Il razzismo, gli italiani e la Sinistra (?)

Il non stupefacente sondaggio recente che mostra come gli italiani siano i più razzisti d’Europa ha riaperto un dibattito lunghissimo sulla natura presuntamente “razzista” del nostro popolo. Dibattito che si intreccia con quello sulla natura “fascista” degli italiani, ovviamente correlando il fascismo con un substrato culturale razzista (il che in realtà, per il fascismo italiano delle origini, cioè prima dell’emanazione delle leggi razziali, fortemente indotta dalla Germania, non è vero. Il razzismo alla “faccetta nera” nei confronti delle popolazioni africane era un elemento comune a tutti i Paesi europei colonizzatori dell’epoca, persino quelli a democrazia liberale, ne costituiva la giustificazione ideologica, ed il fascismo delle origini non aveva una base eugenetica, a differenza del nazionalsocialismo).

Personalmente non credo ad una natura intimamente razzista o fascista degli italiani, che li differenzierebbe dagli altri popoli. Le ricostruzioni in merito (ad es. si veda il “Processo a Mussolini” di Pavolini, che addirittura chiama in causa Dante e Machiavelli per cercare di dimostrare una vena criptofascista nella cultura italiana) non sono convincenti, non sono contestualizzate, e sembrano perlopiù molto faziose. Il razzismo, inteso come paura ed odio del diverso, è un elemento presente nelle strutture difensive dell’Io di ogni uomo. Assurge ad elemento socialmente rilevante quando le condizioni materiali e di classe della società lo consentono.

 

Così come la nascita del fascismo in Italia fu causata principalmente da un elemento materiale, ovvero il basso livello di sviluppo della borghesia nazionale in un Paese in cui la rivoluzione industriale non si era manifestata, in condizioni di un’economia ancora prevalentemente agraria dove la classe dei piccoli proprietari agricoli era ancora molto forte, un elemento cioè di sottosviluppo economico e sociale che non consentì alle classi dirigenti del Paese di veicolare dentro meccanismi democratici le contraddizoni di classe che si palesavano con la fortissima crescita dei movimenti socialisti, comunisti ed anarchici del nascente proletariato, così anche il razzismo italiano del dopoguerra (iniziato con il razzismo del Nord nei confronti degli immigrati meridionali nella fase del boom industriale, e poi deviato progressivamente verso gli zingari, poi verso gli stranieri in generale) deriva da condizioni sociali e materiali: la natura caotica del boom industriale in un Paese che non aveva ancora cementato completamente un sentimento nazionale, l’esigenza del padronato di sfruttare e “sradicare” le nuove leve di manodopera industriale dalle radici contadine e meridionali, per integrarle dentro la nuova società industriale e metropolitana (che poi assunse anche toni grotteschi, si pensi al personaggio che ha reso famoso l’attore Abatantuono, ovvero l’immigrato meridionale che cerca disperatamente di integrarsi dentro la cultura popolare milanese). E poi, con i primi e crescenti segnali di declino economico e sociale del Paese nei primi anni Novanta, quando la fase espansiva era finita, il razzismo nei confronti del meridionale, ma anche del “negher”, scaturì da una serie di conflitti interni non risolvibili: fu una risposta alle paure crescenti della piccola borghesia settentrionale, di fronte alla progressiva perdita di competitività industriale, che in prospettiva ne minava il tenore di vita (per cui assunse la forma leghista della devoluzione, che altro non era che un tentativo di evitare la redistribuzione delle risorse dalle regioni più dinamiche a quelle più arretrate del Mezzogiorno nell’illusione di preservare il tenore di vita delle classi piccolo-borghesi del Nord, di fronte al restringimento della torta), fu la risposta di una destra corporativa e demagogica, ed incapace di modernizzarsi in direzione dei modelli liberali delle destre europee, per reclutare un sottoproletariato urbano privo di formazione politico-culturale, ed abbandonato da una sinistra sempre meno “pasoliniana” e popolare, e sempre più radicalchic ed imborghesita, per cui intere borgate popolari di grandi città come Roma, che nei romanzi di Pasolini erano borgate “rosse”, divennero, abbandonate a sè stesse da una sinistra salottiera e bancaria, borgate fasciste.

