Un monarca prussiano del 18° secolo disse,
ed era una cosa molto intelligente:
“Se i nostri soldati capissero perché ci battiamo,
non si potrebbe più fare una sola guerra.”
(Lenin, “Successi e difficoltà del potere sovietico”)
Quando, nel 1991, l’Italia prese parte alla guerra del Golfo, sotto la guida di Bush padre, scendemmo in piazza, a protestare davanti alle prefetture, infischiandoci dei permessi, ridendo dei pochi minuti di sciopero proclamati dalla CGIL. Ufficialmente, anche il PCI –PDS (Cambiava nome in quei giorni) si disse contrario, con l’eccezione della corrente migliorista – in cui spiccava il “comunista” preferito da Kissinger, Giorgio Napolitano – ma si guardò bene dallo sviluppare un’agitazione di massa. Un cacciabombardiere italiano fu abbattuto, i due militari, Bellini e Cocciolone, furono catturati. Cocciolone fu mostrato in TV, piuttosto malconcio. Qualche giorno dopo, in molti muri delle nostre città, fu affisso il suo ritratto, con la scritta: “ Mamma, ho perso l’aereo”.
Oggi non c’è una vera reazione visibile al militarismo, a parte gruppi relativamente ristretti. Questo anche perché le operazioni militari spesso vengono nascoste dai media. Giornali e TV, quando parlano della guerra in Libia del 2011, dicono che fu un errore, e accusano Francia e Gran Bretagna, come se Italia e Stati Uniti non vi avessero partecipato. Questo è possibile perché vi fu una pesante cortina di omertà sui bombardamenti italiani, presentati al pubblico tv dal ministro La Russa come operazioni di ricognizione. L’Italia fu mostrata come una verginella, che non vedeva l’ora di sostituire al bruto Gheddafi dei sinceri democratici.
Rarissime le notizie sull’attività del contingente italiano in Afghanistan, ancor meno
Sui nostri istruttori in Iraq.
Come capire il presente, nonostante la crescente mistificazione? C’è un’immensa esperienza del passato sulle guerre. Molti, persino nell’estrema sinistra, non ne tengono conto, perché -pensano – le nuove tecniche militari avrebbero cambiato la natura della guerra. Ma non si può capire la guerra prescindendo dal processo storico, dall’economia e dalla politica. Le tecniche militari, quasi sempre, hanno precorso quelle civili, e oggi si evolvono con rapidità spaventosa. Molte invenzioni, ad esempio, sono nate nel corso della sfida per la supremazia nello spazio tra USA e URSS. Si trattava di una ricerca militare per eccellenza, presentata a un’opinione pubblica bambina come una gara scientifico- sportiva. Oggi, nessun esercito, nessuna nave, nessuna automobile può muoversi senza cadere sotto il controllo dei satelliti USA, con qualche eccezione, come le Toyota dell’ISIS, che hanno attraversato più volte il deserto. Forse Obama e i suoi collaboratori hanno pensato a gite fuori porta di dimensioni inconsuete.
Non si possono certo ignorare gli enormi progressi compiuti dalle tecniche militari, per esempio la possibilità di riprodurre certi eventi naturali, cosa che i più ritengono una bufala, confermati in ciò dai troll di regime. Eppure, più di 70 fa, Usa e Nuova Zelanda, in funzione della guerra al Giappone, sperimentarono forme di tsunami artificiali. (1) C’è, poi, un’intervista al generale Mini: “La guerra ambientale non è più solo una ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo, si passa per pazzi.” “Negare l’informazione è già un atto di guerra. Non c’è solo la disinformazione ma c’è una pratica militare che si chiama ‘denial of service’ ovvero si stabilisce che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione. E questo è già un vero e proprio atto di guerra. Determinate persone o paesi non devono venire a
conoscenza delle informazioni e questo può causare catastrofi di proporzioni bibliche, come il devastante tsunami dell’Indonesia. L’informazione sul suo arrivo era disponibile, ma interruzioni nella trasmissione, a causa di anelli mal funzionanti o volutamente non funzionanti, ne ha impedito la comunicazione.”
