Nè rossi nè neri? Ma amici dei carabinieri…

 

Una interessante analisi sul “fenomeno” Casapound che volentieri pubblichiamo:

In questo blog ( http://sollevazione.blogspot.it/%22 ) abbiamo pubblicato una serie di schede sulle diverse liste elettorali, in particolare su quanto i loro programmi dicano (o non dicano affatto) dell’Unione europea e dell’euro.
Siccome CasaPound Italia (CPI) chiede il ritorno ad una moneta sovrana e l’uscita unilaterale dalla Ue, abbiamo chiesto a Moreno Pasquinelli di darci un giudizio complessivo su CPI a partire dal suo programma elettorale — “UNA NAZIONE, il programma politico 2018“.

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“I PARACULI DEL TERZO MILLENNIO”
Con quali criteri si può comprendere la natura di una determinata forza politica? Ne indico i principali: i fini che essa si propone, i mezzi che utilizza, le sue radici ideologiche, la storia del suo gruppo dirigente, gli interessi sociali che difende.
L’articolato programma elettorale di CPI ci offre tutte le risposte che cerchiamo? No, non tutte, poiché oltre al detto c’è il non detto, oltre all’esplicito c’è l’implicito. Occorre quindi la “fatica della ragione”. Troppo comodo, oltre che inefficace, fare gli esorcismi, peggio ancora è partecipare alla strumentale campagna “antifascista” di demonizzazione promossa delle élite neoliberiste, distinguendosene magari col più uno della richiesta di messa fuori legge. Non parliamo infine, per carità di patria, di certo antifascismo che si rifiuta di interloquire nelle tribune politiche con esponenti di CasaPound et similia, lasciandogli campo libero, o che rifiuta di allestire banchetti nei pressi di quelli di CPI. Si chiama contaminazione per prossimità, pratica di evidente origine ebraica — nell’antica Giudea farisei ed esseni erano tenuti a purificarsi ove fossero stati contagiati dalla vicinanza con gentili ed infedeli.
Vi dico subito qual è la mia tesi: CasaPound Italia è senza alcun dubbio un’organizzazione neo-fascista, ove tuttavia il prefisso “neo” non è un mero orpello.

Pericoloso e patetico è dunque il disperato tentativo cosmetico di Marco Mori, per il quale, udite udite, solo CPI avrebbe capito cosa dica la Costituzione.

A Mori fanno tuttavia ahinoi eco certi nostri  amici per i quali oggigiorno i fascisti non esisterebbero, che fascista semmai è il regime neoliberalista, e condannano dunque l’antifascismo, compreso quello nostro, come un’arma tossica del pensiero unico liberale.

Necessario è dunque, in tempi di regnante confusione, ribadire che da queste parti eravamo e restiamo antifascisti. Un antifascismo il nostro, che non ha nulla a che fare con quello isterico di certa sinistra antifa, figurarsi con quello peloso delle élite liberali, che consideriamo il vero nemico principale —abbiamo spiegato QUI  quale sia questo tipo di antifascismo e che un nemico secondario non per questo diventa un alleato amico.
Che CPI sia un movimento di tipo fascista Simone di Stefano non perde occasione per ribadirlo:

«Certo, siamo orgogliosi di rappresentare il fascismo sociale. Il fascismo ha unito l’Italia, ha costruito una patria, ha dato assistenza sociale e diritti ai lavoratori, ha realizzato grandi opere. Nello spirito continuiamo ad essere fascisti anche se siamo nel terzo millennio e il potere lo dobbiamo ottenere solo grazie al consenso popolare».

Fascisti dentro e “democratici” fuori. Un ossimoro, tuttavia cavallo di battaglia di Simone di Stefano che giorni addietro, in quel di Milano ha dichiarato:

«Certo. Siamo gli eredi della tradizione che dopo Rsi e Msi è stata interrotta da An. (…) Casa Pound è un movimento democratico che si candida democraticamente alle elezioni che crede nella democrazia e difende la Costituzione a spada tratta, non vuole nessuno stato totalitario, vogliamo governare questo Paese con gli strumenti che ci concede questa democrazia e questa Costituzione. Punto e basta!»