Ed a loro volta, questi spostamenti della destra e della sinistra italiana corrispondevano a conflitti interni alla borghesia, fra una componente meno dinamica e meno competitiva, legata alla protezione statale ed a un capitalismo relazionale, più propensa a farsi rappresentare da una destra corporativa, che spegnesse il conflitto sociale indirizzandolo verso un nuovo capro espiatorio (il “negher” o il Rom delle periferie popolari) in cambio dell’accettazione di una leadership paternalistica e poco democratica, e la componente più dinamica della grande industria, del mondo bancario, della media impresa altamente internazionalizzata, che preferiva farsi rappresentare da una “sinistra” social-liberista, pienamente inserita nei processi di globalizzazione ed eurizzazione, e che vedeva il berlusconismo/leghismo come un residuo medievale da superare. Per finire, con la crisi economica esplosa nel 2008, il razzismo è diventato la valvola di sfogo delle tensioni popolari derivanti dal grave impoverimento e dalla crescente sperequazione distributiva, evitando così che tali tensioni si rivolgessero contro le classi dirigenti responsabili del disastro economico e sociale del Paese. Senza parlare degli episodi sanguinosi nel Mezzogiorno, come quello di Rosarno, legati alla presenza persistente di poteri mafiosi che controllano le produzioni agricole ed il relativo caporalato di manodopera immigrata a bassissimo costo ed altissima produttività, indispensabile per un sistema agricolo incapace di innovazione, di ricomposizione fondiaria e cooperativismo, e di tutela della sua immagine di tipicità e qualità, che quindi deve competere con i concorrenti nordafricani, spagnoli e greci, sui costi di produzione.

Lo stesso antirazzismo sbandierato da pezzi dell’establishment economico e politico, per contrastare questo fenomeno, è sintomatico dello stesso, persistente, conflitto interno fra una borghesia arretrata ed una più dinamica e globalizzata analizzato sopra. L’antirazzismo è, ai loro occhi, non una battaglia nobile, ma soltanto la foglia di fico necessaria per dotarsi di lavoratori extracomunitari a basso costo, disposti anche a lavorare con poche o punte tutele, che facilitano anche le riduzioni di tutele e salari per i lavoratori italiani. Oltre che il riflesso ,stavolta giustificabile, di una preoccupazione demografica di fronte al pericoloso invecchiamento della popolazione italiana, che ne rappresenta, in prospettiva, la principale minaccia di tenuta della coesione sociale, allorquando il peso degli inattivi, crescenti, su un numero minore di attivi, diverrà in futuro insostenibile, attivando un prevedibile e distruttivo conflitto generazionale.

Ancora una volta, in tutto questo, manca la sinistra, ovvero manca un modello non competitivo ma cooperativo e inclusivo di accoglienza ed integrazione di quegli immigrati che sono così preziosi per noi, per il nostro futuro. Che sappia però anche affrontare in modo non ideologico e pragmatico la questione, sapendo cioè che non è nemmeno possibile l’accoglienza illimitata e senza vincoli, perché è insostenibile culturalmente e socialmente da un Paese alimentato per vent’anni e più a pane e leghismo (la sostenibilità economica, invece, è solo una cazzata utilizzata da Salvini, non c’è, perlomeno per il momento e l’immediato futuro, un problema di insostenibilità economica e finanziaria dell’accoglienza, anzi è il contrario. Basterebbe guardare i dati anziché dire stronzate in libertà). Che quindi sappia fare politica estera e di cooperazione internazionale per regolare i flussi (che si regolano con l’assistenza tecnica allo sviluppo ed alla riconversione agricola e democratica dei Paesi di origine dei migranti, non certo con le motovedette della Guardia Costiera) e che sappia anche fare le dovute politiche di sicurezza ed ordine pubblico per tranquillizzare i cittadini. E che sappia fare accoglienza con la A maiuscola, nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Ecco cosa servirebbe. Gran parte dei movimenti elettorali del futuro si baserà su questa sfida.

3 commenti per “Il razzismo, gli italiani e la Sinistra (?)

