Sono andato, tempo fa ( due anni ? tre ? alla mia età i rapporti con il tempo presente sono sempre più incerti) , con un mio carissimo amico che ora non c’è più, Franco Russolillo, a vedere un film di Ken Loach sulla Gran Bretagna del 1945, alla vigilia di elezioni che avrebbero dato al Labour una vittoria schiacciante, inaugurando la nuova era del welfare state”. Eravamo nelle vecchia Casina delle Rose, in mezzo ad una platea sicuramente di sinistra. All’uscita avevamo le lacrime agli occhi; intorno a noi, gente che tornava a parlare del più e del meno.
Perché eravamo nostalgici del tempo che fu ? Nient’affatto. Perché eravamo più bravi, più sensibili o magari più “de sinistra” degli altri ? Una pretesa risibile.
Eravamo, semplicemente dei socialisti che guardando i volti delle persone, le case in cui vivevano, le loro parole e le loro speranze avevano visceralmente colto l’essenza del socialismo: la protesta collettiva per l’ingiustizia del mondo, la speranza di poterlo cambiare, la solidarietà collettiva sintetizzata nella parola “Compagno”, la coscienza precisa dell’irriducibile alterità tra Noi e gli altri. Per chi crede che la storia sia quella dei vincitori, roba da museo. Per chi sente, invece, che essa appartenga anche ai vinti e a quanti hanno in dote l’indistruttibile volontà di rinascere dopo innumerevoli sconfitte e in forme sempre nuove, una testimonianza essenziale per riprendere il cammino.
Non a caso, del resto, i nostri grandi Testimoni della passate stagioni hanno, tutti, pagato di persona il fatto di essere quelli che erano.
Parliamo di Jaurès e di Matteotti. Di Blum e del tedesco Schumacher ( uscito stremato dai campi di concentramento di Hitler, per riaffermare la sua fede nel socialismo e nella Germania). Di Brandt e di Palme, di Craxi e di quanti, famosi o sconosciuti, in ogni angolo del globo, hanno guidato, sempre pagando di persona, rivoluzioni d’ogni tipo contro l’ordine sociale esistente.
E parliamo, qui e oggi, di Corbyn. Per i socialisti che si vergognano persino del nome che portano, un relitto; una roba da museo. Per gli altri, per noi, un testimone del passato ma anche l’anticipatore di un futuro ritornato possibile. Per me un compagno: a partire da un rivelatore certo dell’essenza di una persona, la sua faccia.
Questa persona dice le stesse cose e difende le stesse cause da decenni a questa parte: dall’epoca in cui il socialismo, la lotta per la pace, il protagonismo del mondo del lavoro, la giustizia sociale, il ruolo dello stato e del pubblico, la difesa dei popoli oppressi erano all’ordine del giorno fino ai tempi in cui se n’era perso perfino l’indirizzo. Sempre in minoranza. Sempre nello stesso partito. Sino a vivere l’esaltante esperienza di vederle tornate in primo piano; parole e cose che, improvvisamente, riuscivano a coinvolgere le menti e i cuori della sua gente.
Per questo Jeremy Corbyn è stato oggetto, sin dall’inizio ( a partire dal paludato ma ferocissimo Economist) di un linciaggio personale e politico senza precedenti. Probabilmente, i “capitalisti”, leggi i difensori dell’ordine economico e sociale esistente, non possiedono l’intelligenza collettiva che gli viene attribuita ma hanno comunque l’istinto animale per individuare chi li minaccia. E i mezzi per distruggerlo. Vediamo come.
Agli inizi, e sino alle elezioni del 2017, si è usata l’arma del ridicolo. Eccolo il povero scemo che avrebbe portato il partito al disastro, fino a cancellarlo dalla scena politica inglese ( lo diceva l’Economist, secondo solo a Repubblica nel fare previsioni sbagliate). Eccolo l’evocatore di fantasmi, il minus habens maestro di ogni possibile astruseria e anticaglia; eccolo il perdente per vocazione, eccolo l’ultimo dei mohicani e senza la tragica nobiltà dei suoi predecessori.
