Limiti e contraddizioni del femminismo contemporaneo
“aclassista”. Una lettura critica sul nodo del “patriarcato” e sul
dominio del sistema capitalisico.
Lo scorso 25 novembre si è celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Molti sono stati i cortei promossi dalle associazioni femministe al
grido “disarmiamo il patriarcato” e violente sono state le polemiche nel
mondo politico. Sotto accusa “l’ideologia tossica dell’italiano maschio
ed etero”, come amano dire le femministe fuxia, e la “cultura
patriarcale” cui è attribuita la responsabilità morale dei femminicidi.Occorre premettere che qui non si vuol certo negare il maschilismo
ancora presente nella nostra società ma – considerato che il pensiero
femminista contemporaneo non è evidentemente in grado di contrastarlo
essendo mancante di una analisi critica della società capitalistica che
riduce uomo e donna a pedine indifferenziate di un sistema che, in nome
della produttività e dei profitti cancella, anziché preservare, le
differenze che innegabilmente scaturiscono dalla diversità di uomo e
donna – quel che si vuole contestare è che parlare di patriarcato nel
2024 è anacronistico e oggettivamente scorretto. La società patriarcale,
infatti, è tramontata 200 anni or sono, come dice anche il professor
Cacciari. In realtà, già J. Lacan, nel 1969, durante un congresso,
all’indomani del maggio francese, quando uno degli slogan più in voga
era “una donna ha bisogno di un uomo come un pesce di una bicicletta”,
parlò di “evaporazione del Padre”. Per Lacan, la questione del Padre
evapora già dal tempo moderno. Lacan considera acquisito che il tramonto
del patriarcato risalga addirittura alla nascita della scienza moderna,
con la messa in questione di Dio, con Galileo, quando si taglia la
testa ai re e si sposta l’equilibrio del potere sulla democrazia.
Quindi, noi viviamo nel tempo dell’evaporazione del Padre e non certo del patriarcato. Il nostro tempo non è più quello della “Legge del Padre” per dirla con Lacan, ma quello in cui il desiderio si impone sulla Legge. Vige la Legge non del Padre ma del Godimento, della deriva narcisista e cinico-materialista. Una volta che si è detronizzato il Padre salta la condizione della comunità e si va incontro ad una catastrofe etica dove il desiderio non incontra limiti, essendo venuta meno la potenza della Legge. Prendendo il sopravvento il desiderio, patiamo la carenza della funzione paterna che sa tenere insieme Legge e possibilità di desiderio. Senza, viviamo nel narcisismo edonistico contemporaneo: ci ritroviamo gettati nell’individualismo più alienante in cui il soggetto vive il sogno allucinatorio e falsamente libertario dove un godimento senza limiti è possibile; per cui si può sapere tutto, avere tutto, essere tutto, fare tutto nel vortice di una fantasia narcisistica della libertà che subisce, invece, una degradazione essendo ridotta a “capriccio”. Già allora Lacan, incredibilmente profetico quanto provocatorio, osservava che venendo meno l’ordine del Padre che, si badi bene, è un ordine simbolico e discorsivo dotato di due significazioni, una chiaramente antropologica e una clinica, quello che verrà a sostituirlo sarà un regime di sostituti; anzi di “segregazioni”, per usare il termine lacaniano, che moltiplicano le barriere nel rapporto tra gli uomini producendo un disordine delle forme organizzative della famiglia e della società.
“Il nome del Padre”, garantisce la Legge e porta il soggetto nel mondo all’interno di un orizzonte dove a prevalere è la dimensione simbolica. Nel discorso capitalistico, invece, è la cosa che surclassa la parola. La volontà di godimento soppianta il funzionamento simbolico del Padre e della Legge: domina su tutto il consumo, la fruizione continua di oggetti consumati in un orizzonte di narcisismo assoluto in cui l’Altro non è nemmeno contemplato e in cui tutto è reificato. “Il narcisista maligno” che commette femminicidio, di conseguenza, non può essere “il figlio sano del patriarcato”. Ha, invece, molto a che fare con un tempo orfano di Padre, dove all’interno di un sistema in cui la competizione e il successo sono al vertice della piramide valoriale, un rifiuto, un “no” non sono ricevibili, giacché si è perso il senso del limite. Evaporazione del Padre è anche evaporazione del limite. Ma la responsabilità, è chiaro, non è del patriarcato. Sarebbe corretto, ai fini di un’analisi rigorosa, che le tragedie della cronaca venissero lette e comprese alla luce di un diverso paradigma interpretativo che, tenendo conto di tutte le variabili, sia in grado di fornire una lettura dei mutamenti antropologici, sociali e politici che inevitabilmente intervengono nel corso della storia. Ma la bieca propaganda non procede così. E si chiude in slogan senza senso.
Fonte articolo: https://futurasocieta.com/2024/12/05/patriarcato-o-evaporazione-del-padre/