A livello mondiale finanziano il Gay Pride la Goldman Sachs, George Soros, JPMorgan, la Rockefeller Foundation, ma anche gruppi come Kodak, Hewlett-Packard, American Airlines, American Express, Apple, AT&T, BP, Chevron, Citigroup, Credit Suisse First Boston, Daimler Chrysler, Dell, Deutsche Bank, Ernst & Young, Estee Lauder, Intel, Ibm, J.P. Morgan Chase & Co, Johnson & Johnson, Levi Strauss & Co, Merril Lynch, MetLife, Microsoft, Nike, Netflix, Pepsi, Toyota, Ubs, Xerox e, soprattutto, Motorola, oltre alla Fondazione Playboy.
Il Gay Pride è quindi appoggiato economicamente da moltissimi finanziatori delle organizzazioni omosessuali, finanziamenti a “fondo perduto”, ma dietro i quali ci sono case editrici, l’industria del sesso, club a tema, gadget, cinematografia, l’industria del turismo e… i Gay Pride, manifestazioni che mal si conciliano con la legittima richiesta, da parte dei cittadini omosessuali, di non subire discriminazioni, ma sfugge il nesso fra l’ostentazione della propria sessualità e la richiesta di non essere trattati come “diversi”. “Carnevalizzazione” del sesso, per far sfilare esibizionisti, curiosi omofobi, politici opportunisti*.
Il gay pride non incoraggia alcuna forma di rispetto ma ne è, con la sua ridicolaggine, la negazione. La libertà d’espressione è una cosa seria, che va oltre qualche piuma di struzzo e culi in mostra. Così non si sovverte, ma ci si adegua alla società consumistica dello spettacolo.
*non c’è politico politically correct che non abbia fatto mancare la sua presenza
Fonte foto: fattisentire.org (da Google)