Poco meno di un anno fa in due articoli, scritti con Sandro De Toni su “Il Manifesto”https://ilmanifesto.it/un-polo-alternativo-che-dialoghi-con-il-m5s e su “Terzogiornale”https://www.terzogiornale.it/author/antonio-castronovi-e-sandro-de-toni/, auspicavo la sopravvivenza del Movimento 5S sotto la guida di Conte insieme alla necessità di un Polo di sinistra di ispirazione socialista che lo sostenesse contro il tentativo di distruggerlo da parte dell’Establishment draghiano. Un’alleanza che si cimentasse nelle lotte politiche, sociali ed anche elettorali comuni e con un proprio autonomo profilo politico-culturale.
Il rapporto doveva avere un carattere dialettico ma leale, unito da una comune battaglia contro la normalizzazione del quadro politico italiano ispirato dai circoli atlantici e che aveva portato alla crisi e alla caduta dei due governi Conte. Governi che avevano avuto “l’ambizione” e “l’impertinenza” di riproporre un ruolo dell’Italia autonomo nel contesto internazionale ed europeo non prono agli interessi geopolitici degli USA che ridava dignità al nostro paese nei rapporti con USA, Francia e Germania. Il Governo Draghi, voluto e sostenuto dal partito euroatlantico, aveva il compito di normalizzare questo quadro politico “anomalo” uscito dalle elezioni del 2018, con un M5S sopra il 30% di cui occorreva ridurne ruolo e influenza. La posta in gioco in queste elezioni era proprio questa: certificare la caduta e l’irrilevanza del Movimento di Conte.
Da ciò il mio auspicio, insieme a quello di De Toni, di ancorare un progetto di nuova sinistra accanto alla battaglia di Conte per difendere un progetto e un campo politico che si intendevano distruggere.
Questa speranza non ha trovato riscontro a sinistra per la miopia politica e l’assenza di visione strategica dei suoi protagonisti. La loro impostazione, sbagliata e sballata, è stata invece quella di provocare-punzecchiare Conte e attendere quella che sembrava una imminente esplosione del M5S per saccheggiarne le spoglie, salvo proporre poi un improbabile alleanza elettorale fuori tempo. Atteggiamento privo di saggezza e di lungimiranza politica. Ma il primo auspicio si è avverato. Conte ha vinto la sua battaglia “scornificando” i suoi detrattori e l’apparato politico-mediatico che gli ha fatto la guerra ed ha ottenuto un successo strategico, che lo pone oggi in un campo una volta occupato dalla sinistra socialdemocratica. La sinistra, presuntuosa e frantumata come un vaso rotto, invece, è sparita nelle urne, nella sua velleità autistica di riproporsi senza strategia e senza un progetto politico e destinata così alla eterna marginalità e irrilevanza.
Conte è stato attaccato stupidamente dai vari mini-rassemblement di sinistra con vari argomenti, il più ridicolo dei quali era il suo non essere abbastanza di sinistra, unendosi così agli attacchi da destra del suo naturale nemico: il sistema politico-mediatico alleati.
Gli si è imputato di tutto: la caduta del governo Draghi, la mancata alleanza in un fronte ampio antifascista, l’”assistenzialismo” meridionalista col RdC, lo “statalismo” col superbonus 10%, il sospetto “filoputinismo” con il non sostenere con determinazione e convinzione lo sforzo bellico-patriottico contro l’asse del male russo-cinese, e di conseguenza di non essere un alleato fedele al più servile atlantismo con la richiesta di non inviare armi in Ucraina e di auspicare una soluzione politica al conflitto in corso.
Queste “accuse” in realtà sono state i suoi meriti e le basi su cui ha costruito il suo successo elettorale e consentito al suo movimento di invertire la tendenza al declino del vecchio M5S grillino e dimaiano, ridandosi nel contempo un nuovo profilo politico-culturale innovativo.
Il voto designa il Movimento di Conte come Partito del Sud, frena il successo della destra e ostacola le pulsioni liberiste e guerrafondaie del blocco atlantico nordista e demo-progressista.
