Vorrei con questo mio modesto scritto porre alcune riflessioni sulla campagna “Je suis Charlie” che è scoppiata nel giro di poche ore nel mondo a seguito dell’attentato di Parigi.
Confido nell’intelligenza di chi vorrà commentare attenendosi scrupolosamente al senso delle mie riflessioni e non ponendo questioni ad alto contenuto retorico. Mi interessa il significato della campagna suddetta ed il concetto che reca; del resto parlo in altre sedi. Men che mai risponderò ad ovvie dichiarazioni nonviolente o retorica pacifista per sentito dire che rimanderebbero inevitabilmente al significato stesso delle mie riflessioni sulla adesione non ragionata alla campagna stessa.Da buon pacifista della vecchia guardia, obiettore di coscienza, ghandiano e nonviolento non spendo neanche un secondo a condannare il fatto, che si condanna da solo. Né desidero commentare il significato di questo evento, per me ovvio. Se siete pronti ad abbandonare la retorica e le dichiarazioni ad effetto, magari xenofobe, si parte.
Credo innanzitutto che la velocità di propagazione delle notizie e delle risposte, delle campagne come pure delle semplici dichiarazioni o aforismi copiati e proposti nella rete, non dovrebbe mai essere più rapida della nostra capacità di riflettere, di capire e di assorbire ragionatamente. Credo che questo limite alla velocità andrebbe adottato con coraggio, ognuno nelle proprie stanze mentali, per fare fronte correttamente alla babele del pensiero diffuso ed alle sue mille contraddizioni e fare più nostra ogni presa di posizione, per darle forza e spinta davvero potente e per farcene poi noi stessi un legame di coerenza. Rallentare il dito sul click, con coraggio, e darci la possibilità di assorbire il vero significato delle parole è un dovere morale. Incredibilmente, invece, più è facile informarsi e meno lo facciamo, dando per scontato che la velocità di diffusione significhi che qualcuno ha già riflettuto per noi. E non parlo di informazione o controinformazione, parlo di cultura. Un esempio semplice: quanti secondo voi di quelli che hanno adottato lo slogan hanno la minima idea di cosa significhi il nome Charlie Hebdo? Scommettete che pochissimi si sono presi un minuto anche solo per digitare la parola Hebdo e scoprirlo? Ecco, se nel mio esempio questo aspetto linguistico ha poca importanza (hebdo in fondo è solo il diminutivo di hebdomadaire, settimanale), il senso credo si colga.
1) Io SONO Charlie al posto di Io sono CON Charlie. No, voi non siete Charlie, voi casomai siete con Charlie. Charlie erano loro, sono loro che ci hanno rimesso prima la tranquillità esistenziale e poi la vita, voi arrivate adesso. A meno che il mondo non sia popolato da milioni di anarchici paladini della libertà a tutti i costi disposti a perdere la vita per le proprie idee (tra l’altro capaci di sostenere da anni un giornale) ed io non me ne sia accorto. Milioni di attivisti e liberi pensatori. Come sarebbe bello.
Mettiamola cosi, siamo forse tutti Gino Strada? No, sul campo il mazzo se lo fa lui e i sui collaboratori. Non siamo Gino, casomai chi lo ritiene sta CON Gino. Vi pare sottigliezza da poco? A me no. Arrigoni, Madre Teresa, Emergency, e mille altri esempi, muovono le chiappe e vanno sul posto. Oppure da qui i sostenitori fanno la loro parte e sostengono se e come ritengono. Ma non ci arroghiamo meriti che non abbiamo. Siamo tutti palestinesi? No, casomai chi ritiene sta dalla parte dei palestinesi; a morire sotto le bombe però ci stanno loro, e noi facciamo click. E questo per me vale anche al di là di ogni critica che pongo al suddetto giornale, visto che non condividevo né condivido l’approccio né li ritengo paladini della libertà di espressione.
2) appunto. Libertà di espressione. Questa campagna per la quale siamo tutti Charlie, e chi non lo è è connivente con i Jiadisti, è quanto di più retorico si possa immaginare. Mi domando se davvero chi sostiene la libertà di espressione, quanto di più individuale si possa immaginare, creda davvero che accodarsi ad una campagna nata in due minuti ne sia la dimostrazione. Io libero di essere me stesso sottoscrivo una frase condivisa da mezzo mondo. Posso è vero, concordare; ma il significato della frase Je suis Charlie non è concordo, è io sono loro. Sottigliezza? A me pare di nuovo di no.
3) questa campagna accompagna alla frase il simbolo delle matite, le matite contro i fucili, la satira che sconfigge le armi, la matita che spezza il fucile. A me pare una voluta confusione. La satira di Charlie non è mai stata pacifista, né ha usato l’ironia per far venire a galla le storture della violenza. Ha sempre sfacciatamente provocato, a volte denunciato, di sicuro non fatto sconti a nessuno ma che si parli di satira nonviolenta e contro le guerre ce ne vuole. Come premesso, questo non vuole di certo porre la questione su causa/effetto, se e quanto si siano meritati la morte (ovviamente no, nel modo più assoluto…). Né voglio porla sul piano del chi ha cominciato prima; tanto più che come già detto non credo che l’evento sia da circoscrivere alla loro azione. Mi interessa solo capire con quanta faciloneria si pongono in campo ovvie retoriche, la cultura e la satira che sconfiggono l’ignoranza della violenza, ferisce più la penna della spada… tutto sacrosanto; ma ci vogliamo domandare quanto questo c’entri con Charlie? E quanto bisogno abbiamo noi di esporre un cartello che dichiari i nostri intenti, per tema di essere accusati. Si faceva ai tempi del fascismo, la tessera per salvarsi la vita. Per contro, quanti ragionamenti individuali e assai più validi questo click ha sopito?
4) se tu sei vittima, lo sono anche io. Ogni episodio di violenza o repressione mette in luce una mancanza di libertà, o un eccesso di essa da parte di chi reprime. Curiosamente però, ogni privazione della libertà altrui viene regolarmente usata per rivendicare la propria situazione. Dichiarare Io sono Charlie significa anche questo. Visto? Li hanno uccisi per le proprie idee. Quindi, ucciderebbero anche me per le mie. Io sono Charlie perché sono anche io vittima, e con arroganza pongo la mia pretesa protesta al pari della loro. Questa dinamica, a mio avviso, anziché creare un fronte comune per le istanze libertarie o aumentare la consapevolezza comune delle storture da correggere, livella tutto. Se ognuno di noi è vittima, chi è l’oppressore? Una campagna planetaria come questa ci pone tutti dalla parte del giusto, dalla parte dell’onesto e del libertario. In quanti, davvero, nella vita reale, siamo poi capaci o intenzionati a dare la vita perché l’altro possa esprimersi, anche se non condividiamo, per parafrasare un noto scrittore? Davvero tutti questi milioni di tolleranti che permettono all’altro di esprimersi?
5) ai tempi delle torri gemelle, la figlia adolescente di una mia cliente si rifiutava di andare il giorno dopo a scuola (media) perché “troppo sconvolta”. Se davvero questi fatti ci sconvolgessero a tal punto da impedirci di continuare, credo che cesserebbero all’istante. Je suis Charlie sul profilo di facebook in fondo non ci costa molto. Lo incidereste con un punteruolo sulla carrozzeria della vostra macchina nuova, in segno incancellabile di lutto e protesta?
Lo so, potrebbe sembrare retorico, ma la differenza tra “io sono” e “io sono con” è tutta qui.