Foto: Corriere Fiorentino (da Google)
Se è importante l’inizio di un’opera (sia essa narrativa, musicale, poetica ecc…) ancora di più lo è la sua conclusione, l’explicit, insomma, che quasi sempre fornisce la chiave di lettura per tutta l’opera. Basti pensare al finale dei Promessi Sposi: senza quell’happy end che garantisce da una parte il significato del dolore vissuto in ottica provvidenziale e, nello stesso tempo, ribadisce un pessimismo sempre vivo nei confronti degli uomini (Renzo vuole che i figli imparino a scrivere e a leggere solo per non essere più “fregati” da gente come Azzeccagarbugli e non per una loro reale crescita e formazione) che sarebbe di ogni avventura vissuta da Renzo e da Lucia? I finali non si possono cambiare, a meno che non si voglia giocare a un gioco postmoderno di ipotesi su ciò che potrebbe essere, un gioco quasi enigmistico, ispirato agli esperimenti di Calvino e di Queneau, un gioco a cui, come i fondamenti postmoderni insegnano, non bisognerebbe credere fino in fondo. Invece Leo Muscara, regista della Carmen che ha debuttato domenica a Firenze, alla sua favola della Carmen cambiata crede veramente, o almeno ci propone e ci propina una sua qualche fede in quella novella sigaraia che – udite udite! – non viene uccisa da Don Josè (in nome di una generica e poco chiara riflessione sul tema del “femminicidio”) ma – ariudite ariudite! – lo uccide a sua volta! A parte le riserve sopra espresse per questi mutamenti che tolgono nervi e sostanza a un percorso drammaturgico delineato dagli autori originali (Bizet e i librettisti Meilhac e Halévy ma direi anche il povero Mérimée, dalla cui celebre novella omonima l’opera è tratta), facciamo notare quanto questo finale sia ipocrita e dannoso, perché il presunto “femminicidio” di Carmen non viene – se proprio bisogna! – sostituito con un finale pacifico e sereno di fratellanza e di comprensione tra i sessi (che sarebbe del resto fuori luogo in quest’opera) ma da un bel “maschicidio”! E vai con la violenza per sostituire violenza! Tutto però ben allineato con il migliore pensiero politicamente corretto: l’uomo è cattivo! A questo giochetto, però, non tutto il pubblico china la testa e Firenze fischia Muscara, che ha tutto il diritto (crediamo fermamente in un sano teatro di regia che rivitalizzi i classici e di loro ci faccia scoprire nuovi segreti) di reinterpretare registicamente Bizet ma nessuno di cambiarne l’impianto drammaturgico, meno che mai in nome di un’idea assai – ma proprio assai – discutibile (uccidiamo i maschi cattivi!). Se vuoi esprimere un’idea che ti convince (!), l’opera te la scrivi tu, caro Muscara!
Nella tristezza generale di questa violenza gratuita che vorrebbe proteggere dalla violenza, per fortuna c’è la pistola di scena che si è rifiutata di rendersi complice di un finale così cretino e si è inceppata! Le pistolet est un oiseau rebelle!
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