A tutta prima, mi si perdoni l’analogia teologica, sembrerebbe dover dar ragione ai duofisiti, quelli che ritenevano il Cristo avesse due nature, la divina e l’umana.
Ammesso che il divino e l’umano possano essersi incarnati in Gesù, di certo non possono stare assieme il Diavolo e l’Acqua santa. Scendendo dai cieli della teologia al prosaico terreno politico, ritengo che questa professione di fede democratica non sia sincera.

Penso, al contrario, che Di Stefano stia astutamente dissimulando i suoi veri intendimenti strategici —che come vedremo sono nascosti tra le pieghe del programma 2018. Intendimenti che non vuole e non può confessare se vuole, rebus sic stantibus, ottenere l’obbiettivo (che considero realistico) di superare la soglia di sbarramento del 3%.

La rivendicazione piena della tradizione fascista (con addirittura il considerarsi eredi della Repubblica Sociale Italiana) e la difesa “a spada tratta” della Costituzione non possono evidentemente stare assieme. Nessuno dimentichi che anche Mussolini e Hitler salirono al potere “democraticamente”, ovvero per via elettorale e grazie all’appoggio delle classi dominanti. Nessuno infine dimentichi che il fascismo italiano si fece strada grazie ad una insidiosa opera di camuffamento politico. Il programma originario di Mussolini, per quanto innervato di nazionalismo revanchista, contemplava infatti radicali riforme sociali di sapore non solo democratico ma anticapitalista. Pochi seppero presagire ciò che il movimento fascista sarebbe diventato, ciò che nelle determinate circostanze degli anni ’20 del secolo scorso era destinato a diventare.

Qui sta il punto: le concrete circostanze agiscono su una forza politica spingendola a diventare, in base al suo Dna, ciò che essa è destinata ad essere.

Io non ho dubbi — ove la società italiana continuasse a sprofondare nel marasma economico, ove conoscesse un inasprimento delle contraddizioni sociali, ove la classe proletaria rialzasse la testa ed il regime neoliberista traballasse— che la grande borghesia capitalistica chiederà il soccorso dei neofascisti e che questi ultimi accetteranno di mettersi al suo servizio, diventando, ove ne avessero la forza, artefici di un regime di dittatura capitalistica. Sbaglia dunque, e di grosso, chi immagina che CasaPound abbia celebrato, in sordina, la sua “Bolognina”.

Non voglio entrare nel merito di disquisizioni di carattere teoretico sul peculiare fascismo di CasaPound. Ne hanno scritto su questo blog Ferretti e Fraioli. Di passata mi limito a dire che l’affollato Olimpo simbolico dove CPI fa abitare i suoi idoli [vedi grafica a destra] esprime come meglio non si potrebbe la più pittoresca delle carnevalate ideologiche: Platone e D’Annunzio, Codreanu e Marinetti, Evola e Sorel, Dante e Capitan Harlock.

Ma questo Olimpo, al netto della sua stravaganza terzomillenarista ha un senso squisitamente politico prima ancora che mitologico: svela il tentativo di raggruppare i neofascisti, dopo decenni di divisioni in gruppi ostili, in un unico contenitore. Tentativo riuscito a quanto pare: CPI si è imposta d’imperio come la principale ed egemone organizzazione nel campo del neofascismo.

Forte di questa egemonia ora CPI tenta di fare il salto a partito neofascista di massa —di cui il superamento del 3% è precondizione. Per farlo deve portare a compimento l’opera di mimetizzazione politica e di camuffamento dei fini. Obbiettivo secondo me raggiunto col Programma 2018. E siccome stiamo parlando di dissimulazione dei fini, è d’obbligo analizzare non soltanto ciò che questo programma afferma, ma pure quello che invece non dice.

