La sinistra radicale e l’Europa

Qualsiasi sia l’esito delle prossime elezioni europee, una cosa è certa: che noi della sinistra radicale ne usciremo con le ossa rotte. Elettoralmente ma anche politicamente. In Italia come altrove; ma particolarmente  in Italia.

Elettoralmente, la sinistra del Gue non beneficia in alcun modo del generale e consistente cedimento del voto socialista; voto che andrà verso i verdi e le nuove formazioni liberali e civiche. In Italia, se il voto Pd si dimezza praticamente rispetto a quello del 2014, il nostro scende ulteriormente sino a mettere seriamente in discussione lo stesso raggiungimento del quorum. In Europa, la sinistra manterrà, con dignità, le sue posizioni tradizionali in attesa di tornare ad avere una qualche rilevanza. Noi siamo, invece, in un totale marasma.

Primo perché i nostri potenziali modelli di riferimento – l’asse Mèlènchon/Podemos da una parte e Varoufakis dall’altra – non solo non sono riusciti a creare schieramenti europei a sostegno del loro progetto ma sono essi stessi entrati in crisi. Varoufakis, costretto a presentarsi in Germania, Podemos ricondotto (o promosso, fate voi) al ruolo di aspirante sostenitore di uno schieramento guidato dal Psoe, Mèlènchon in difficoltà.

Secondo, perché al nostro interno si sono moltiplicate le divisioni che hanno condotto in Francia alla presentazione di dieci e più liste in feroce polemica tra loro; e che hanno portato da noi alla, peraltro silenziosa (nel senso che non se n’è accorto nessuno), scissione dell’atomo.

Terzo e soprattutto perché non abbiamo saputo o voluto riflettere sulle ragioni di una crisi che non è esplosa all’improvviso ma ha radici profonde.

Ala base di tutto, due illusioni: quella di potere uscire indenni, che dico rafforzati, dalla crisi che ha travolto la prima repubblica e con essa il comunismo e il socialismo, con il mondo che ne rappresentava il punto di riferimento (l’Unione sovietica, la pace, il terzo mondo, il pubblico, i partiti e via discorrendo). Mentre è avvenuto, com’era logico, esattamente il contrario. Se l’universo intorno a te viene spazzato via, se la lingua che conosci risulta incomprensibile non puoi uscire dal tuo bunker e riprendere il tuo discorso come se niente fosse. E, soprattutto, non puoi fare della tua purezza ideologica una clava da agitare come se fossi alla guida di una locomotiva in marcia verso il sole dell’avvenire; perché sei nel vagone di coda di un treno che corre veloce nella direzione opposta e con serio rischio di deragliare. Mentre il tuo problema e, se permetti, anche il problema del popolo che rappresenti, è quello di fermarlo; ricorrendo, a questo fine, a tutti gli aiuti (leggi alleanze) possibili.

A questa si è aggiunta una seconda illusione, questa propriamente ottica: quella che ci ha portato a leggere in modo totalmente erroneo la fase che stiamo vivendo. Nostro bersaglio l’ordoliberismo e l’Europa. Bersagli in un certo senso comodi: perché possono essere oggetto di tutte le invettive ideologiche su cui misurare la nostra superiorità, mentre ci dichiariamo in partenza incapaci di combatterli.

In realtà ci stiamo battendo contro avversari che non esistono: l’ordoliberismo stava nella testa dei vincitori dell’89 ma non è mai veramente venuto alla luce; ed è ora, spazzato via non da un ordine superiore ma dal disordine mondiale basato sulla legge del più forte, che è poi quella del capitalismo senza regole e del complesso militare/industriale/politico americano, interessato a distruggere con ogni mezzo e senza rispettare alcuna regola tutto ciò che si contrappone alla sua volontà di dominio. E il disordine mondiale è un ambiente in cui la sinistra non può respirare.

In tale contesto, l’Europa non esiste, perché non ha alcuna dimensione comune sia essa politica o economica; ed è perciò – con il suo consenso passivo o anche senza – destinata ad essere travolta dallo scontro in atto a livello mondiale e soprattutto dal populismo reazionario incarnato da Trump e dai suoi alleati sudamericani, europei e medio orientali.

E’ nostro interesse che ciò avvenga? Io penso proprio di no. Ma allora dobbiamo trarne tutte le conseguenze: considerando l’Europa non come un blocco immutabile e men che meno come il “nemico principale”. Mentre è esattamente il contrario: un’area del mondo le cui, si fa per dire, classi dirigenti saranno costrette a rimettere in discussione tutti i loro tabù, dalla fedeltà subalterna agli Usa, alle politiche di restrizione della domanda interna, fino ad un privatismo dissennato che rinnega in radice il ruolo dello stato. Pena la definitiva scomparsa del nostro continente dalla scena mondiale.

Un processo che sarà lungo e difficile e tutt’altro che scontato: ma in cui, proprio per questo, sarà determinante il ruolo di una sinistra in grado di formulare prospettive e di contrarre alleanze: e non tanto tra partiti quanto tra stati e classi sociali.

Su questo siamo chiamati a riflettere. E da subito.

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