Dopo il 40% delle ultime elezioni ( che, per inciso, i socialisti del Psi – dall’alto del loro 0.2% – giudicheranno una sconfitta; insomma “si poteva fare di meglio”) il tono cambia. E le voci si fanno più stridule. “Stalinista”; “traditore della patria” ( vedi Irlanda, prima dell’accordo del Venerdì santo), “responsabile primo della vittoria del Leave” (?!); “agente di Putin” ( come sopra), “ebete manovrato” ( da chi, non si è mai saputo) e, colpo mortale almeno nelle intenzioni, “antisemita”; lui e il suo partito.
E qui dobbiamo fermarci per riflettere. A partire da alcuni dati di fatto.
Il primo è che, almeno nel mondo occidentale, l’antisemitismo, leggi l’odio per gli ebrei in quanto tali ( sia esso per motivi razziali, politico-sociali o religiosi) e le violenze contro le cose o le persone, attraverso il quale si manifesta, rimangono patrimonio dell’estrema destra. Questa, almeno la conclusione unanime di esperti e responsabili della sicurezza.
Il secondo è che quest’odio non ha più alcuna rilevanza politica. E per due fondamentali ragioni: la prima è che l’antisemitismo blandamente diffuso in tutte le classi dirigenti europee e occidentali ( ma ferocemente presente nell’Europa dell’Est e del Sudest), prima della Seconda guerra mondiale è stato completamente sostituito dall’antiislamismo. Mentre, dato assolutamente fondamentale, sia in America che in Europa l’area populista che si riconosce nelle analisi di Bolton è, ad un tempo, antisemita ( e cioè nemica degli ebrei in carne ed ossa) e grande sostenitrice, senza se e senza ma, di Israele ( e cioè degli ebrei dell’Antico Testamento).
Da politico di razza, Netanyahu ha sfruttato questa situazione sino in fondo. A lui l’antisemitismo di destra o il suo razzismo non danno alcun fastidio ( per non dire che gli fanno gioco: ogni violenza contro gli ebrei della diaspora è una conferma che l’unico loro sicuro rifugio è Israele); quello che conta è il loro totale appoggio alla sua politica.
Suo nemico mortale è invece la sinistra filo palestinese. Quella, rappresentata una volta dall’Internazionale socialista, impegnata in prima persona, dalla guerra dei sei giorni in poi ( ne conservo pieno e diretto ricordo) a costruire dal nulla un processo di pace, basato sul riconoscimento reciproco all’esistenza e all’autodeterminazione.
Di questa sinistra Corbyn rimane, forse, l’ultimo significativo rappresentante: scomparso Oslo, scomparso il processo di pace, scomparsi i palestinesi. Ridotti, assieme a lui, i sostenitori della causa palestinese, a contestare sempre più radicalmente la politica dei governi; e a promuovere – senza riuscirci – sanzioni internazionali nei loro confronti. Quanto basta a Netanyahu per ispirare una campagna d’odio con l’obiettivo di ridurre il nostro compagno in una condizione di appestato; in base al principio, più volte affermato, per il quale chiunque contesti la politica di Israele è – che lo sappia o no – un antisemita. Una censura che ha funzionato; portando, di fatto, l’Europa a chiamarsi fuori da un problema cui, precedentemente, aveva dedicato tante energie.
Pure, la nostra adesione formale alla “dottrina Netanyahu” non sta scritta da nessuna parte. E, quindi, fino a propria contraria, ciascuno è libero di condividerla, oppure no; senza considerarla, in ogni caso, un testo sacro. Il che significa che Corbyn e il suo partito potranno anche opporsi alle politiche del governo israeliano senza essere tacciati, per questo, di antisemitismo.
Mi si dirà che i media italiani, assieme a diversi confratelli europei e alla stampa di destra inglese, hanno condannato in via definitiva il leader laburista, sulla base di un appello firmato, tra gli altri, da Le Carrè.
Un materiale certamente rivelatore. Ma non della condizione attuale di Corbyn ( o di Le Carrè) bensì di quella dei nostri media.
Fonte foto: Dagospia (da Google)