“La bomba climatica è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta lavorando in gran segreto per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che purtroppo non è più fantascienza.” “La maggior parte delle persone ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle conseguenti implicazioni.” (2)
C’è poi una notizia sul riarmo russo: “Poco tempo fa sono “trapelati per errore sulla stampa” i piani per la costruzione di un gigantesco siluro nucleare semovente capace di generare uno tsunami di più di 300 metri di altezza. A quanto pare le testate nucleari installate su questi siluri sono progettate per creare talmente tante radiazioni che “ogni essere vivente ne rimarrà ucciso” – compresi quelli che tenteranno di sopravvivere all’attacco nascondendosi in rifugi sotterranei. Questi “mini-sottomarini robotizzati” avrebbero una portata fino a 10.000 chilometri e sarebbe in grado di eludere tutti i sistemi di rilevamento statunitensi esistenti.” (3)
C’è qualcuno che può sostenere che non esiste più l’equilibrio del terrore? La Russia, anche se costretta per lungo tempo alla difensiva, resta una grande potenza militare. Le difficoltà dell’economia potrebbero prima o poi minarne l’efficienza, ma questo vale per ogni paese. Le esperienze del passato, in particolare la sconfitta dell’URSS in Afghanistan, finora hanno consigliato di evitare una sovraestensione, un impegno eccessivo in troppe aree, anche se gli USA stanno cercando di trascinarla in un nuovo Afghanistan. Quanto alla Cina, alla sua incredibile penetrazione nei mercati mondiali, con merci e capitali, non corrisponde una analoga ascesa sul piano militare. Pronta a forti risposte nelle questioni vicine ai suoi confini, cautissima in quelle lontane, non ha fatto nulla per impedire la distruzione della Libia – Cina e Russia non hanno neppure espresso un platonico veto all’ONU. In Europa, settori della destra nazionalista e della sinistra nostalgica dell’URSS, alla ricerca di un antagonista allo strapotere USA, celebrano la forza di questi due stati, e alcuni li definiscono antimperialisti. Eppure tutti sanno che la Cina possiede una quantità enorme di titoli di stato USA, e quindi ne sorregge l’economia; riguardo alla Russia apprendiamo che “L’investimento della Russia si è leggermente ridotto di 800 milioni di dollari fino a 89,1 miliardi di dollari. La scorsa estate tra agosto e luglio la Banca Centrale russa aveva acquistato bond USA per una cifra record, investendo 21,4 miliardi di dollari.”(4) Le tensioni ci sono e crescono, ma gli affari sono affari.
In guerra, proprio come in politica, niente è comprensibile senza lo studio del passato. I migliori strateghi ancor oggi studiano Clausewitz, ma anche Sun tze e Giulio Cesare, e non si lasciano confondere dal nuovismo, che isola gli sviluppi immediati dal loro contesto storico.
Noi comunisti non abbiamo, salvo qualche eccezione, una formazione nel campo militare, anche se dobbiamo prestare grande attenzione agli scritti degli esperti che appaiono su giornali, riviste o in rete. Il nostro compito è affrontare la questione della guerra ( e della rivoluzione) da un punto di vista politico e sociale.
Importante analizzare il comportamento delle masse al momento in cui scoppia una guerra. Apparentemente, è di una totale incoerenza. Per esempio, nel 1914, le stesse masse e gli stessi partiti che pochi giorni prima avevano condotto gigantesche manifestazioni contro la guerra, di colpo cedettero allo sciovinismo. Trotsky, a Vienna nell’estate del 1914, osservò con stupore calzolai, fruttivendole, cocchieri, portabagagli, lavandaie, apprendisti, sfilare sull’elegante Ring, dove molti di loro non avevano mai messo piede, per manifestare accanto a banchieri e industriali a favore della guerra. “La guerra travolge tutti e così gli oppressi, coloro che sono stati ingannati dalla vita, hanno la sensazione di essere nella stessa condizione dei ricchi e di potenti. Non sembri un paradosso se dico che negli stati d’animo della folla viennese che manifestava per la gloria delle armi degli Asburgo ritrovavo alcuni tratti che avevo già conosciuto nelle giornate dell’ottobre 1905 a Pietroburgo. Non per nulla la guerra è stata spesso la madre della rivoluzione…” “Come la rivoluzione, la guerra sconvolge completamente la vita, facendola uscire dai binari consueti. Ma la rivoluzione dirige i suoi colpi contro il potere costituito. La guerra, al contrario, rafforza, sulle prime, il potere dello stato che nel caos che si determina appare come l’unico punto d’appoggio sicuro…sinché la stessa guerra non lo abbia minato.”(5)
Partendo da queste esperienze, possiamo prevedere che, dopo l’attentato di Parigi del 13 novembre, lo screditato Hollande si rafforzerà, e potrà condurre la sua guerra in Siria, il cui scopo non è distruggere l’ISIS, con cui anche recentemente ha civettato, ma di recuperare peso nell’ex colonia, non importa se contro o in alleanza con Assad.
