L’occidente collettivo sintetizza la sua decadenza partendo
anche da quella artistica.
Capita sovente ai registi, anche grandi, di avere un distacco dalla realtà e dalla potenza creativa, causa età e successo, che porta a vivere in un grattacielo separato o in una ztl mentale.; capitò anche al nostro maestro Fellini. Megalopolis di Coppola mi ricorda infatti le ultime opere del genio Riminese, come “la voce della luna”, ma in peggio.
Antonioni, Houston e Kubrick non ebbero tale crisi creativa, restando geniali fino alla fine. Coppola, del quale ricordo l’epica trilogia de IL PADRINO, che continuo a rivedermi, riempie di ingredienti asincroni il suo film agognato, come fosse uno chef petulante di oggi improvvisato, della serie carbocreme e granella di pistacchio.
Non è barocco della maraviglia, ma noia post-moderna e riesumazione di Fukujama e delle sue precarie fregnacce.
New York non è più il centro del mondo, in una evidente
ascesa di un nuovo ordine Multipolare che è il vero perché di una guerra che il
regista non sfiora nemmeno.
Non se ne può più della rappresentazione della Roma Imperiale ( ed imperialista) che affascina gli yankee e se ne fanno continuazione con altri mezzi di sterminio, forse sfumando sul periodo non decadente della Repubblica.
Forse sarei caduto a Filippi….tu quoque Luca Massimo.
Un’ opera in parole povere e dirette noiosa, lenta e scontata di un povero cineasta affermatissimo, travolto da un umano dolore famigliare, che non possiede gli strumenti per decifrare l’odierna vita, esprimendosi come un sopra-quotato autore sessantottino.
La Babilonia WOKE non ha strumenti adeguati per proporre o interpretare il futuro, se non trasformarlo in tragica farsa.
Fritz Lang rispetto a questa acqua fresca, con Metropolis era ed è un “avanguardia”. Apriamo gli occhi: siamo mediterranei, figli multiformi del Mare Nostrum, non barbari anglosassoni.
Fonte foto: Nerdevil (da Google)