  1. antonio
    20 Luglio 2015 at 22:08

    Ottima riflessione e struttura razionale e non ideologica. Anch’io sono convinto che la questione “razziale” abbia oggi (ma credo l’abbia avuta anche ieri) un significato diverso dalla questione più specifica della “natura bio-politica” dell’essere umano Piuttosto sono convinto della questione materiale o, se vogliamo, della discesa di livello socio-economico-consumistico che un’immiserimento di entrate economiche comporta. Credo piùnella “xenofobia”, cioè nella paura e timore che persone di altre culture, sesso, o paese possano “competere” negativizzando o rendendo ancora più rapida la “discesa sociale” nei gradini della società alla quale si crede di appartenere oppure nella quale si intende sviluppare una “scalata sociale” con risvolti economici di benessere e privilegio ltrimenti negato o reso complicato dalla presenza di “altri” che potebbero limitare, se non addirittura impedire, tale “scalata”. Se si osservano meglio le vicende; che oggi ha interessato un’immobile (tralaltro dismesso da tempo senza che nessuno dei residenti abbia pensato da un suo riutilizzo, magari di uso sociale e cioè per i reidenti di quell’area), oppure il “dono spontaneo” di ieri in quel di Treviso, da parte di una borghese “illuminata”, di una palazzina da usare per dare ospitalità a persone in situazioni di disagio o profughi da paese “maledetti”ecc.. , cioè se osserviamo meglio questi episodi e le dichiarazioni di alcuni dei residenti: “non siamo razzsti e bla, bla, bla” (a parte, poi non tanto, la presenza di squadristi nazi-fascisti-leghisti coi loro caporioni), troviamo quindi una spiegazione non tanto “razzista” pittosto di “classe”! Cioè questa gente “odia” chi sostiene diritti di uguaglianza e giustizia sociale, difatto contraria ai privilegi di una “classe”, borghese o piccolo borghese che oggi si trova in “bilico” tra un precipizio verso una classe e ceto sociale condìsiderato inferiore e quindi povero, di fronte invece alle loro aspettative di “crescita sociale e quindi privilegiata”! E’ in queste situazioni e analisi di “classe” che ebbe origine il fascismo e per altro verso anche il nazismo! Il corollario “razziale”, aggiunto in seguito, non ha fatto altro che rendere più esplicita, evidente e “violenta” una natura che aveva già scavato nel profondo delle “coscienze” e delle “pance” delle popolazioni interessate, a loro volta uscite da disastri sociali a causa di guerre, forse non volute, ma ugualmente disastrose, delle quali e nelle quali sono state inconsapevolmente complici, meschini e unicamente “vittime”!! Chiedo scusa per la “pippa” ideologica ma non mi sono venuti argomenti migliori; spero nella vostra benevolenza e che mi possiate rispondere e, nel caso, corregere gli errori fatti. Good nigth and good luck!

    • antonio Filardi
      21 Luglio 2015 at 12:49

      Il razzismo non esiste. Fra gli uomini esistono solo problemi di natura economica. In passato, le differenze razziali sono si state utilizzate come scusa in più per meglio mantenere schiave le persone ma oggi la realtà è ben diversa. Non posso stare qui a ripetermi con un discorso troppo lungo. Se ti va ti fai un giro sulla mia bacheca fra i miei post a riguardo e ti verrà tutto spiegato. I veri razzisti inconsapevoli sono oggi i nuovi borghesi illuminati, convinti pure di essere buoni. Sono in realtà i nuovi negrieri e no lo sanno. Il campo di battaglia ha leggi proprie. A volte dolorose ma necessarie…Essere buoni è più facile del’essere giusti. Se si è giusti si è anche buoni, possiamo essere buoni senza accorgerci che stiamo consumando una cattiveria…La vita sociale è una guerra permanente. Tutte le guerre comportano scelta molto dolorose al primo impatto ma più giuste nell’interesse di tutti…

  2. Alessandro
    21 Luglio 2015 at 13:07

    Ottima analisi. Per quanto posso capirne, direi che raccogliamo oggi, in una fase di crisi economica e di continui flussi migratori, quanto si è seminato a livello “culturale-ideologico” negli ultimi 20 anni. Giustamente nell’articolo si fa riferimento spesso al partito della Lega nord che ha avuto e ha tuttora un ruolo determinante nella risposta razzista ai fenomeni di cui sopra. Il nostro è stato un Paese che ha “sdoganato” di tutto dopo la caduta della prima repubblica. Non ci si scandalizzava della bandiera nazionale utilizzata per pulirsi il deretano, di politici che andavano sui treni degli immigrati per “disinfettarli”, l’utilizzo da destra dei rom come capri espiatori per spuntarla nelle elezioni politiche come nel 2008 e così via. Insomma, non siamo stati in grado di porre dei limiti a queste vergognose manifestazioni effettuate non da persone comuni ma addirittura da membri del parlamento.
    E se da destra si è dato libero sfogo a tutto il peggiore repertorio di quell’area politica, condito da quell’ipocrisia che vuole gli immigrati demonizzati per poi servirsene come manovalanza a basso costo, da sinistra non si è andati oltre una retorica buonista del fenomeno immigrazione, assolutamente incapace di farsi narrazione credibile agli occhi di quei ceti popolari italiani che realmente entrano in contatto con il fenomeno. Per questo condivido in toto l’osservazione sulla totale latitanza “ideologico-culturale” della sinistra italiana anche su questo specifico tema.
    Di conseguenza, se noi siamo forse oggi uno dei paesi più razzisti a livello europeo, lo dobbiamo anche, se non principalmente, alla nostra classe dirigente degli ultimi vent’anni, mediamente forse la peggiore a livello europeo, dal momento che l’individuo comune assorbe tantissimo di ciò che gli viene comunicato dalle alte sfere,

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