Le velleità neocolonialiste di Hollande e di Cameron sono utilizzate da Obama per portare avanti il suo piano di balcanizzazione del Medio Oriente e dell’Africa. La guerra, inoltre, è lo strumento principe per scaricare all’esterno le tensioni, e un ottimo pretesto per portare avanti il conflitto che al capitale, e al governo suo servo, interessa di più: quello contro i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, le classi sfruttate in generale, il cui tenore di vita deve ulteriormente peggiorare, per incrementare i profitti e le rendite. In tempo di guerra, l’internazionalismo diventa un reato, una bestemmia contro lo spirito santo, che qualsiasi esaltato può punire con la morte, con la certezza dell’impunità.
Con lo sviluppo della guerra, se questa è lunga, lo sciovinismo delle masse si attenua, e può trasformarsi nel contrario quando i sacrifici imposti alla popolazione diventano intollerabili. Il disincanto delle masse e le ribellioni possono trasformarsi in rivoluzione se c’è un grande lavoro politico. Non bisogna illudersi che le grandi lotte del passato possano, di per sé, tracciare un solco che incanali la volontà rivoluzionaria verso un unico fine. Le esperienze del passato sono assimilate solo attraverso la mediazione politica, quindi occorre la guida di un partito. Marx ed Engels, nell’”Ideologia tedesca” scrivono: “Questa somma di forze produttive, di capitali e di forme di relazioni sociali, che ogni individuo e ogni generazione trova come qualche cosa di dato, è la base reale di ciò che i filosofi si sono rappresentati come « sostanza » ed « essenza dell’uomo », di ciò che essi hanno divinizzato e combattuto, una base reale che non è minimamente disturbata, nei suoi effetti e nei suoi influssi sulla evoluzione degli uomini, dal fatto che questi filosofi, in quanto « autocoscienza » e « unico », si ribellano ad essa. Queste condizioni di vita preesistenti in cui le varie generazioni vengono a trovarsi decidono anche se la scossa rivoluzionaria periodicamente ricorrente nella storia sarà o no abbastanza forte per rovesciare la base di tutto ciò che è costituito, e qualora non vi siano questi elementi materiali per un rivolgimento totale, cioè da una parte le forze produttive esistenti, dall’altra la formazione di una massa rivoluzionaria che agisce rivoluzionariamente non solo contro alcune condizioni singole della società fino allora esistente, ma contro la stessa « produzione della vita » come è stata fino a quel momento, la « attività totale » su cui questa si fondava, allora è del tutto indifferente, per lo sviluppo pratico, se l’idea di questo rivolgimento sia già stata espressa mille volte: come dimostra la storia del comunismo. (3) E un atteggiamento realistico, contro chi pensa che la rivoluzione sia solo un fatto di volontà e coraggio, e chi sostiene che è un fatto automatico, determinato soltanto dal crollo del capitale. Marx ed Engels, che non avevano ancora affrontato l’esperienza del 1848 -1849, svilupparono ancora questa analisi, che non è sintetizzabile in un articolo. Limitiamoci, perciò, ad alcuni scritti del vecchio Engels.
Lo scritto più noto è l’ “Introduzione alla prima ristampa di ‘le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850’”. Con i tagli della redazione del Vorwärts, e quelli meno gravi, ma non indifferenti, fatti da Kautsky in “Die Neue Zeit”, fecero apparire lo scritto come un esempio di legalitarismo. I riformisti ci videro la benedizione di Engels della via parlamentare al socialismo, molti rivoluzionari lo criticarono. Questi ultimi, una volta pubblicato il carteggio di Engels, ebbero modo di ricredersi.