Un’attenta analisi testuale e concettuale di questo Programma ci fa scoprire quello che non viene detto, che disvela — nel senso greco di aletheia— al pari di quel che viene scritto, la vera natura di CasaPound.

E’ sintomatico che in questo Programma di 20 pagine e articolato in ben 16 capitoli manchino del tutto alcuni concetti simbolici che hanno caratterizzato la moderna storia sociale successiva alla Rivoluzione francese. Questi concetti possono essere tradotti in alcune parole chiave. Quali sono queste parole chiave del tutto assenti dal Programma di CPI?

Ne ho contate ben dieci:  sovranità popolare, uguaglianza, emancipazione, fratellanza, pace, diritti civili, cittadinanza, classe sociale, capitalismo, socialismo.

Si tratta di una svista? Ma ovviamente no. E’ che a specifiche identità e radici ideologiche corrispondono necessariamente un lessico ed un linguaggio determinati. E’ che identità e radici finiscono sempre per avere la meglio sui tentativi cosmetici di imbellettamento.  Insomma, ad un’attenta analisi testuale fallisce lo scaltro tentativo di nascondere con una maschera il proprio volto.

CPI non usa mai i concetti di uguaglianza, fratellanza, emancipazione, sovranità popolare, cittadinanza (figurarsi quello di socialismo). Perché non li usa? Perché, per quanto sia audace il tentativo cosmetico, essi confliggono con la sua concezione antropologica, sociale e politica. E qual è questa concezione? Essa è di evidenti scaturigini liberali, per cui non solo le diseguaglianze di classe sarebbero ineliminabili, la sovranità politica spetterebbe a minoranze aristocratiche e guerriere, ma sarebbe nell’ordine naturale delle cose che i forti comandino sui deboli, e quindi privato di fondamento il principio che sta alla base della nostra Costituzione, quello della cittadinanza, ovvero dell’eguaglianza non solo formale ma sostanziale. Di qui la proposta di CasaPound di manomettere la Costituzione introducendo lo jus sanguinis. Di qui l’idea del “rimpatrio forzato” di centinaia di migliaia di immigrati irregolari, ovvero, ammessa e non concessa la sua fattibilità, una vera e propria deportazione in massa che ha puzza lontano un chilometro di gigantesca pulizia etnica.

Per le dieci parole chiave del tutto assenti ce ne sono tre citate ma soltanto una volta ciascuno: Democrazia, libertà e Repubblica. Vediamo a significare cosa.

Democrazia. Il programma parla di “democrazia organica e qualititativa”. Un modo furbetto per nascondere due concetti tipicamente fascisti: quello del corporativismo come metodo per appianare e sedare i contrasti di classe tipici del sistema capitalistico, quindi il mito della nazione non come demos storico inclusivo ma come “comunità di sangue e destino”.
Libertà è citata un volta sola, ma declinata al plurale, per intendere le libertà della “nazione potenza”,  giammai nel senso dei diritti di libertà della persona e delle minoranze.

Repubblica è citata una volta soltanto, quando si afferma:

«La nostra lontananza dall’epoca, dagli uomini e dai partiti che partorirono la Costituzione della Repubblica italiana non deve indurci a sottovalutare quanto, in essa, esprima visioni sociali avanzate e influenzate dall’esperienza storica precedente».

Quindi per sottolineare, non la rottura tra Costituzione repubblicana e fascismo ma, al contrario, una presunta continuità.

En passant e parlando di assenze… Ad un certo punto il Programma 2018, parla della difesa del “patrimonio culturale ancestrale dei popoli europei”. Ammesso che non sia un tic europeista, di che bestia si tratta? Non delle “radici cristiane”, mai tirate in ballo.

