Lo scontro strategico per l’egemonia globale sospinge l’aumento delle spese militari

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Secondo i nuovi dati pubblicati il 24 aprile scorso dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI)[1], l’istituto che monitora la spesa militare dei singoli stati e l’andamento di quella globale, quest’ultima nel 2022, a seguito dell’ottavo aumento consecutivo, è cresciuta del 3,7% in termini reali rispetto all’anno precedente, raggiungendo il nuovo record di 2240 miliardi di dollari. L’incremento dello scorso anno conferma il preoccupante trend intrapreso da inizio nuovo millennio dalla spesa militare globale, quasi raddoppiata nell’ultimo ventennio, nonché aumentata del 19% nel decennio 2013-22, sempre in base ai dati dell’autorevole istituto svedese[2] (grafico 1).

Grafico 1: andamento delle spese militari globali fra il 1988 e il 2021. Fonte: Sipri

Stockholm, 25 April 2022) Total global military expenditure increased... | Download Scientific Diagram

Il cospicuo incremento registrato lo scorso anno (+3,7%), più che quintuplicato rispetto al +0,7% del 2021, è principalmente riconducibile agli effetti, diretti e indiretti, dell’escalation del conflitto in Ucraina, al quale stanno tuttavia contribuendo anche le crescenti tensioni nello scacchiere Asia-Pacifico fra Stati Uniti e suoi alleati, da un lato, e Cina, dall’altro, legate in primis alla questione di Taiwan[3]. La strabiliante ascesa economica cinese degli ultimi decenni[4], viene da alcuni anni affiancata da una strategia di ampliamento della propria influenza geopolitica e di sviluppo della potenza militare che ha comportato una politica di rafforzamento e ammodernamento delle forze armate di Pechino, in particolare della Marina[5].

Tabella 1: i primi 15 stati per spese militari nel 2022. Fonte Sipri 2023

I primi 15 stati per spese militari nel 2022

 

Stato Spesa militare

in miliardi di $

% di spesa globale % incremento 2021-2022 % incremento 2013-2022 Spesa militare

in % sul Pil

Stati Uniti 887,0 39,0 0,7 2,7 3,5
Cina 292,0 13,0 4,2 63 1,6
Russia 86,4 3,9 9,2 15 4,1
India 81,4 3,6 6,0 4,7 2,4
Arabia Saudita 75,0 3,3 16,0 -2,7 7,4
Regno Unito 68,5 3,1 3,7 9,7 2,2
Germania 55,8 2,5 2,3 33 1,4
Francia 53,6 2,4 0,6 15 1,9
Corea del Sud 46,4 2,1 -2,5 37 2,7
Giappone 46,0 2,1 5,9 18 1,1
Ucraina 44,0 2,0 640 1.661 34,0
Italia 33,5 1,5 -4,5 24 1,7
Australia 32,3 1,4 0,3 47 1,9
Canada 26,9 1,2 3,0 49 1,2
Israele 23,4 1,0 -4,2 26 4,5
Totale primi 15 1.842,0 82,0      
Restanti stati 398,0 18,0
Totale globale 2.240,0 100,0 3,7 19 2,2

In sostanza, stiamo vivendo un’epoca caratterizzata da una nuova “corsa al riarmo” che i ricercatori dell’Ispri definiscono “sorprendente” in quanto si sta verificando in una fase particolarmente critica dell’economia mondiale dal momento che “coincide anche con la crisi finanziaria globale del 2008 e con la pandemia del 2020”. A queste ci permettiamo di aggiungere la crisi dei debiti sovrani del Paesi periferici dell’Eurozona deflagrata ad inizio decennio scorso a seguito delle politiche di austerità fiscali imposte da Bruxelles.

In merito alla spesa dei singoli Paesi (tabella 1), gli Stati Uniti continuano di gran lunga a dominare la scena mondiale con 887 miliardi di $ pari al 39% del totale globale, seguiti a notevole distanza dalla Cina, il cui esborso risulta 1/3 di quella statunitense con 292 miliardi di $ (13%), e dalla Russia con 86,4 miliardi di $ (3,9%). Questi soli tre Stati, grazie al ruolo nettamente preminente di Washington, hanno rappresentato il 55,9% della spesa globale dello scorso anno, mentre i primi 15 Paesi hanno totalizzato ben 1.842 miliardi di $ pari all’82% del totale mondiale.

