Nel suo articolo “Capitalismo e liberalismo potrebbero divorziare?” Fabrizio Marchi ha toccato il nervo scoperto di una buona parte della Sinistra, in particolare di quella che si definisce “Antagonista” segnalando che è giunta l’ora di uscire dagli equivoci, di spazzar via le ambiguità, di fare i conti con la questione delle libertà nell’era del liberismo.
Coraggioso articolo che sottoscrivo e che mi offre lo spunto per le considerazioni che seguono.
Mi si perdonarerà l’approccio didascalico, ma qui la terminologia non è un optional né una pedanteria snobistica, è parte della questione e della sua soluzione.
.Si devono assegnare nomi diversi a cose, dimensioni, fatti, sistemi diversi, laddove questi ultimi siano appunto differenti e disomogenei. Così è infatti. Tra quelli che qui interessano, tre sono i termini utilizzati tanto al bar quanto sui media come anche nei saggi di “eminenti” filosofi della politica, con la più totale (e inammissibile) disinvoltura. A casaccio, vuoi come sinonimi, vuoi come antinomici, vuoi in una miscela indistinguibile di significati e sfumature. Lo facciamo spesso anche noi, per abitudine o semplificazione. Sbagliando.
Democrazia:
1- accesso universalmente aperto a tutte le cariche politiche (per via elettiva) e civili-amministrative (per concorso).
2- partecipazione e controllo universale sulle scelte politiche.
Liberalismo:
1- libertà di opinione, nella sua costruzione (assoluta nell’accesso alle fonti, orali o scritte) e nelle sue manifestazioni (qui limitata dal divieto di calunnia). Perciò libertà di espressione in tutte le forme e con tutti i mezzi.
2- libertà di associazione a tutti livelli, in tutte le forme (qui escluse quelle armate) e per qualsiasi scopo ivi compreso l’obiettivo del sovvertimento del sistema o quello della frantumazione dello Stato (secessioni).
2-Stato di Diritto: gli agenti dello Stato devono rispettare la legge, se non lo fanno è possibile agire contro di essi.
3-divisione dei poteri, che si materializza in questo: i governanti (i politici) devono temere la magistratura.
4-libertà di movimento e residenza dentro e fuori il paese.
5-riservatezza sul comportamento individuale (su corrispondenza, movimenti, dati personali, relazioni sociali etc.)
Liberismo:
– libertà assoluta di azione in campo economico. Abbattimento di ogni limite, confine (anche di Stato), barriera, condizione di qualsiasi tipo in qualsiasi forma, carattere e tipologia e trasformazione del lavoro in rapporto contrattuale individuale alle condizioni del puro, nudo e crudo mercato.
Ovviamente questi sono quadri idealtipici. Si tratta poi di vedere storicamente, nei diversi tempi e luoghi, il grado di manifestazione effettiva di quei caratteri. [ Esisterebbe poi il libertarismo (che, ovviamente, non è sinonimo di liberalismo né di liberismo), su cui in questa sede sorvolo. Quanto a dispotismo, totalitarismo, dittatura, socialdemocrazia etc., questi sono termini meno equivoci (benché tutt’altro che precisamente definiti)].
La confusione nell’uso di quei termini non è dovuta solamente ai motivi sopra elencati. Essa ha avuto, ed ha, una precisa funzione, provenga essa dagli apologeti del sistema o dai suoi critici/nemici. Fabrizio ne ha già delineato le ragioni e gli scopi. Così una riforma liberista (es. jobs act) viene fatta passare per liberale dai suoi paladini e, del pari ma simmetricamente, il TTIP bollato come liberale (anziché liberista) dai suoi avversari.
