Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Domandona che ricorre spesso tra noi che abbiamo preso coscienza e vorremmo che gli altri si unissero alla nostra lotta. Uomini e donne, s’intende, perché è una battaglia di democrazia, ma gli uomini sono i diretti interessati e dovrebbero essere l’avanguardia di questa battaglia ideale e politica. Eppure, nonostante criminalizzazioni, scherno, sentenze scandalose (tutta roba che noi sappiamo bene), niente o quasi si muove.
Innanzitutto vorrei fare una
raccomandazione a noi che abbiamo intrapreso questa difficile battaglia.
Trattasi di una lotta di lunga durata da intraprendere con lo spirito del
maratoneta, non dello scattista. Poi riconosciamo i risultati raggiunti che ci
sono almeno a livello di opinione diffusa anche se molto meno a livello della
cosiddetta “pubblica opinione” cioè quella gestita dai media.
Infine ricordiamo che è
necessario che prevalga sempre la razionalità, non dobbiamo “entrarci in
fissa”, come si dice a Roma, facendone quasi una ragione di vita. Troppi
ne abbiamo visti abbandonare il campo dilaniati dalla delusione.
Torniamo alla domandona del
titolo. Come causa emerge immediatamente la strapotenza del nemico, il continuo
bombardamento mediatico privo di contraddittorio. Sappiamo bene che il femminismo
è diventato luogo comune e spirito dei tempi. Di fronte alle nostre istanze spesso
c’è addirittura stupore.
Eppure lo strapotere dell’avversario
non è una spiegazione sufficiente. In questi anni abbiamo visto emergere forti
movimenti contro il cosiddetto mainstream. A partire dalla prima Lega Nord fino
ai forconi vari, i no vax, ecc. Non si tratta di discutere la condivisibilità o
meno di tali movimenti ma del fatto che si muovevano contro l’ostilità di tutti
o quasi i media e la politica e, nonostante ciò, si sono affermati. In questi
movimenti gli uomini erano sempre protagonisti molto attivi.
Quando invece si chiede agli
uomini di combattere per i loro diritti in quanto uomini, questi nicchiano. È
ovvio che ci troviamo di fronte a resistenze di tipo psicologico. Sia lo
zerbino, che si sente l’oppressore che deve espiare, sia il macho, che si sente
forte, faticano a riconoscersi come vittime.
C’è poi una terza categoria di
uomini che, pur riconoscendosi come discriminati, affrontano la loro condizione
con una sorta di “virile rassegnazione”, come fosse una prova da
affrontare sopportando e senza dar segni di sofferenza. Tutto ruota intorno
alla loro identità maschile che non può sopportare il sentirsi vittima. Paradossale
parlare d’identità, in un’epoca che le frantuma, sopratutto quella maschile.
Come se di questa identità maschile ne restasse solo quella scheggia che
inibisce una logica reazione. Nulla accade per caso, ovviamente.
Noi dell’area dell’Interferenza e
di Uomini e Donne in Movimento, in quanto compagni, abbiamo un aggravio di
difficoltà. Ci siamo posti un compito ancor più difficile, portare la critica
del femminismo nell’ambito della sinistra. Sappiamo che dire di sinistra
equivale a dire femminista. Negli anni ’70, i compagni opposero una certa
resistenza al femminismo ma poi la resa fu totale. Circa la nostra “lunga
marcia” nell’ambito della sinistra, possiamo dire che abbiamo consolidato un
gruppo di militanti combattivi e preparati e ottenuto un certo “sdoganamento”
della questione maschile.
Più travagliato il rapporto con
altri soggetti della sinistra. Emblematica la nostra esperienza con il PC e
Marco Rizzo. Questi, pur avendo l’attitudine ad infrangere tabù, attitudine che
lo porterà recentemente al molto discutibile abboccamento con Alemanno, faticò
non poco ad aprirsi ai nostri contenuti. Candidò Fabrizio Marchi alle elezioni
comunali di Roma ma, nonostante che nello sfacelo del risultato del partito Fabrizio
ottenesse un numero di preferenze che nessun altro candidato (dello stesso
partito) prese, la cosa finì lì. Stessa storia, più o meno, con i compagni di
Risorgimento Socialista. Da un’iniziale apertura, si passò presto ad
un’ermetica chiusura.
Siamo di fronte ad un circolo
vizioso. La mancanza di una sponda politica, per quanto minoritaria, rende
difficile lo “sdoganamento” completo della questione maschile, la
passività degli uomini rende difficile avere una sponda politica.
Continueremo a dialettizzarci con
le forze (?) politiche socialiste e comuniste ma è sull’intaccare la passività
maschile che dobbiamo concentrarci. Il problema è come riuscirci. Innanzitutto
occorrerebbe un’analisi scientifica della scarsa reattività maschile, non
bastano certo queste mie poche righe. Sarebbe necessaria una vera e propria
ricerca di psicologia sociale magari inserita in un lavoro di “marketing
politico” e cioè: nel “mercato delle idee” il nostro messaggio
non ha appeal, come renderlo più efficace?
Ci vorrebbero tante risorse per
fare qualcosa di serio. In futuro, forse. Per ora, ognuno si sforzi di
rispondere alla domandona iniziale a partire dalle proprie esperienze e
riflessioni sul campo. Mettendo insieme tante visioni parziali forse si potrà
trarre un quadro generale soddisfacente.
D’altronde, quando Mao diceva “chi non fa inchieste non ha diritto di parola”, non si riferiva certo ad inchieste della Doxa, ma ad un dibattito serrato tra compagni che conoscevano le realtà concrete e specifiche. Non c’è dubbio che della questione maschile ne abbiamo tutti una pluriennale conoscenza. Quindi, un piccolo sforzo. Commentiamo con le nostre riflessioni sul tema, possibilmente in maniera ordinata.