La sfilata per il gay pride del 4 giugno 2022 a Cremona ha fatto parlare di sé non per la rivendicazione dei diritti delle persone omosessuali, ma per un atto blasfemo, la Madonna è stata pubblicamente oltraggiata. Tali gesti non li si può archiviare semplicemente come esuberanti come vorrebbero non pochi, ma sono il sintomo di una patologia metastatica che ha pervaso il corpo sociale tutto. La comunità dove il diritto è cultura ed esperienza collettiva non utilizza il diritto di un gruppo per denigrare i simboli e le verità di un gruppo che si presume antagonista. Se la cultura del diritto è sostituita dalla violenza, se il diritto di un gruppo diviene negazione del diritto di altri, si mette in atto un circuito di violenza nella quale si ripropone la stessa logica di dominio che si vorrebbe contestare. Denigrare un simbolo sacro, in questo caso, significa mostrare pubblicamente che il proprio diritto si è ribaltato in privilegio e dominio, pertanto si è rimasti all’interno dei rapporti di sussunzione e dominio, non vi è stata una vera emancipazione. Il diritto rompe le logiche meccaniche della violenza, a coloro che negano a taluni il diritto di essere se stessi e di progettare la propria esistenza secondo un asse comunitario e assiologico riconosciuto, se si risponde con il linguaggio del disprezzo, si mostra di essere ancora vittime e di non essere usciti dal linguaggio della violenza. Il diritto permette di sublimare la violenza subita, consente di comprendere le ragioni dell’esclusione e, specialmente, non si vorrebbe che persona alcuna fosse oggetto di marginalità o bullismo sociale. Chi ha subito l’ingiustizia del mondo per secoli ed ha pensato il proprio dolore non permette e non vuole che si faccia violenza neanche ai propri aguzzini. Nella sfilata di Cremona si è assistito non ad una manifestazione che invoca i diritti di espressione e identità per ciascuna persona, ma alla società dello spettacolo che ha smesso di pensare, e dunque, non ha nulla di emancipativo. In assenza di pensiero e concetto si predilige la barbarie estetica dei messaggi. Il nichilismo e il rifiuto di ogni limite è rappresentato come “libertà” di alcuni da usare contro altri. Si riproduce il dominio con le sue violenza non mediate dal logos. Si deduce che manifestazioni di tal genere non sono preparate da lunghe discussioni e confronti, ma sono gruppi raccogliticci che invocano la libertà, ma non è chiaro che cosa si intenda per libertà. Il tutto diviene imbarazzante fino al ridicolo, poiché il nemico che si indica è la “chiesa” di Bergoglio, notoriamente globalista ed inclusiva. Se i manifestanti avessero effettuato un minimo di formazione politica con incontri e seminari, forse, sarebbero giunti alla conclusione che il nemico vero è il capitalismo che li include per sfruttarli e li usa per legittimarsi. Il capitalismo nella sua fase liberista nega i diritti ai lavoratori, taglia i diritti sociali e drena immense risorse verso le oligarchie togliendole agli ultimi. Il nemico è il capitale, ripeto, vi è il rischio che costoro siano grati ad un sistema che concede ogni diritto individuale per eliminare i diritti sociali, per cui la libertà che ci attende è a due corsie: una per i previlegiati che possono tutto, l’altra per la moltitudine ridotta a condizione di plebei che dovranno elemosinare per sopravvivere come il precariato dimostra abbondantemente. Sbagliare bersaglio in una guerra significa perderla. Non si può che restare mortificati dinanzi all’irrazionalità che avanza travestita da diritto. Le manifestazioni che urlano per avere sempre più diritti individuali sono coerenti con il liberismo globalista, il quale esalta i diritti di scelta e consumo individuale nel disprezzo della comunità. Il sistema capitale è abilissimo nell’usare le giuste rivendicazioni per consolidare se stesso e strutturare il realismo capitalistico. Si può manifestare e fare quel che si vuole, purché il capitale non sia messo in discussione. La vera emancipazione è nel riconoscere le forme di assimilazione e nell’emanciparsi dalla caverna con le sue ombre ingannevoli:
“Lo slogan di un programma come Il Grande Fratello, «Sei tu a decidere», coglie alla perfezione la modalità di controllo tramite feedback che, secondo Baudrillard, ha rimpiazzato le vecchie forme di potere centralizzate: siamo noi stessi, cliccando e telefonando, a occupare i posti vuoti del potere. Il Grande Fratello televisivo ha soppiantato quello di Orwell. Come spettatori, non siamo sottoposti a un potere esterno: piuttosto, siamo integrati in un circuito che come obiettivo ha i nostri desideri e le nostre passioni, ma che ci restituisce quegli stessi desideri non come nostri, ma come desideri del Grande Altro. Naturalmente, circuiti del genere non sono una prerogativa del sistema televisivo: dai gruppi di discussione in stile focus group ai sondaggi demografici, i sistemi di feedback cibernetici sono ormai diventati parte integrante di qualsiasi «servizio», a cominciare dall’istruzione e dall’amministrazione pubblica. Il che ci riporta ancora una volta al tema della burocrazia postfordista[1]”.
La storia è allevatrice di diritti solo se gli slogan sono sostituiti dal concetto e dallo scambio dialogico, altrimenti si resta tra le ombre della caverna dell’assimilazione scambiata per libertà.
[1] Mark Fisher, Realismo capitalista, Nero, Roma, 102
Fonte foto: La Repubblica (da Google)