La guerra in Ucraina alimenta le spese militari in Europa

A livello macroregionale nel suo complesso l’Europa, a seguito dell’escalation del conflitto in Ucraina, ha registrato nel 2022 il suo più forte aumento, pari al 13%, in almeno 30 anni, trainato dal forte riarmo dei Paesi dell’Est, in primis i due Stati coinvolti direttamente nel conflitto.

In Russia, infatti, la spesa militare è cresciuta del 9,2%, attestandosi, come visto, a 86,4 miliardi di $, mentre in Ucraina l’incremento è stato addirittura del 640%, il più imponente aumento mai registrato in un singolo anno dal Sipri (tabella 2). Tali distinte traiettorie di crescita hanno evidenziati riflessi diretti sul rapporto fra spesa militare e Pil dei due Paesi: se in Russia infatti è salito dal 3,7% del 2021 al 4,1% dello scorso anno, in Ucraina ha subito una brusca impennata dal 3,2% a ben il 34%, assorbendo 1/3 della ricchezza nazionale prodotta, a conferma delle marcate caratteristiche di guerra assunte dalla propria economia.

Tabella 2: confronto spese militari di Russia e Ucraina. Fonte: Sipri 2023[6]

Spese militari Russia e Ucraina
Stato Spesa militare

miliardi $ 2022

% di spesa globale 2022 % incremento 2021-2022 % incremento 2013-2022 Spesa militare

in % sul Pil 2021

Spesa militare

in % sul Pil 2022

Russia 86,4 3,9 9,2 15 3,7 4,1
Ucraina 44,0 2,0 640 1.661 3,2 34,0
Totale 2.240 100 3,7 19   2,2

Il dato disaggregato del 2022 riferito alle due macroregioni europee individuate dal Sipri (tabella 3) mette in risalto come l’escalation del conflitto in Ucraina abbia comportato un massiccio incremento delle spese militari, ormai giunte in Europa a 480 miliardi di $, in particolare nell’area a ridosso del teatro bellico. Se le spese militari dei Paesi europei Centro-Occidentali risultano ancora nettamente prevalenti rispetto a quelli dell’Est, 345 miliardi di $ contro 145, l’incremento annuo dell’Europa Orientale (+58%) si è rivelato invece enormemente superiore rispetto a quello della parte Centro-Occidentale del continente (+3,6%). Ragguardevole aumento determinato oltre che dagli aiuti militari all’Ucraina, anche da una massiccia opera di riarmo motivata, a loro dire, dalla percezione di una crescente minaccia da parte della Russia. Preoccupazioni probabilmente dettate più da retaggi storici, che da reali pericoli militari attuali, accertato che i Paesi confinanti e limitrofi alla Russia, compresi l’ultimo recente ingresso di Finlandia il 4 aprile scorso e quello in corso di Svezia, risultano, salvo la Moldavia, praticamente tutti membri della Nato, contro la quale Mosca, se non tirata per i capelli, per ovvie ragioni non entrerebbe mai direttamente in guerra.

Tabella 3: ripartizione della spesa militare mondiale espressa in miliardi di $ per continenti e macroregioni terrestri e variazioni 2021-22 e 2013-22. Fonte: Sipri 2023

Ripartizione della spesa militare per continenti e macroregioni

 

Continenti e macroregioni Spesa militare 2022 % incremento 2021-2022 % incremento 2013-2022 % di spesa mondiale
Totale mondiale 2.240 3,7 19 100
Africa 39,4 -5,3 -6,4 1,8
Africa Settentrionale 19,1 -3,2 11 O,9
Africa Sub-sahariana 20,3 -7,3 -18 0,9
Americhe 961 0,3 3,5 43
America Settentrionale 904 0,7 3,7 40
America Centrale 11,2 -6,2 38 0,5
America Meridionale 46,1 -6,1 -5,4 2,1
Asia e Oceania 575 2,7 47 26
Asia Centrale 1,4 -29 -20 0,1
Asia Orientale 397 3,5 50 18
Asia Sud-Orientale 43,1 -4,0 13 1,9
Asia Meridionale 98,3 4,0 46 4,4
Oceania 35,3 0,5 48 1,6
Europa 480 13 38 21
Europa Centro-Occiden 345 3,6 30 15
Europa Orientale 135 58 72 6
Medio Oriente 184 3,2 -1,5 8,2