Il problema che poneva Engels era: nel passato, nel corso di un’insurrezione, una città era in grado di tenere testa ad un esercito erigendo barricate, il che non era più possibile, dato lo sviluppo degli armamenti: “E’ passato il tempo dei colpi di sorpresa, delle rivoluzioni fatte da piccole minoranze coscienti alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta di una trasformazione completa delle organizzazioni sociali, ivi devono partecipare le masse stesse; ivi le masse stesse devono aver già compreso di che si tratta, per che cosa danno il loro sangue e la loro vita”. (1)
Non era più valido il modello insurrezionale del 1789/1830, senza la partecipazione di almeno una parte dell’esercito non c’era più speranza di vittoria, e per questo occorreva una lunga opera di propaganda e di educazione, soprattutto nei confronti dei giovani di leva.
Un articolo precedente, “Il socialismo in Germania”, diceva: “La forza principale della Socialdemocrazia tedesca non sta nel numero dei suoi elettori. Da noi si diventa elettori solo a 25 anni, ma soldati a 20. E poiché è proprio la giovane generazione a fornire le reclute più numerose al nostro partito, ne risulta che l’esercito tedesco è sempre più contagiato dal socialismo. Adesso abbiamo un soldato su cinque, fra pochi anni ne avremo uno su tre, e intorno al novecento l’esercito, una volta l’elemento più prussiano del paese, sarà in maggioranza socialista. Tutto ciò si avvicina, ineluttabile come il destino. Il governo di Berlino lo vede arrivare come noi, ma è impotente. L’esercito gli sfugge”.(4)
Il voto per i socialisti era una sorta di termometro per conoscere la posizione delle masse. Conquistare le masse contadine significava conquistare l’esercito di leva, rendere impossibile il suo impiego nella repressione. Bisognava, però, conservare questa forza fino al momento della rivoluzione. Per il marxismo, lo stato, in ultima analisi, è costituito da corpi armati, l’esercito, la polizia, la finanza, ecc. Se il partito di classe ha un’influenza determinante su gran parte di questi corpi armati, la borghesia diventa impotente, perché l’arma che le permetteva di reprimere il proletariato e le masse sfruttate le si solleva contro.
I socialdemocratici tedeschi, non recepirono tale messaggio. Karl Liebknecht, che aveva compreso la necessità di una propaganda specifica verso i coscritti, si trovò contro, non soltanto destri come Vollmar, ma persino Bebel. Per quest’ultimo, per la lotta antimilitarista era sufficiente la propaganda generale del partito.
Liebknecht ebbe successo tra i giovani, fu eletto presidente dell’Internazionale giovanile, e molti suoi seguaci parteciperanno all’opposizione alla guerra mondiale, al movimento di Zimmerwald, ai contatti con i bolscevichi. Particolare importanza avrà Willy Münzenberg, presente a Kienthal. Al giornale Jugend Internationale, schierato contro il socialpatriottismo, collaboreranno Lenin, Liebknecht e Zinoviev.
Lo scritto più ponderoso di Liebknecht è “Militarismo e antimilitarismo”(1907), e costò a Liebknecht un processo per tradimento e una lunga detenzione.
Seppero utilizzare pienamente l’impostazione di Engels i bolscevichi: fecero un lavoro costante e metodico nell’esercito, che diede i suoi frutti al momento della rivoluzione.
Il secondo Congresso dell’Internazionale Comunista, tra i punti di adesione, pose il lavoro di propaganda nell’esercito. Il punto 4 dice:
“Il dovere di divulgare le idee comuniste include il preciso dovere di portare avanti un’attività di propaganda sistematica ed energica nell’esercito. Laddove tale opera di agitazione sia impedita dalle leggi d’emergenza, bisogna portarla avanti clandestinamente. Il rifiuto d’assumersi un compito di questo genere equivarrebbe al ripudio del dovere rivoluzionario ed è incompatibile con l’appartenenza all’Internazionale Comunista.”
L’obiezione naturale è: oggi gli eserciti di leva sono stati sostituiti da professionisti, da mercenari e persino da eserciti privati, comprati in borsa da multinazionali. Verissimo, ma quando un paese in guerra si trova in un’estrema difficoltà, è costretto a ripristinare la leva, soprattutto nella logistica, e, anche se non la ripristina formalmente, è costretto a militarizzare settori vastissimi della società.
