Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Rimango sempre più sorpreso per la sorpresa dichiarata da molti commentatori per le botte prese dagli studenti a Pisa, manganellati dalla polizia. La galleria dei sorpresi in mezzo ad una strada è veramente lunga, ma non la definisco. Troppi nomi, di politici, artisti, intellettuali di ogni tipo. Come se per la polizia fosse la prima volta ad aver usato il manganello per picchiare sulla testa di chi dimostra in piazza. Lo stesso non si usa per i tifosi di squadre più o meno importanti, non con tanta acrimonia e foga.
Questa sorpresa cosa nasconde? Ci possiamo forse arrivare. Un sentimento di buonismo generalizzato in certi ambienti che si sono persi nel senso interno del politicamente corretto, come se tali pratiche fossero inusuali da parte del potere del governo e dei suoi addentellati. Come se reprimere con il sorriso sulle labbra bastasse, come se picchiare sulle teste adducendo motivazioni più o meno risibili – la polizia attaccata; chi picchia un poliziotto è un delinquente et similia – fosse lecito farlo, altrimenti non lo si può fare. La ragione sempre dalla parte della forza bruta permessa, cioè delle istituzioni. Ora, senza scomodare Hobbes, è chiaro che in uno stato ben ordinato deve essere solo la forza pubblica autorizzata ad usare violenza, ma almeno si dovrebbe, la stessa forza pubblica, trovare davanti ad un reato, in fragranza di reato. Non era assolutamente il caso delle botte di Pisa. Infatti, anche il Presidente della Repubblica è intervenuto nella questione con poche ma decise righe di richiamo al ministro dell’Interno: “Il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».
Ben chiaro, ed è chiaro anche il coinvolgimento di Piantedosi che, a detta della nota, sarebbe stato d’accordo. Ma forse così non è stando poi alle sue dichiarazioni successive e in concomitanza con l’accettazione delle parole di Mattarella. In soldoni dice il nostro: non c’è nessun piano di repressione, se ci sono stati casi isolati di violenza verranno sanzionati. Ma anche a Milano il giorno dopo vi sono state manifestazioni che hanno espresso momenti di scontro, risolti senza alcune criticità – sempre Piantedosi, il che vuole dire, ma ci arriveremo anche dopo, che i manifestanti hanno fatto qualche danno ma la polizia non è intervenuta, quindi si dimostra, e questo lo ha detto lui, che la nostra polizia è quella più democratica del mondo. Naturalmente dimenticandosi, ad esempio, del 2001 a Genova. Una mattanza. Ora altre condanne sono venute anche dal ministro degli Esteri Tajani al congresso di Forza Italia. Un discorso da zombie che parla con un prevedibile iniziale tributo a Berlusconi. Un partito che nel simbolo riporta ancora il nome del fondatore che è morto da circa un anno. Una espressione di sepolcrale ottimismo e di lugubre ripetizione verso il passato dato che il futuro appare incerto. Ebbene l’ingessato Tajani ha gridato che la polizia è al disopra delle parti e deve esser difesa. Ma non stava parlando della mafia bensì di ragazzini di minore età che avevano solo voglia di gridare il loro appoggio alla Palestina. Mettiamo anche nel conto il solito Salvini che ha detto le sue solite litanie sulla liceità di rompere la testa a chi manifesta. Insomma, il governo. Da parte degli estasiati sopresi uomini e donne, abbastanza divertente è stata la scena di Vecchioni, chiamato ancora professore, a 80 anni. Il titolo è riservato, come ex merito, ai docenti universitari e non a quelli della scuola superiore. Ma in sostanza lo stesso si è lanciato a dire: “noi non siamo così…”. Ma “noi” chi? Gli uomini d strada, gli italiani(?), i democratici, i ribelli, i comunisti? Non si sa. Non siamo così! Ma così come? Manganellatori seriali?
Le manifestazioni sono giuste e degne in sé. Chi manifesta esprime una coscienza critica verso la situazione sociopolitica, qualsiasi essa sia. Sfilare per chiedere qualcosa è lecito in sé. Il resto – disordini, botte, rotture di cose e negozi, scritte dappertutto, indelebili, scontri con le forze dell’ordine, sono un di più. Per alcune di queste di più inutili e/o sospette. Infatti, rompere una vetrina di un supermercato, senza neppure svaligiarlo, cosa vuole condividere con il manifestare. Naturalmente la stampa tutta appunterà l’attenzione sulla rottura e non sulle decine di migliaia di manifestanti in piazza. E poi se anche il supermercato fosse stato svuotato, a maggior ragione cosa avrebbe avuto a che fare con la protesta? Troppe volte si sono visti incappucciati all’opera. Troppe volte da non destare sospetti sulle loro azioni, sul senso di quello che stavano facendo in piazza. Sempre ricordiamo Genova nel 2001. Oppure scontri per arrivare al consolato USA o ad altri bersagli delicati. Bene: unavolta arrivati lì cosa sarebbe successo? Viene in mente Pajetta che telegrafa a Togliatti, nel 1947: Compagno, la prefettura di Milano è in mano nostra ed il Migliore risponde: ed adesso cosa te ne fai? Insomma, un potere alternativo non è in nessun modo paragonabile ad una rottura di un negozio o alla presa di una strada. Ma anche questa ricostruzione è noiosa: quante volte è accaduto questo o episodi ancora più pesanti espressi nelle manifestazioni? Gli estimatori della correttezza della polizia pare non abbiano l’età che hanno. Come se non avessero mai assistito a pestaggi in strada, dove sono morte pure delle persone, uomini e donne. Quindi manifestare è necessario ma deve essere robusto e corretto in sé. Dato che manifestare è giusto e corretto in sé. Il resto è noia e chiacchiericcio televisivo e giovanilistico. Forza, un po’ di razionalità anche in questi comportamenti. Il tempo nuovo si avvicina, non potrà essere sempre così. Occorre attrezzarsi e“pretendere l’impossibile”, uno stato etico ed un potere etico. La strada è ancora lunga: Grande caos sotto il cielo, mal’avvenire è radioso (Confucio – Mao Zedong)
«Non c’è che un rimedio: picchiare sodo! E confidiamo che, a poco a poco, pestando sui crani, si snebbieranno i cervelli»“Popolo d’Italia” (5 febbraio 1921) -Benito Mussolini
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