All’indomani del voto, nulla purtroppo sembra cambiato nelle narrazioni ufficiali. I nostalgici del campo largo di centro-sinistra tornano alla carica reclamando al PD e a Conte la ripresa del dialogo per contrastare la destra e il pericolo fascista, con le sparute pattuglie dei resti della sinistra che ripropongono la loro autosufficienza e rimpiangono l’incapacità ad unirsi.
A costoro sfugge che il campo largo non esiste come prospettiva politica praticabile per la divaricazione politica e strategica dei suoi protagonisti ipotetici: il PD rappresenta il partito della guerra e dell’establishment neoliberale, mentre il movimento di Conte è la sua alternativa radicale: si presenta con una forte impronta meridionalista, con un progetto sociale imperniato sul ruolo del pubblico, sulla difesa del lavoro, basato sull’autonomia del nostro paese nelle relazioni internazionali e su una soluzione politica alla guerra in corso. Il PD si candida invece ad una opposizione di sua maestà, di cane da guardia e di vigile baluardo dell’ultra euro-atlantismo. Il campo largo sarebbe quindi la tomba di Conte e segnerebbe la morte prematura del suo movimento. Ad esso si attaccano invece i nostalgici ulivisti di sinistra per battere, dicono, il fascismo della Meloni, pericolo inventato e presunto.
Il PD va lasciato solo con i suoi simili centristi che aspirano a subentrargli nel ruolo, abbandonandolo a sé stesso e al suo destino, alla sua possibile dissoluzione.
Nel campo della sinistra un Polo democratico e neo-progressista si va costruendo attorno al movimento di Conte, che sta occupando lo spazio politico del vecchio centro-sinistra ulivista, rinvigorito dalla ripresa di temi cari al cattolicesimo democratico. La sinistra storica invece oggi non esiste e non può esistere come forza autonoma ed autosufficiente. Gli manca l’energia sufficiente e una consapevolezza del suo ruolo nell’attuale fase storica, segnata da grandi cambiamenti epocali. Continuare ad immaginare una sua rinascita ripartendo dai suoi cocci e dall’esaltazione dell’eroismo mostrato dai suoi generosi militanti nella raccolta delle firme sotto il torrido sole di agosto, è esercizio sterile e inutile, un perseverare diabolico nell’errore. Per crescere, una sinistra si deve ancorare e articolare in questa fase attorno all’asse contiano, arricchendolo con la propria autonomia culturale e politica, condividendo lo spazio di comuni battaglie sociali, democratiche e neomeridionaliste, riconsegnando rappresentanza al mondo del lavoro, della precarietà e delle periferie sociali e territoriali, sostenendo il ruolo autonomo e non servile dell’Italia nella politica europea, difendendo la sua sovranità nella decisione su guerra e pace per ridare dignità al nostro paese nel contesto internazionale. In questa prospettiva ci sarebbe spazio per tutti quelli – siano essi gruppi, associazioni, movimenti, intellettuali, ecc. – che vogliano re-iniziare con umiltà una lunga marcia verso una rinascita neo-umanista del socialismo e per cementare un rinnovato “cameratismo” fatto di impegno e lotte comuni.
Un Polo di sinistra, alleato con Conte, avrebbe così anche il compito di rielaborare una teoria del socialismo possibile nel mondo multipolare in formazione, di mettere a critica severa l’antropologia e l’ideologia neoliberale anglosassoni diventati egemoni nell’immaginario collettivo e che ha contaminato anche il mondo della sinistra; di ripensare l’Europa non più come “Occidente”, con la sua storia coloniale e imperialista, ma di riscoprirla nelle sue antiche radici culturali e filosofiche delle libertà positive e dello spirito comunitario ereditate dalla filosofia classica tedesca, di farla rivivere nella sua tradizione umanista, di riproporla restituendo valore a parole come “uguaglianza” e “fratellanza” che avevano animato l’Illuminismo e le sue rivoluzioni.
E’, questo, un lavorio che può risultare fecondo per ridare senso alle nostre battaglie culturali e politiche, per mettere in campo una rinnovata teoria del socialismo nel fuoco della costruzione del nuovo mondo multipolare che non avrà più il suo perno nel globalismo occidentale e nella sua eredità coloniale che ha avvelenato e avvelena ancora il mondo e le sue coscienze.