Atteso che le tre dimensioni sono diverse, sono almeno correlate? Lo si è sempre sostenuto da Destra e da Sinistra con scopi opposti. Ma è falso. Ci sono stati e ci sono paesi liberisti che non sono liberali per nulla (così fu praticamente per tutti i paesi sudamericani, da sempre e sino a poco tempo fa) lo è oggi la Cina, lo è la Turchia di Erdogan, l’Ungheria parafascista di Orban (sia pur in grado e forme diverse) etc.. Che la democrazia sia cosa diversa dal liberalismo (libertà di stampa etc.) lo prova il fatto che la DDR si qualificava ed era democratica senza essere né liberale né (ovviamente) liberista.
Dove sta andando il sistema? La mia opinione è questa: il sistema va verso l’espansione del liberismo, l’erosione e il declino del liberalismo, la democrazia diretta (nei due significati: diretta dall’alto ed esercitata direttamente, cioè senza intermediari). Del liberismo trionfante ormai molti vedono gli effetti. Dell’erosione del liberalismo non ci si cura granché. Della trasformazione della democrazia in demagogia (populismo) un pochino di più. Il controllo sulla corrispondenza elettronica e sulle relazioni personali suscita qualche dibattito, intanto procede e si estende senza fine. Il diffondersi delle telecamere in tutti i luoghi pubblici invece non è ancora stato denunciato da alcun liberale (e neanche da alcun libertario, che io sappia). Il Grande Fratello. Queste non sono dinamiche antidemocratiche, sono antiliberali (ed anche antilibertarie, en passant).
Il sistema della tecnoscienza in versione capitalistica può prosperare con o senza il liberalismo (dittatura, fascismo e parafascismi vari), nella democrazia rappresentativa o in quella diretta (demagogia), con la religione o senza. Può essere razzista e antirazzista (pecunia non olet) androcentrica o femminista, omofobica o genderista-filogay. Proibizionista o legalizzatrice di droghe, prostituzione e giochi d’azzardo. Non ha intima necessità di alcuno di questi caratteri. La visione deterministica delle correlazioni sociali (semplicismo epistemologico di stampo positivista) ha fatto il suo tempo. Jurassic park.
La vedo così: davanti a noi sta un sistema di repressione politica e civile fondato sulla democrazia diretta della massa eterodiretta al servizio del liberismo planetario.
Da che parte stare? Contro il liberismo e la demagogia, questo è ovvio. Ma quanto al liberalismo?
Anzitutto stiamo da parte della coerenza minima. Quando rivendichiamo l’esercizio di tutte le libertà sopraindicate e/o ne denunciamo la limitazione progressiva non siamo autorizzati a dichiararci antiliberali. Se difendiamo la libertà siamo liberali. Se invece siamo antiliberali allora non possiamo denunciare alcuna limitazione della libertà. A meno di significare che vada limitata solo quella altrui.
Ma se la libertà è liberale allora è un prodotto (pur se in via di rottamazione) di quello che fu il liberalismo capitalista. Come accettarlo? Come accettiamo serenamente una grandissima quantità di prodotti della storia del capitalismo: dal romanzo allo sport, dal rock alla penicillina, dal web al viagra. E via elencando.
Nessuno di noi prova imbarazzo nell’ammirare i lasciti dell’architettura dell’età classica, né di quella dei secoli recenti. Eppure sono tutte creazioni di civiltà fondate sulla rapina, lo sfruttamento e l’umiliazione delle masse. Questo non è sufficiente a farcele odiare o a volerle demolire.
Nemmeno le motivazioni della loro creazione (emulazione, ostentazione, volontà di potenza) ce le fa apparire rottamabili. Non è necessario essere credenti per salvaguardare la Sistina. Quando i credenti saranno scomparsi e il Papa sarà un lontano ricordo, gli atei – quelli intelligenti – difenderanno con ogni mezzo quei capolavori. Ad onta della loro origine.
La borghesia settecentesca e ottocentesca che creò il liberalismo è ormai scomparsa. Quelli che furono (e sono) i suoi nemici sono chiamati a difendere quella grande creazione. Finché sarà possibile.
Sono ateo. Non voglio distruggere le Cattedrali.
Sono figlio della classe operaia. Voglio la fine del liberismo non quella delle libertà liberali.
Facciamo nostra l’eredità giacente.