Sembra che il precario ordine internazionale stia cominciando a stufarsi di Turchia ed Arabia Saudita, due agitatori inconcludenti
Improvvisamente, appaiono numerosi articoli internazionali che ipotizzano cambio di regime in Turchia e crisi ontologica dell’Arabia Saudita. Sembra che il precario ordine internazionale stia cominciando a stufarsi di questi due agitatori inconcludenti. L’insofferenza non è tanto verso gli agitatori, verso i quali se non si è avuta connivenza si è applicato il laissez faire, ma verso la loro inconcludenza. Avessero portato qualche vantaggio, sarebbero stati gli eroi della partita ma visto che la partita ora va diversamente, gli aspiranti eroi ora debbono esser sacrificati.
I turchi non sono un buon cliente per i progetti cinesi di Via della Seta che proprio sulla penisola dovrebbe avere il suo passaggio ferroviario strategico e non lo sono anche per l’utilizzo poco amichevole che fanno dei legami di parentela con gli uiguri ed alcune repubbliche centro asiatiche la cui stabilità è altrettanto strategica per le nuove vie commerciali dei cinesi (qui).
Ancormeno lo sono per i russi, non solo per le ben note contrapposizioni sulla Siria, ma per l’ancora non ben spiegabile voltafaccia strategico che ha mandato a monte contratti miliardari e passaggi di oleodotti già pianificati. Naturalmente non lo sono per gli iraniani con i quali alternano prudenti visite di amicizia e pressioni militari sul confine curdo-iracheno. Non lo sono ovviamente per i curdi i quali però hanno ultimamente ben due padrini, gli americani ed i russi. All’Unione europea hanno sottratto 3 + 3 miliardi col ricatto. In questi casi, realismo impone sottostare ma poi si scrive la partita sul taccuino che ha già altre note dolenti come l’utilizzo dei profughi, l’impresentabilità del regime, le astruse richieste imperative di esser accettati nell’UE, le pubbliche lezioncine su come si combatte il terrorismo (vedi Belgio) già poco gradite in sé ma ancormeno considerato il pulpito. Lezioncine non richieste che possono anche attivare qualche sospetto.
E’ di questi giorni la scoperta fatta dai curdi delle bolle di consegna del traffico petrolifero già noto, tra Isis e turchi (qui). Si sono adirati addirittura i giordani, solitamente low profile (qui). Assad, dall’alto delle riconquistate rovine di Palmira, ha ripreso voce e non fa sconti (qui) provocando “imbarazzo” a francesi e britannici. Gli americani sono seccati oltre che per le questioni coi curdi, per il tentativo di trascinare la NATO in operazioni improvvisate anti-russe che era forse il retro-pensiero che ha portato Erdogan a dare l’ordine di abbattimento del jet russo. Ecco allora che il Newsweek (qui) rilancia un articolo dell’American Enterprise Institute (commento in italiano, qui) che ipotizza lo sgretolamento del potere di un regime che internamente, comincia ad avere contro, oltre ai curdi, le élite laiche ed occidentaliste, una parte del sistema economico e forse l’esercito. Erdogan ha cambiato più volte le élite dell’esercito ma l’esercito in Turchia ha una storia particolare ed è molto dubbio che Erdogan sia riuscito a cambiarne la natura profonda. Qualche settimana fa sono uscite anche notizie di rifiuti aperti che gli alti vertici militari avrebbero opposto alla volontà del presidente di operare ulteriori provocazioni verso i russi. Queste tensioni si rinforzano vicendevolmente ed il neo-sultano sembra andare viepiù nel panico, e la pedina nel panico diventa un rischio da evitare. Il sacrificio di pedina s’impone visto che la partita non è quella che la pedina si era immaginata dal suo locale punto di vista.
