Quando una persona si toglie la vita ci vuole solo rispetto e silenzio e non si possono indagare le ragioni che lo hanno spinto a prendere una simile tremenda decisione che, peraltro, non sapremo mai.
Tuttavia il nostro collaboratore, Salvatore A. Bravo, ha scelto di farlo, non certo per entrare nella vita privata del Dott. De Donno, bensì perché la scomparsa di un uomo e di un medico come lui, salito alle cronache in questa fase di crisi pandemica in ragione delle sue terapie (non necessariamente alternative al vaccino) non poteva non suscitare in tutti noi delle riflessioni.
Salvatore Bravo avanza delle ipotesi (che tali rimangono) e cioè che sia stato isolato, emarginato e ostracizzato al punto tale da non riuscire più a sopportare il peso di questa situazione. Da una parte completamente opposta altri potrebbero legittimamente sostenere che i suoi metodi di cura erano invece del tutto infondati, di conseguenza bocciati dalla cosiddetta “comunità scientifica” e che questo suo personale fallimento lo abbia spinto prima ad eclissarsi e poi a togliersi la vita.
Non sono un esperto, medico o scienziato, e non ho nessuna credenziale per entrare nel merito di materie di cui non so nulla; cosa che invece oggi molti fanno inventandosi virologi, infettivologi e quant’altro.
Ciò che posso legittimamente fare è osservare ed indagare la realtà, nel suo farsi, giorno dopo giorno, cercando di farlo con equilibrio, razionalità e ragionevolezza. E proprio partendo da questo presupposto, mi sento di dire (fermo restando che quel gesto estremo è alla fin fine da ricondurre alla singola persona che lo ha posto in atto) che la decisione suprema del Dott. De Donno non possa essere completamente frutto del caso ma sia stata in qualche modo condizionata da un clima oppressivo e pesante che si è venuto a determinare e che è stato anche determinato, in questa fase.
Sono assolutamente convinto che per uscire da una situazione critica come quella che stiamo vivendo siano necessari quell’equilibrio, quella razionalità e quella ragionevolezza cui facevo cenno sopra che soli possono garantire le condizioni per un dibattito, magari serrato, ma libero e democratico. Non è con l’integralismo ideologico o la presunzione di possedere la Verità, qualsiasi essa sia, che una società civile è in grado di elaborare e superare le proprie crisi.
(Fabrizio Marchi)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
La procura di Mantova ha avviato un’inchiesta sul suicidio di Giuseppe De Donno, il primario che nel 2020 aveva proposto il plasma immune quale “cura” per i malati covid 19, anche per gli intubati. I risultati sembravano positivi al punto che era riuscito a salvare col plasma immune, pare, 56 ammalati gravi. La terapia consentiva non solo di salvare i malati intubati, ma specialmente si proponeva d’essere una valida alternativa al vaccino. Giuseppe De Donno suicidatosi a 54 anni, si è impiccato, il suo suicidio solleva molti dubbi e molte domande. La terapia proposta definita da lui stesso democratica e solidale, non solo, perché costava quasi nulla, ma poiché permetteva ai guariti di aiutare gli ammalati. Un circolo potenzialmente virtuoso, da verificare, ma che ha trovato un’ostilità generalizzata e preconcetta. I virologi, ormai vip della TV di Stato e privata lo hanno isolato e deriso. La sua terapia non costava nulla e questo in un’epoca in cui il plusvalore è la cifra di tutto è imperdonabile. Giuseppe De Donno, lo confermano i suoi conoscenti, metteva al centro della sua azione medica i pazienti e non altro: nulla vi è di più trasgressivo di ciò in un’epoca di sola crematistica. Era stato costretto, forse, a demansionarsi, aveva lasciato il ruolo di primario del Carlo Poma di Mantova per svolgere la professione di medico di base a Porto Mantovano. Si era dimesso dal ruolo di primario per dedicarsi al nuovo incarico. La scelta professionale di medico di base è stata una scelta lavorativa personale, anche in questo caso è opportuno sollevare domande. La libera scelta presuppone l’assenza di coercizione e manipolazione. Viviamo in un momento storico in cui la scelta formale è libera, ma sostanzialmente si è indotti a talune scelte da pressioni sociali violentissime. Il green pass ne è un esempio, non si osa introdurre l’obbligatorietà vaccinale, ma nel contempo coloro che non si vaccinano con un siero sperimentale diventano figli di un dio minore.
Libertà e ricatto
Non vi è libertà nel ricatto, ma solo violenza mascherata dalla cattiva giurispudenza. In tale clima si può ipotizzare che la rinuncia al ruolo di primario sia stato l’effetto di pressioni e di un clima di ostilità. Se il ruolo di medico di base fosse stato una scelta di vocazione non si comprende il suicidio. Togliersi la vita non è un atto astratto, l’essere umano è un animale sociale, fiorisce nella comunità, oppure se le relazioni sono improntate alla coercizione e alle dinamiche delinquenziali soccombe. Ogni suicidio è un atto di accusa verso la comunità, non è un atto privato, ma pubblico. Si può immaginare che fosse tormentato dal constatare i risultati del suo protocollo e dall’abbandono della terapia. Una comunità sana si pone delle domande, cerca di comprendere, se uno dei suoi membri decide di togliersi la vita, mentre una comunità costituita da atomi in lotta per l’ultimo cono di luce e per il plusvalore, il suicidio è niente, è un dato da raccogliere di nessuna importanza. Esso diventa una faccenda personale su cui “deve calare” il silenzio. La violenza è cieca in senso empirico, non vede l’altro, non ha intenzionalità empatica, la violenza vuole annichilire l’altro per brillare fortemente nella notte del narcisismo. La notizia del suicidio di Giuseppe Di Donno è passata sotto silenzio, poche righe e poche parole: la violenza rimuove le sue vittime per calcolo e per indifferenza. Il suo suicidio è il sintomo di una patologia gravissima che sta divorando la nostra democrazia: il nichilismo economicistico e narcisistico è l’unica legge che si rispetta, pertanto ogni avvenimento che possa sollevare dubbi è ignorato dai media. Stiamo assistendo ad una ”rivoluzione passiva”, le oligarchie guidano i popoli verso orizzonti di conservazione delle logiche di dominio mediante un linguaggio ingannevole che ritaglia il mondo a frammenti in modo che nulla possa essere compreso. La morte di un uomo che ha lottato per democratizzare le terapie ci parla di “noi”, della verità, della nostra totalità turbolenta, in cui siamo invischiati ed implicati, invece sembra che tale morte scivoli via come acqua su marmo. Ci si batte il petto in nome dell’inclusione e dei diritti civili, ma non ci si sofferma sui diritti negati. Il diritto ad essere ascoltato e compreso, anche se si sbaglia nel proporre una teoria scientifica, non è contrattabile. La civiltà e l’intero umanesimo sono capacità d’ascolto, e non vilipendio. La scienza è dialettica e verifica e non certo potenza nel silenziare coloro che propongono delle alternative. La libera scienza è pratica di confronto come Galileo Galilei ci ha insegnato. La scienza che diventa ideologia è solo potere che minaccia la vita. La vera emancipazione-rivoluzione è l’uso pubblico della ragione e della parola che in questo momento sono tragicamente negati, per cui la violenza continua a circolare.
Fonte foto:Gazzetta del Sud (da Google)