Fonte Sipri: https://www.sipri.org/sites/default/files/2023-04/2304_fs_milex_2022.pdf

A conferma di ciò è sufficiente effettuare un confronto comparativo fra la carta dei Paesi membri della Nato durante gli anni ’90 e quella del 2022 (carta 2), per prendere atto come l’Alleanza Atlantica si sia gradualmente ampliata verso Est, passando da 16 a 30 membri, escluse ancora Finlandia e Svezia, arrivando sino ai confini della Russia e con la prospettiva di far entrare anche Moldavia, Giorgia e Ucraina, ha in tal modo creato i presupposti per il conflitto in corso.

Carta 2: l’ampliamento della Nato a Est: confronto 1998-2022. La Finlandia aderisce il 4 aprile 2023

Il ruolo della NATO, dell'Europa e degli Invisibili nel conflitto in Ucraina

Alcuni analisti sostengono che l’agitare il “terrore russo” da parte dei governi dei Paesi dell’Est, più che corrispondere ad una reale minaccia imminente, costituisca un paravento funzionale alla politica di incremento del proprio ruolo geostrategico in seno dell’Alleanza (il cosiddetto “fianco est”) e di ammodernamento delle proprie forze Armate, all’inizio dell’escalation ancora caratterizzate da una netta prevalenza di armamenti ex sovietici in buona misura poi inviati in Ucraina, oltre ad un gradito favore alla lobby dei produttori di armi occidentali.

Conseguentemente, alcuni fra i principali aumenti registrati nel 2022 dai singoli Stati europei riguardano proprio quelli in prossimità del territorio della Federazione Russa: Finlandia +36%, Lituania +27%, Svezia +12% e Polonia +11%. Una politica di riarmo e di ammodernamento tecnologico che Lorenzo Scarazzato, ricercatore presso il Sipri, rileva essere in corso da anni: “Molti Stati dell’ex blocco orientale hanno più che raddoppiato le loro spese militari dal 2014, anno in cui la Russia ha annesso la Crimea” e l’Ucraina ha attaccato le auto dichiarate Repubbliche Popolari di Donestk e Lugansk. Nell’ultimo decennio, infatti, il Sipri ci informa che mentre i Paesi dell’Europa Centro-Occidentale hanno incrementato la spesa militare di un ragguardevole 30%, quelli dell’Est, addirittura, del 72% (tabella 3).

Inquadrando la dinamica dell’incremento della spese militari europee nel contesto del panorama mondiale emerge come nel suo complesso, nel decennio 2013-2022, il Vecchio continente abbia registrato il secondo maggior aumento (38%) dopo l’Asia-Oceania (48%), con l’Europa Orientale che evidenzia l’incremento più rilevante fra tutte le macroregioni terrestri (72%) seguita a distanza dall’Estremo Oriente (50%). Non causalmente i due scacchieri internazionali interessati, il primo dall’ampliamento della Nato a ridosso della Russia, il secondo dalla politica di contenimento dell’espansione dell’influenza cinese teorizzata della nuova dottrina geopolitica statunitense, detta “Pivot to Asia”, lanciata da Obama nello storico discorso tenuto al parlamento di Canberra il 17 novembre 2011. La strategia per lo scacchiere Asia-Pacifico varata da Obama ha comportato un significativo cambiamento nelle linee di politica estera statunitensi teso a spostare il fulcro della propria attenzione dal Medio Oriente, dopo le disastrose guerre in Afghanistan e Iraq, e parzialmente dall’Europa, a vantaggio dell’Estremo Oriente, al fine ultimo di rallentare, se non limitare, l’ascesa cinese, vero competitor globale degli Stati Uniti.

