Ovvero, l’XI comandamento della stampa italiana
Non è un comandamento imposto dall’esterno o nato da chissà quale complotto. E’ una specie di autocensura, nata,magari inconsapevolmente dalle viscere stesse dei nostri media, nel corso degli ultimi decenni. Lungo un percorso di deterioramento non dissimile da quello subito dalla società politica e dalle nostre istituzioni.
Da tempo sui nostri media i commenti fanno premio sui fatti. Una prassi frutto ad un tempo di infinita pigrizia e di naturale propensione al conformismo, dell’abbondanza di intelligenza e della scarsezza di coraggio e soprattutto di propensione al rischio insito nel mestiere
In questo processo di deterioramento la rinuncia a dare le notizie che non si possono commentare non è uno strappo violento ma una logica tappa di un percorso oramai automatico e sostanzialmente inconsapevole.
Ma ciò rende il processo stesso non solo più scandaloso ma anche più preoccupante. Alla censura, si resiste. All’autocensura no; tanto più se generalizzata. Le “fake news”possono essere individuate e combattute ( magari meglio se da strutture indipendenti): Le “non news”e su temi importanti rischiano di scomparire dalla nostra vista.
Rischiano di scomparire. Ma non scompariranno. Perché, soprattutto dopo la pandemia, l’epoca del grande sonno sta per finire. E perché i fatti hanno la testa dura e prima o poi finiranno con il manifestarsi a danno e beffa di chi aveva tentato fino all’ultimo di nasconderli.
Dobbiamo essere polemici. Ma non pessimisti. Ed è in questo duplice atteggiamento che vi proponiamo tre sparizione miracolose praticate dalla nostra stampa nel corso degli ultimi tempi. La prima ha a che fare con la questione palestinese. La seconda con due mostri sacri di nostra fabbricazione: la Tav e la Fca.
ISRAELE/PALESTINA
Siamo alla vigilia del primo luglio, data limite stabilita da Netanyahu, per l’annessione di una larghissima parte della Cisgiordania e, almeno sinora, la nostra stampa, a differenza di tutta la stampa internazionale, non ha dedicato al tema la minima attenzione. L’idea di base che ci è stata proposta è che l’asse Netanyahu-Trump funzionerà senza problemi; che Gantz si allineerà; che i paesi arabi opporranno una resistenza puramente di facciata così come l’Europa e questo perché dei palestinesi non frega un…a nessuno; e che, infine, i palestinesi assisteranno impotenti all’evento.
Ora, si dà il caso che nessuna di queste cose sia vera. Perché Trump è incerto sul da farsi, con i suoi più stretti consiglieri su posizioni opposte e nella convinzione sempre più forte che seguire Bibi sino in fondo nuoccia alla sua rielezione. Perché Gantz oppone il veto ad azioni unilaterali, contrarie alla lettera e allo spirito dell’”accordo del secolo”. Perché la Giordania, la più diretta interessata, minaccia “serie conseguenze”. Perché i palestinesi già praticano la fine di ogni accordo di cooperazione pagandone consapevolmente le conseguenze. E, infine, perché il tema è al centro dell’attenzione della collettività internazionale.
Per effetto di tutto questo, possiamo azzardare questo pronostico, l’esito della vicenda sarà molto diverso da quello che ci si attendeva. Oggi, Gantz dice ( riportato solo dall’Avvenire) che non ci sarà alcun 1 luglio. E così stando le cose l’alternativa è tra rinvio e avventurismo rovinoso e solitario. Uno scenario che una stampa degna di questo nome avrebbe dovuto prevedere; e che si limiterà a commentare, sempre con le opportune cautele.
TAV
Questa, signori, è certamente una delle più clamorose sparizioni della storia.
A cavallo tra il 2018 e il 2019 non si era praticamente parlato d’altro. Nel segno delle più perfette sintonie tra lavoratori e madamine, come tra la Lega e il Pd di Renzi e, allora, di Zingaretti ( ricordo ancora il suo pellegrinaggio nella valle subito dopo la sua elezione a segretario). Amorosi sensi confermati da un solenne voto parlamentare che poneva la realizzazione dell’opera al centro della riscossa produttiva e nazionale del paese, a partire da quella del nord. Mancava soltanto : “Italia e Vittorio Emanuele”e il quadro sarebbe stato completo.
In questo tripudio universale, nessuno che entrasse nel merito. Costi, volumi di traffico, ambiente, priorità, volgarità del genere; e chi osava, in sede tecnica, formulare una qualche opinione veniva subito zittito come incompetente, se non peggio.
Ancora, una volta, allora, i giudizi, anzi i pregiudizi, portavano necessariamente ad oscurare i fatti. La Tav era un’opera pubblica richiesta dal Nord è ciò le conferiva un valore sacrale; la Tav sarebbe stata il punto d’incontro politico tra la Lega e il Pd sul cadavere degli odiati grillini e accodarsi ai vincitori era comunque una buona cosa.
Da allora in poi un silenzio tombale. Ma proprio tombale; con nessuno che chiedesse notizie dello scomparso. Forse perché l’ipotesi politica su cui avevano scommesso i nostri giornaloni ( un accordo per arrivare alle elezioni tra Salvini e Zingaretti: tu vinci e io ti faccio l’opposizione responsabile)
non si è realizzato. Forse perché il Nord ha avuto altre priorità da gestire. Forse perché il Sud ha un tantino rialzato la testa. Forse perché l’opera non può rientrare tra i progetti finanziati dall’Europa dopo l’esplosione della pandemia.. O magari perché i verdi francesi ed europei l’hanno pubblicamente bocciata. Mentre la Corte dei Conti dell’Ue la considera inutile costosa e inquinante.
Ma sicuramente perché, Britannia o non Britannia, la nostra stampa non vuole anzi non può raccontare dei fatti che non è decentemente in grado di commentare.
FCA
Come è noto, la Fca ha chiesto la garanzia statale per un prestito di 6.3 mdi. Com’è noto, c’è qualcuno che nel governo ha chiesto, con il debito rispetto, che la concessione di questa garanzia dovesse essere collegata ad un qualche impegno da parte Fca. Com’è noto, questa modesta richiesta ha suscitato l’ira della s ( S)tampa, al punto di trasformare giornalisti molto british in sguaiate comari. Com’è noto si è poi raggiunto un accordo, il cui contenuto non è stato però divulgato. Come non è noto, ma dovrebbe esserlo, la stampa internazionale ci ha raccontato che la Fca è in guai seri e soprattutto nei suoi stabilimenti italiani: capacità produttiva inutilizzata, soprattutto a Mirafiori; gamma di prodotti sbagliata, mercato italiano ed europeo in forte crisi, acuita ma non determinata dal Covid; e, di conseguenza, estrema difficoltà nel tenere fede agli impegni assunti con il governo ( mantenimento dell’occupazione, niente delocalizzazioni).
Non sono notizie di poco conto. Siamo di fronte ad un problema serio. Ma di queste notizie non c’è la minima traccia nella grande stampa italiana. Perché è esclusa in partenza la possibilità di commentarle…