Alle parole chiave mancanti fanno da contraltare quelle esorbitanti. Due su tutte: Stato e Nazione. Esse sono declinate in ogni loro possibile variante: autoritaria, nazionalistica, sciovinista, imperialistica, dunque fascistoide: “Stato potenza”, “Stato integrale”, “Stato organico”, “grandezza nazionale”, “nazione potenza” di contro alle “nazioni ostili”. Mazzini avrebbe qualificato il tutto come “insulsa vanagloria nazionale”. Un revanchismo nazionalistico conclamato che sta agli antipodi del patriottismo democratico. Non a caso si perora, testuale, il “ripristino della geopolitica degli anni trenta verso il Mediterraneo e l’Oceano Indiano”, a cominciare dall’invasione militare della Libia. Non a caso si propone che l’Italia aumenti le risorse destinate agli armamenti, incluse le bombe atomiche.

Al fondo c’è l’idea che sovrano non sia il popolo ma uno Stato padrone, totalitario, modernista, élitista, a cui tutto dev’essere sottomesso — sintomatico che CPI non chieda l’abolizione della famigerata Legge 119 (Lorenzin) per la vaccinazione obbligatoria, votata in aperta violazione della Carta Costituzionale che all’Art. 32 tra l’altro recita che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Nazionalismo imperialistico + statolatria + corporativismo, qui sta il tronco da cui si diramano i numerosi rami, la catena di proposte sociali e politiche contenute nel Programma. Che molte di esse siano giuste di sicuro trarrà in inganno diversi cittadini. Peggio, ci sono alcuni intellettuali i quali, ammorbati dall’economicismo, sostengono che quello di CPI sia un “programma Keynesiano”.Non c’è dubbio che chi ha elaborato il Programma di CasaPound, parliamo dei capitoli che trattano la questione economico-sociale, abbia attinto a piene mani nel patrimonio del campo del sovranismo costituzionale. Si deve anzi dire che CPI sia riuscita, assieme alla Lega salviniana, a parassitare questo campo.

Detto questo, se per keynesismo s’intende il ruolo dello Stato come agente che entra in scena per lenire i danni del liberoscambismo capitalistico, allora sì, il Programma di CPI è, lato sensu, keynesiano. ma c’è keynesismo e keynesismo: ci fu quello del New Deal, quello nazista, quello inglese del Piano Beveridge, infine quello contemplato dalla nostra Costituzione, che non solo pone lo Stato al centro, che al centro pone la democrazia sostanziale, ovvero la tensione verso l’eguaglianza sociale. Che dunque connette strettamente la sfera economica con quella politica.

Non essendo questa la sede per svolgere una critica al pensiero di Keynes (ne già abbiamo scritto) sottolineiamo che quella di CPI non è solo una variante antidemocratica e nazional-imperialistica del keynesismo, dal punto di vista delle misure sociali è un keynesismo con evidenti concessioni al liberismo.

Il Programma 2018 parla infatti: di “dimezzare il carico fiscale” (che è un diverso modo di chiamare la flat tax); non si parla mai né di riduzione dell’orario di lavoro né di salario minimo garantito e si perora invece la contrattazione decentrata; non si chiede il ripristino dell’Art.18; non si contempla la nazionalizzazione del sistema bancario; non si chiede un controllo sui movimenti dei capitali; non parla mai di un piano pubblico per la piena occupazione ma si insiste sul completamento delle grandi opere ed il ritorno al nucleare.
Sorvoliamo sulla stucchevole favoletta delle piccole  e medie aziende (CPI le considera, a torto, “il punto di forza dell’economia italiana”)

Mettiamola così:

«Un albero buono non dà frutti cattivi e un albero cattivo non dà frutti buoni. La qualità di un albero la si conosce dai suoi frutti: difatti non si raccolgono fichi dalle spine e non si vendemmia uva da un cespuglio selvatico».

[Vangelo secondo Luca]
Fonte: http://sollevazione.blogspot.it/2018/02/i-paraculi-del-terzo-millennio-di.html

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