Una preoccupazione crescente quella di Washington che, nel corso del Vertice Nato 2021 di Bruxelles, l’ha portata a definire Pechino una “sfida sistemica”[7], sino a divenire la principale preoccupazione anche di fronte alla mancata sconfitta della Russia in Ucraina, tant’ che all’ultimo vertice Nato di Vilnus del 12-14 luglio scorso, a guerra in corso, la Repubblica Popolare nel documento finale del summit viene menzionata ben 15 volte, riservandole un crescente spazio: dalle 225 parole del 2021, alle 304 del 2022 sino alle 322 di quest’anno. Resta nel documento conclusivo del vertice 2023 la locuzione “sfida sistemica”, peraltro contornata da un’ampia sequela di accuse, il cui contenuto, secondo il portavoce del ministero degli esteri cinese, Wang Wenbin, “Distorce la realtà ed è infarcito di mentalità da guerra fredda”.

La partecipazione di Giappone e Corea del Sud all’ultimo vertice Nato di Bruxelles, ha rafforzato la convinzione di Pechino che prospetta il crescente coinvolgimento dei due alleati strategici di Washington nei meccanismi dell’Alleanza come funzionale al suo ampliamento anche in Estremo Oriente, nell’ottica della creazione, inglobando anche altri Paesi, di una “Nato globale”. Politica fermamente condannata da Pechino che, sempre per bocca di Wang, mette in guardia su come “L’espansione dell’Alleanza verso est (Estremo e Medio Oriente, ndr) non farà altro che fomentare le tensioni regionali, scatenare il confronto fra blocchi e persino una nuova guerra fredda”.

Gli analisti stanno seguendo con attenzione gli sviluppi del nuovo progetto strategico statunitense, fra questi Lucio Caracciolo nel video di approfondimento di Limes “Verso una Nato globale?”[8] ne sintetizza efficacemente il disegno geopolitico, non distanziandosi nella sostanza dal quadro analitico tracciato da Pechino: “Gli Stati Uniti vogliono estendere l’area di azione dell’Alleanza Atlantica fino all’Indo-Pacifico[9], per coinvolgerla insieme a Giappone, Corea del Sud e Australia, e per certi versi India e Filippine, anche nella sfida con la Cina. Giappone e Polonia diventano in particolare gli alleati principali, il primo nella sfida con la Cina, la seconda nella guerra in Ucraina e nel confronto con la Russia”.

I venti di guerra si fanno sempre più minacciosi anche ai confini orientali della zolla euroasiatica. 

Andrea Vento, 19 ottobre 2023 – Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

[1] https://www.sipri.org/media/press-release/2023/world-military-expenditure-reaches-new-record-high-european-spending-surges

[2] https://www.sipri.org/sites/default/files/2023-04/2304_fs_milex_2022.pdf

[3] Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Australia che ha portato alla formazione di due accordi militari in funzione anticinese: il Quad composto da Stati, Uniti, Australia, Giappone e India e l’Aukus  fondato nel 2021 da Australia, Regno Unito e Stati Uniti.

Per approfondire: https://www.geopop.it/cose-il-quad-lalleanza-tra-usa-giappone-india-e-australia-per-contenere-la cina/#:~:text=Il%20QUAD%20%C3%A8%20un’alleanza%20militare%20composta%20da%20quattro%20stati,%2C%20Australia%2C%20Giappone%20e%20India. – https://www.startmag.it/mondo/aukus-missione-obiettivi-cfr/

[4] Le 3 fasi economiche delle Repubblica Popolare cinese.

