Emanuele Macaluso è uno storico e prestigioso dirigente politico del PCI dell’ala migliorista, la stessa cui appartenne anche Napolitano, oltre che un eccellente giornalista e scrittore, quindi un uomo che conosce alla perfezione l’utilizzo potenziale dell’arma delle parole. Del militante comunista mantiene, intatto, lo spirito di servizio totalizzante nei confronti del partito. Una tendenza al conferimento all’ammasso delle idee e dei valori, in nome di un bene superiore, quello del partito che, in quanto preordinato ad una funzione storica di guida élitaria delle masse, non può che avere una priorità sul tutto. E’ una concezione di partito, sia pur molto moderata e mitigata, di tipo stalinista: il partito inteso come “reparto organizzato” dove, per dirla con Stalin, “esiste una sottomissione della minoranza alla maggioranza, esistono delle decisioni pratiche, obbligatorie per tutti i membri del partito” (Stalin, Principi del leninismo, lezioni tenute all’università Sverdlov, 1924, Opere Scelte, vol.1, La Città del Sole). Una concezione macalusiana dove, certo (e questa è una differenza enorme rispetto a Stalin) le correnti interne e il dibattito interno sono riconosciuti, ma solo fino al punto in cui non mettono in discussione il ruolo centrale del partito, e non lo indeboliscono nella sua corsa al potere, considerata come priorità primaria. Il senso critico e l’autonomia di pensiero del singolo militante, che nello stalinismo ortodosso hanno diritto di esistere soltanto in quanto compatibili con la Linea, nella versione diciamo così più edulcorata, esistono in quanto non in contrasto con l’esigenza primaria del partito di conquistare il potere e mantenerlo. Grosso modo a qualsiasi costo.
Non è un caso se, per il bene del partito, un giovane Macaluso ad inizio carriera ideò, spregiudicatamente, il milazzismo, ovvero una sorta di riedizione aggiornata a un nuovo “nemico di classe” di fronti unici di staliniana memoria, dove il nuovo nemico di classe era la Democrazia Cristiana siciliana, e le componenti proletarie, contadine e piccolo-borghesi con le quali allearsi tatticamente potevano tranquillamente inglobare monarchici e persino missini. Certamente la Dc siciliana di quegli anni era un coagulo di interessi di quella spietata classe agraria reazionaria, alleata con elementi mafiosi, che fu responsabile della strage di lavoratori di Portella della Ginestra. Ma l’idea di sostituirla con una alleanza stretta con elementi ancor peggiori non poteva che gettare le basi per una sussistenza a tempo indeterminato di quel grumo di potere, in una operazione gattopardesca in cui cambiare tutto per non cambiare niente. La mentalità con cui il Nostro costruì questa operazione politica mirata ad estromettere la Dc dal governo siciliano, con una alleanza fra comunisti, monarchici e fascisti, è tipicamente stalinista: il partito, qualsiasi scelta faccia, ha ragione per definizione, essendo la guida della classe proletaria, ogni scelta,anche quella più infame, è quindi fatta nell’interesse di quest’ultima, così come per il suo compagno di corrente, Napolitano, era giustificabile schiacciare la rivolta di Budapest sotto i cingoli dei carri armati, se così il partito-guida aveva deciso.
Stante questo background, non è quindi sorprendente se ancora oggi Macaluso, dal suo blog “Em.Ma. In corsivo”, prendendo posizione sulle imminenti elezioni regionali, ed in particolare in Liguria, dove corre una sinistra tutt’altro che radicale o masochista (formata peraltro dai suoi ex compagni Cofferati e Pastorino, non certo da Bakunin o Makhno) suggerisce di“turarsi il naso” e votare per il Pd, perché occorre evitare il rischio che vinca un candidato di destra, e quindi non bisogna cedere al “tanto meglio tanto peggio” (tipica accusa con cui da sempre ogni destra macchia le sinistre, anche ai tempi della Dc e del PCI). Certo, ci tiene a precisare che lui non è iscritto o dirigente del Pd, ma per così dire la buona fede delle sue opinioni è fuori da qualsiasi dubbio. Il problema è proprio la forma mentis, il riflesso pavloviano del partito prima di tutto. Si badi bene: l’argomento del contendere non era nemmeno quello se votare Pd o votare la lista di Pastorino ma, molto più blandamente, se usare il voto disgiunto per votare Pastorino presidente e la lista del Pd al Consiglio Regionale. Il ferreo e baffuto Macaluso non ammette nemmeno questa piccola deviazione dalla linea.
Per rafforzare il concetto, arriva il richiamo alla stalinistica disciplina di partito: “ Chi milita nel Pd, partecipa alle primarie, anche se ne critica il suosvolgimento, ha il dovere, a mio avviso, di votare il proprio partito e il candidato seppur sgradito”. Al massimo si può criticare la linea di Renzi, ma stando dentro il partito, non da fuori. Ecco.Si chiude il cerchio di una mentalità politica che non è mai morta. Il Paese è cambiato enormemente, dalla morte di Stalin sono passati 62 anni, ma la chiave di lettura di ogni cosa è sempre la stessa. Lo stalinismo come concezione del partito sopra tutto, chi sta fuori del partito per definizione è nemico di classe.
E non importa se il renzismo, oramai padrone assoluto del Pd, ha cancellato ogni forma di sinistra interna, e persegue politiche chiaramente antipopolari, come il Jobs Act. Non importa se la critica interna, cui Macaluso affida ogni speranza di superare un renzismo che anche lui critica, è stata spenta e ridotta ad una impotente messinscena in streaming, talché il partito stalinista della “sottomissione della minoranza alla maggioranza” lo ha realizzato Renzi stesso. Non importa se vi sia un tentativo faticoso, da parte di tanti militanti anche di provenienza piddina, di ricostruire una sinistra in grado, un giorno, di governare da posizioni socialdemocratiche, colmando un vuoto storico gravissimo per il nostro Paese. Non importa se il Pd sta replicando, a livello nazionale, il milazzismo, incorporando elementi di personale politico, e pezzi di blocco sociale, provenienti da quella stessa destra che Macaluso aborrisce, invitando gli elettori a turarsi il naso e votare Pd per non farla vincere. Non importa se con le riforme elettorale e del Senato, con le quali avremo un Grande Fratello ed una poltiglia impotente dentro un Parlamento accucciato al Governo, gli unici spazi di pluralismo politico siano oramai confinati agli enti locali. Tutto questo non importa. Contano solo il potere ed il partito. Il resto si vedrà.
Quando ci si interroga sulle radici politiche e culturali che hanno generato il renzismo, occorrerà anche identificarle, in parte, con la sottocultura semi-stalinista che ancora alligna nel mondo del postcomunismo, e che persone di spessore e di riconosciuto prestigio come Macaluso esprimono e continuano a caldeggiare, inquinando i più giovani ed i meno esperti. Nonostante il disastro in cui il Paese è precipitato. Una sinistra moderna passa per una infinità di cose. Una delle quali, magari tattica, è il rifuggire da qualsiasi illusione di “voto utile”, iniziando a privilegiare la linea politica e le idee sul feticismo dell’organizzazione.