Possiamo aggiungere che, data la crescente complessità dell’arte militare e l’ancor più schiacciante superiorità dell’esercito sulle masse disarmate, la necessità della propaganda diretta anche verso i tecnici militari si farà impellente. Chi non ha dimenticato il “Che fare” non si scandalizza, perché sa che la propaganda si deve fare verso tutte le classi sociali. Come nelle rivoluzioni borghesi vasti settori della aristocrazia e del clero appoggiarono il Terzo Stato, così nella rivoluzione proletaria, settori della borghesia, transfughi della loro classe, e tra questi anche militari, appoggiano il proletariato. Questo è possibile – lo si è visto nella Russia del 1917 – per la sconfitta militare, il peggioramento terribile delle condizioni di vita, l’avanzata disgregazione dello stato, l’impossibilità di una scelta intermedia, tra estrema reazione e rivoluzione.
Per queste attività, naturalmente, non bastano le piccole organizzazioni politiche esistenti, composte di poche decine di militanti, occorre un partito in grado di guidare le masse proletarie. Si può, tuttavia fare qualcosa anche adesso, se sappiamo scegliere i “compagni di strada” giusti.
E’ noto che i comunisti si differenziano dai pacifisti, che sono contro tutte le guerre, mentre i comunisti sono contro le guerre reazionarie e imperialistiche, ma non contro le guerre di liberazione nazionale delle colonie e delle semicolonie contro i paesi imperialistici (guerre d’Algeria, del Vietnam, delle colonie portoghesi…), e, a maggior ragione, per guerre anticapitalistiche (es. Armata rossa contro i bianchi e contingenti dell’Intesa). Ma abbiamo anche imparato da Lenin a distinguere diversi tipi di pacifisti. Si va dai “pacifisti in tempo di pace”, quelli che ora chiamano “Pacifinti”, pronti, se ammessi al governo, a votare per il rifinanziamento della spedizione in Afghanistan, fino a quelli, come i soldati israeliani che si rifiutano di combattere contro Gaza, pronti ad affrontare la galera, e della cui sincerità non si può dubitare. Tra questi due estremi ci sono mille posizioni intermedie.
Se i comunisti dovessero affrontare le lotte da soli, sarebbero sconfitti. Su singole questioni, come denunciare le vendite di armi dell’occidente alle monarchie del golfo, le esercitazioni militari come quelle in Sardegna, che, tra l’altro, avvelenano l’ambiente, la crescente militarizzazione della Sicilia da parte USA, che sono tornati a prendere in considerazione il separatismo siciliano… possiamo trovare molti alleati. Questo non vuol dire entrare nelle organizzazioni pacifiste, ma sentire l’esigenza di organizzazioni a base classista, che operino nel settore specifico antimilitarista.
Non si tratta di inventare nuove lotte, ma di partecipare a quelle in corso e di portarvi l’esigenza di un maggiore coordinamento a livello nazionale, perché solo a quel livello si può parlare di lotta di classe.
Note
1)”Una “bomba Tsunami” testata al largo della Nuova Zelanda” megachip, 4 Gennaio 2013
M. Basso, “Eritis sicut deus”, nel sito di Sotto le bandiere del marxismo.
2) “SCONVOLGENTE dichiarazione del Generale Mini: Clima impazzito?”No, è guerra climatica”, jedasupport.altervista, 27 giugno 2014.
3) “I NUOVI SILURI NUCLEARE RUSSI POSSONO GENERARE TSUNAMI CHE SPAZZANO VIA INTERE CITTA’ COSTIERE”,DI MICHAEL SNYDER,theeconomiccollapseblog.com, 21 novembre 2015
4) “I cinque più grandi creditori degli USA hanno chiesto i propri soldi indietro”, lastella, 20 novembre 2015.
5)Lev Trotsky, “La mia vita”, “L’inizio della guerra”.
6) Karl Marx – Friedrich Engels, “L’Ideologia tedesca”, Capitolo II, “L’ideologia in generale e in particolare l’ideologia tedesca”.
7) Friedrich Engels, ”Introduzione alla prima ristampa di “le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850””, Opere Scelte. “Il socialismo in Germania”, ne circolano più traduzioni informali, ma non è disponibile in libreria. Il testo tedesco è nelle “Werke”, vol. 22.