La Repubblica Popolare Cinese e le tre fasi della sua economia

[5] https://www.analyticaintelligenceandsecurity.it/ricerca-e-analisi/sicurezza-difesa/centralita-del-dominio-marittimo-e-rafforzamento-militare-la-strategica-importanza-del-mare-per-la-realizzazione-del-sogno-cinese/

La Cina vuole un Esercito più forte

[6] Fonte Sipri: https://www.sipri.org/sites/default/files/2023-04/2304_fs_milex_2022.pdf

[7]https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/06/14/nato-dalla-cina-una-sfida-sistemica_70b1f4d4-8399-4673-869b-dc7eb521b4ee.html

[8] “Verso una Nato globale?” video del 18/6/2023 https://www.youtube.com/watch?v=Tu1OK72O7qM

[9] Indo-Pacifico: termine geografico reso noto dallo studioso tedesco di geopolitica Karl Hushofer che lo utilizzò in molte sue opere negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. A partire dal 2010 è stato sempre più frequentemente utilizzato, a partire dagli Stati Uniti, nelle analisi geopolitiche. Viene ipotizzato che la sua accezione geopolitica potrebbe condurre ad una ridefinizione geostrategica delle macroregioni terrestri, in quanto la sua adozione e diffusione risulta correlata all’istituzione del “Dialogo quadrilaterale di sicurezza” (Quad), un’alleanza informale tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India, il quale, oltre ad ampliarsi fino all’oceano indiano, offre una visione geopolitica diversa rispetto al concetto di Asia-Pacifico. In sostanza il Quad consiste in un’ampia cintura di contenimento intorno alla Cina che attraversa parzialmente i due oceani in questione (Carta 3: in verde i 4 membri del Quad)

 

3 commenti per “Lo scontro strategico per l’egemonia globale sospinge l’aumento delle spese militari

  1. Gio
    30 Ottobre 2023 at 16:53

    Eccellente analisi che mostra con i numeri sia i rapporti di forza reali dal punto di vista militare che la preoccupante tendenza al riarmo in corso.
    Il pesante riarmo di tutti i paesi del lato Est della NATO, dalla Scandinavia all’Ucraina (ormai nella NATO di fatto) passando per la Polonia, centro dello schieramento, e che hanno come obiettivo la disintegrazione della Federazione Russa, mostra chiaramente chi è che minaccia, e con quale potenziale convenzionale, e chi è minacciato, e se non fosse per la dissuasione nucleare russa, e per la sconvenienza degli USA a far finire del tutto la Russia in braccio alla Cina, è molto probabile che avremmo assistito ad un allargamento del conflitto ucraino a tutto il fronte Est.
    Sconvenienza americana a tentare la disgregazione della Russia che deriva appunto, come ben analizzato con citazioni dei documenti strategici statunitensi e Nato, dal ritenere la Cina l’avversario strategico a livello globale, non solo dal punto di vista economico-commerciale, ma anche del potenziale militare, anche se la distanza con gli USA è ancora enorme.
    Nel potenziale militare va distinto quello nucleare – che serve come dissuasione dall’essere invasi – da quello convenzionale che invece mostra la potenziale capacità di proiezione esterna. Quella USA è globale, mentre quella della Cina è ancora regionale, ma, essendo il potenziale USA distribuito sul pianeta, con solo una parte posizionato nel teatro dell’Asia-Pacifico, un’eventuale scontro militare su Taiwan, che avrebbe caratteristiche sostanzialmente aeronavali, anche con il probabile coinvolgimento giapponese e forse di altri alleati degli USA, sarebbe comunque quanto mai incerto.
    E’ anche per questo motivo, oltre che per considerazioni globali, che sono molti negli apparati USA e della Cina che vogliono evitarlo. Significativo è quel che sta succedendo negli ultimi giorni. Il consigliere per la sicurezza nazionale Sullivan ha pubblicato su Foreign Affairs un articolo in cui dichiara esaurita la fase unipolare americana successiva alla fase bipolare USA-URSS, e apre a una gestione congiunta con la Cina dei problemi di un mondo complesso uscendo dalla dicotomia ideologica provocata dall’idea dell’alleanza delle cosiddette democrazie.
    Allo stesso tempo, nell’incontro di qualche giorno fa a Pechino con il governatore della California Gavin Newsom, astro nascente dei dem e dato per loro candidato alle presidenziali in caso di ritiro di Biden, il presidente cinese Xi ha sottolineato che “gli interessi delle due parti sono interconnessi”, in quanto “prime due economie del mondo”.
    Intanto a Washington il ministro degli esteri e responsabile esteri del PCC Wang ha incontrato anche Biden in preparazione dell’incontro Xi-Biden previsto per novembre. La logica è ovviamente quella di tentare di voltare pagina rispetto a una situazione mondiale sempre più tesa e critica, mostrata anche dall’aumento delle spese militari, iniziando una cooperazione tra le due grandi superpotenze al fine di gestire una competizione controllata, tenendo anche a bada gli avventurismi militari di potenze minori che rischiano di manifestarsi anche adesso nella crisi medio-orentale innestata dalla risposta sproporzionata di Israele ad Hamas.
    Se son rose fioriranno. Ma conviene che fioriscano? La risposta è sì, e non certo per un generico pacifismo, ma perchè basta guardare nelle tabelle dell’articolo i numeri degli attuali rapporti di forza militari per sapere che non consigliano certo al cmapo anti-imperialista una terza guerra mondiale convenzionale su vari fronti, e una guerra nucleare sarebbe semplicemente la fine dell’umanità.
    Dunque speriamo che le rose fioriscano, non solo per la pace ma anche perchè conviene al campo anti-imperialista mentre chi si eccita dal divano di casa con la “guerra anti-imperialista” per vederla sugli schermi pensando di non essere coinvolto, non è solo della serie “armiamoci e partite”, ma anche un pericoloso avventurista.

