire i processi può essere utile, perché si comprenda il dramma e si possa sostenere l’azione diplomatica ed evitare tragedie immani e non controllabili. Il principio di responsabilità è in questo momento storico fondamentale, non lo hanno le classi dirigenti, bisogna sostenerlo nei popoli.
Vorrei soffermarmi sul rave party a pochi kilometri da Gaza, per me simbolo di due realtà che scorrono l’una accanto all’altra silenziosamente. Manipolazioni ideologiche e di potere impediscono il dialogo fra le nuove generazioni, per un dato cronologico il futuro è nelle loro mani. Una vita migliore è sempre possibile, ma se non sono debitamente informate ciò è impossibile. Nel nostro tempo manca l’informazione che consente di capire e di trascendere le violenze.
I media hanno occultato la contemporanea presenza in uno spazio limitato di due realtà che riflettono la contraddizione che lacera il pianeta e lo induce a bruciare nella guerra e nella violenza quotidiana: Il rave party e Gaza. Nel rave party si viveva un normale giornata di un occidentale, mentre a Gaza i loro coetanei più sfortunati vivono ben’altra condizione. Due mondi posti l’uno accanto all’altro ma separati da barriere non visibili.
La responsabilità è degli adulti e dei potenti del pianeta che consentono antitesi sociali ed economiche estreme, le quali non possono che favorire la violenza. Le vittime sono i popoli che cadono in un gioco che non hanno scelto.
Solo il popolo israeliano e il popolo palestinese possono liberarsi ed emanciparsi dalla logica della guerra che da decenni li logora senza risultato alcuno. I popoli conoscono i percorsi che conducono alla pace, se hanno fiducia in loro stessi e smettono di avere paura l’uno dell’altro. Bisognerebbe far pressione, affinchè le diplomazie mondiali lavorino per evitare altro sangue innocente e nel contempo si eliminino gli ostacoli che possano far convivere i due popoli. La soluzione di Oslo del 1993, “Due popoli due Stati”, non è stata attuata. Sono banalità, ma spesso ciò che è banale senza esemplificazione è l’unico percorso possibile, affinchè il male non si ripeta.
L’Occidente ha smesso di guardare le contraddizioni che scuotono le sue città e il pianeta ormai globale; dove manca la giustizia il rischio della guerra non è mai da escludere.
Per poter pensare un altro modo di vivere e un diverso modello sociale di coesistenza pacifica è necessario educare le nuove generazioni non solo a “studiare il mondo” in cui sono implicati, ma anche a sentire e ad ascoltare le contraddizioni dolorose intorno a loro. Le nuove generazioni educate alle competenze e al consumismo spesso vivono nell’ignoranza indotta del loro presente e ciò non favorisce la soluzione politica dei conflitti.
La tragedia del rave party in Israele ci riporta dunque alla verità storica del nostro tempo. Nelle nostre città simili a tutte le città, non più comunità, dell’occidente turbocapitalistico manca l’educazione e la partecipazione alla condizione degli ultimi, i quali non sono tali per ragioni fatali e per strane coincidenze astrali, ma per l’irrazionale distribuzione della giustizia prima ancora che della ricchezza prodotta. Manca lo sguardo capace di toccare il dolore delle vittime, il tocco consente di pensare i processi che portano via dal tunnel della violenza. Dove vigono divisioni e contraddizioni sociali incomparabili, c’è penuria di giustizia sociale. Da tale tragica realtà bisogna ricominciare a risemantizzare e pensare il cammino della storia. Nessuna guerra ha mai risolto in profondità le ingiustizie, nel nostro tempo questo è più vero che mai, le guerre producono altre guerre, solo i produttori di armi ne hanno giovamento. Non a caso le azioni dei produttori di armi non sono certo in calo in quest’ultimo anno. È necessario educare i giovani a guardare le contraddizioni, a non ripiegarsi su se stessi, solo in tal modo sarà possibile dare una speranza al nostro tempo, la quale è sempre attività politica e diplomatica con la quale risparmiare altre vite e altro dolore. Noi tutti possiamo contribuire a tale processo invitando le nuove generazioni e accompagnandole a ricostruire la genealogia della violenza, solo in tal maniera sarà possibile riportare la speranza di una vita più umana dove regnano indifferenza e disperazione. Compito della politica è ricostruire le scissioni tra i popoli in modo che non vi siano vittime innocenti di ogni parte in lotta. Le ricostruzioni storiche devono essere finalizzate a ricostruire ponti, l’alternativa è la violenza, siamo ad un bivio della storia del pianeta, solo la giustizia sociale che, oggi sembra un’utopia, potrà evitare il ripetersi di tragedie in cui le vittime sono innocenti di ogni popolo. Solo una internazionale dei popoli può salvarci dalle guerre che divorano vite e speranze.