Gli ultimi vent’anni di pontificato credo abbiano delineato un quadro
in cui traspare il declino dell’influenza internazionale del papato di
Roma.
I due ultimi pontefici hanno tentato strade complementari, in parte
opposte, per conferire nuova centralità alla chiesa cattolica.
Papa Benedetto XVI, nei suoi otto anni di pontificato (2005-2013) ha
tentato di percorrere una strada di consolidamento dottrinale con
ripristino di alcuni fattori tradizionali. Su questa strada
“tradizionalista” ha incontrato resistenze tali nell’entourage vaticano
da condurlo all’inaudito passo di un abbandono in vita del soglio
pontificio. Il gesto di Benedetto si voleva emblematico, ammonitorio.
Il riferimento al fondatore del principale ordine monastico, San
Benedetto, era stato inteso da Ratzinger come auspicio e ispirazione di
una “rinascita” del mondo occidentale, proprio come i monasteri
benedettini ne erano stati la matrice all’indomani del collasso
dell’impero romano (la deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente
Romolo Augustolo è del 473 d.C., la composizione della regola
benedettina è del 525 d.C.). Quell’auspicio e quell’ispirazione sono
naufragati. I papi, come i sovrani del passato, non governano mai da
soli, ma hanno bisogno di un intorno funzionale, una “corte”, un
“apparato” efficienti e aderenti alla “missione”, per poter tradurre il
proprio magistero in costumi e istituzioni. E quell’intorno è risultato
inadeguato al compito di tradurre il magistero di Ratzinger.
Papa Bergoglio era asceso al soglio pontificio rifacendosi a un’altra
figura emblematica, meno decisiva sul piano istituzionale, ma potente
sul piano ideale: San Francesco d’Assisi.
La figura di Francesco, ascetica, mistica, con tratti quasi
panteistici, esprimeva un auspicio e un’ispirazione differenti da
Benedetto, ma parimenti connotati all’insegna di un rinnovamento
radicale. La spinta ideale di papa Francesco era rivolta a sostegno
degli umili, delle parti “perdenti” del mondo moderno, si voleva critica
dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.
L’enciclica “Laudato Si” rimane un testo esemplare, un’enciclica di
grande potenza analitica e rara profondità di messaggio. Si cita spesso
la “Laudato Si”, etichettandola come “enciclica ecologica”, quasi fosse
una delle tante esibizioni di greenwashing che ammorbano il discorso
pubblico corrente. Ma chi si prenda la briga di leggerla vi trova una
ricchezza analitica straordinaria, un’integrazione del tema ambientale
nel tema dello sfruttamento economico generale, una critica ai
meccanismi di capitale, al predominio dell’economia finanziaria
sull’economia reale, al dominio tecnocratico, una critica delle presunte
“soluzioni di mercato” al degrado ecologico (come i “carbon credits”), e
molto altro.
Ma al netto delle grandi speranze iniziali, i dodici anni del
pontificato di Bergoglio hanno mostrato di nuovo l’enorme difficoltà
dell’odierno papato a proporre con successo un messaggio autonomo.
I tratti del magistero di Bergoglio che sono stati ripresi e promossi
sono stati tutti e soli quei pochi di “liberalizzazione dei costumi”
(es.: le aperture LGBT con la lettera a padre Martin) e di
amplificazione della narrazione corrente (es.: l’adesione alla lettura
dominante sul Covid) che si confacevano a un’immagine di stereotipato
“modernismo”. Le numerose altre posizioni scomode sul capitalismo
finanziario o su temi internazionali, da Israele alla Libia, dall’Iran
alla Russia, sono state messe in sordina, talvolta persino censurate.
L’impressione complessiva è che i due ultimi pontificati abbiano
mostrato due tentativi – intellettualmente robusti e spiritualmente alti
– di conferire nuova centralità al cattolicesimo romano e al suo
messaggio storico.
Il primo tentativo, con maggiore connotazione “conservatrice” si è arenato rapidamente nella paralisi.
Il secondo tentativo, con maggiore connotazione “progressista” è
stato ridotto a una sostanziale impotenza in tutti gli ambiti in cui non
remava nella direzione della corrente – laddove la “corrente” indica la
moda ideologica privilegiata dalle oligarchie finanziarie
angloamericane.
Tutto si potrà dire di Ratzinger e di Bergoglio, ma certo non che
siano stati papi privi di ispirazione, di preparazione o di carattere.
Tutt’altro.
Eppure è difficile dire che a due decenni di distanza lo statuto,
ideale e operativo, del cristianesimo cattolico abbia acquisito di
centralità o autorevolezza.
Cosa ci riserverà la prossima fumata bianca al conclave naturalmente
nessuno lo sa, ma credo che sia saggio tenere basse le aspettative.
Le condizioni storiche non sembrano essere tali da consentire a nessun nuovo pontefice, quali che siano le sue eventuali preclare qualità, di invertire una tendenza stagnante. E il problema non è che “il papa non ha divisioni militari”, come disse Stalin a Jalta: le “leve spirituali” possono fare cose straordinarie. Ma le leve spirituali sono quella “forza debole” che funziona solo quando poggia su un fulcro spirituale interno alle persone. E oggi non scommetterei sulla diffusione di tale fulcro neppure tra chi abita le stanze dei palazzi vaticani…
Fonte articolo: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/30343-andrea-zhok-in-morte-di-bergoglio.html
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