    • Fabrizio Marchi
      30 Ottobre 2023 at 18:08

      E’ evidente che la transizione al multipolarismo che tutti noi qui auspichiamo non si fonda ovviamente sulla guerra, ma su un processo politico complessivo su scala globale che auspichiamo possa portare ad un riequilibrio. Però nello stesso tempo siamo anche perfettamente consapevoli che la politica e la geopolitica in particolare, si fonda sui rapporti di forza, non sulle buone intenzioni. Rapporti di forza determinati da vari aspetti, economici, commerciali, geografici, territoriali, tecnologici, di possesso di materie prime ecc. e, naturalmente, militari. Quindi il problema non è auspicare la guerra, cosa che, ovviamente, solo uno sciocco può augurarsi, ma essere però consapevoli che la guerra, lo scontro militare, caratterizzerà questa fase storica con esiti impossibili da prevedere. A meno di non pensare che il blocco occidentale (di cui fanno parte tanti paesi geograficamente non occidentali) a guida USA rimanga serenamente ad osservare la propria perdita di peso specifico e quindi di egemonia sul pianeta senza battere ciglio. Dopo di che non sempre, come sappiamo, gli eserciti più potenti vicono le guerre, fortunatamente, oltre al fatto che entrano in ballo tanti fattori che condizionano anche l’andamento delle guerre. Gli USA sono stati sconfitti in Vietnam e in fondo anche in Corea e in Afghanistan pur disponendo di un esercito infinitamente più potente rispetto a quelli avversari. E anche in questi casi l’andamento e l’esito dei conflitti è stato determinato anche da fattori altri rispetto a quelli puramente militari. Sul campo, contabilità alla mano (cioè il numero dei soldati propri e nemici uccisi o le battaglie campali) gli USA non sono mai stati sconfitti, anzi, direi il contrario, però sono stati quegli altri fattori che alla lunga hanno determinato la loro sconfitta o la decisione di ritirarsi.

  2. gino
    1 Novembre 2023 at 16:28

    comparare la forza di un esercito (o di un pil) fra i vari paesi in termini monetari é fallace (giá l´ho scritto varie volte) perché non contempla la differenza dei costi unitari e quindi non rende l´idea dei termini REALI.
    quanto costa un tank agli usa e alla cina?
    quanto costa lo stipendio di un soldato americano e cinese?
    quanto costa lo stipendio di un lavoratore di una fabbrica di missili in usa e cina?
    quanto costa costruire una caserma agli usa e alla cina?
    quanto costa un jet agli usa e alla cina?
    ad esempio, confrontando i costi dei jet di punta, l´F-22 costa 334 mln di $ mentre il J-20 solo 110.
    e per i costi amministrativi e del personale sicuramente il rapporto é ben maggiore di 3:1.
    quindi in termini REALI é probabilissimo che la cina per l´esercito stia giá producendo di piú degli usa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.