Non migliore, anzi peggiore, comincia ad essere la situazione dell’Arabia Saudita. La politica del prezzo del greggio fa piacere solo ai cinesi ma non certo ai russi, iraniani, tutti i produttori OPEC ed anche l’intera economia mondiale. Ma in particolare dispiace agli americani, che vedono prossimo il fallimento in sequenza di molte compagnie di shale, con possibili effetti sistemici sulla borsa e ritorno alla dipendenza dalle esportazioni, il che sbilancerebbe tutta la geopolitica USA. Non a caso, Trump, dopo aver minacciato -se eletto- di render pubbliche le famose 28 pagine secretate nel Rapporto 11/9 del Congresso americano (che pare indichino il ruolo dei servizi segreti sauditi nell’operazione) ed essersi preso pubblicamente a male parole con un principino saudita, nell’ultima intervista al NYT ha dichiarato che gli USA non compreranno più petrolio saudita (e ritireranno la copertura militare) fintanto che i sauditi non mostrino di impegnarsi seriamente a combattere per proprio conto l’Isis. Grande sdegno sta provocando negli USA il filmato Saudi Arabia Uncovered –qui– (che abbiamo postato alla fine del nostro recente articolo, qui) ed i sauditi rinforzano le attività di lobbying sulla stampa americana per ammorbidire le critiche (qui).
Intanto, Standard & Poors ha downgradato i CDS sauditi, prima da AA- ad A+ (Giappone), poi dopo appena quattro mesi da A+ ad A- (Malesia), tre livelli sopra la spazzatura. I sauditi hanno dovuto rivedere la propria generosa politica di welfare e di tassazione interna per far fronte al crollo delle entrate derivate dal dumping forzoso del prezzo del greggio ed il loro deficit viaggia al 15% del Pil. Intanto continuano a sparire principi sauditi appena un po’ meno allineati al delirio della casa regnante (qui e qui). Forse anche i pakistani, dopo esser stati coinvolti a loro insaputa nella cosiddetta NATO arabica promossa da Ryiad, progetto a cui invero non hanno aderito, e dopo esser stati coinvolti nella delicata faccenda della ipotetica fornitura di armi atomiche che, nota da tempo a pochi, ora sta diventando questione nota ai più e tutt’altro che rassicurante per i delicati equilibri atomici planetari, si sono seccati per l’attentato di Lahore (qui).
Così gli indiani i cui equilibri di convivenza tra la minoranza musulmana e la maggioranza indu, sono stati scossi da recenti operazioni terroristiche (qui). Anche Hollande non deve aver gradito la richiesta esplicita di farsi dare la Legion straniera ma sopratutto il fatto che, tenuta segreta dall’Eliseo, è stata invece pubblicizzata dall’agenzia di stampa saudita (qui). Ecco allora che ci si comincia a preparare il campo della crisi ontologica di questo gruppo di beduini scalmanati, “unfit” per la complessità del mondo nuovo (qui), si comincia a parlare apertamente di collasso saudita e si lanciano messaggi ai sauditi sul fatto che debbono farsene una ragione degli accordi tra americani ed iraniani (qui). Altrimenti, anche la pedina con il ghutra a scacchetti bianchi e rossi, potrebbe saltare.
Insomma, l’operazione Siria è andata, non ha funzionato, si sbaracca l’impianto e ci si avvia ad un qualche accordo spartitorio che non incontra i favori di Ryiad. Del terrorismo saudita-wahhabita, i più e le loro opinioni pubbliche, si sono stancati. Della disinvoltura ricattatoria saudita ancora di più, stante che il gerontocomio degli al Saud ha messo troppi obiettivi contemporaneamente in target, una strategia irrealistica e presuntuosa, geopoliticamente insostenibile. Così, della disinvolta intraprendenza di Erdogan.
Destino delle pedine è l’esser sacrificate poiché le pedine leggono solo lo scontro intorno alle loro 8 caselle mentre la scacchiera, di caselle, ne ha 64.
Fonte: http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/6955-pierluigi-fagan-il-triste-destino-della-pedina-che-si-credeva-re.html