Nel periodo d’età che che va dai 27 ai 31 anni, ho trascorso molto più tempo a leggere i libri di quest’uomo che a cercare di rimorchiare le ragazze. Ho anche frequentato casa sua e fatto riunioni politiche con lui.
Per certi aspetti, penso ancora ne sia valsa la pena: ovvero per tutta una serie di ragioni strettamente legate alla mia formazione intellettuale e alla mia preparazione disciplinare.
Da altri punti di vista, invece, ripensando a quelle migliaia di pagine lette, provo un certo imbarazzo.
Oggi io posso pure aver cambiato idea su alcune cose, ma qui abbiamo di fronte un “operaista” che afferma, oggi, di desiderare il governo della troika in Italia, che fa le stesse affermazioni che sentiamo quotidianamente dai dirigenti di Confindustria o dagli a.d. dei grandi gruppi bancari.
Affermazioni come questa: “Mi fa schifo votare questo sistema di partiti. Spero che un Gentiloni o un Padoan di turno prendano in mano il Governo”.
In chiusura di questa allettante prospettiva, il Nostro vaticina l’avvento di nuovi movimenti di massa come il “no-global” del 2001 e lo “Occupy” del 2010: soggetto, quello del movimento di massa, che oggi come sempre svolge per lui la funzione prometeica di indicare la via all’umanità intera e che, sempre secondo lui, rappresenta l’Alfa e l’Omega del senso della politica e della soggettività storica.
Va notata la premessa al discorso su Gentiloni e Padoan: i partiti fanno schifo. Dunque, sì ai movimenti, no ai partiti e comunque, dovendo scegliere, meglio le èlite economico-finanziarie degli odiati partiti.
Ecco: improvvisamente, dinanzi a queste parole, anche la produzione teorica e le istanze politiche di Autonomia Operaia assumono un differente e più inquietante significato.
In fondo, noi autonomi (il noi è da parte mia un dato oggettivato da anni e anni di militanza attiva) siamo sempre stati contro la mediazione: la rappresentanza parlamentare, la rappresentanza sindacale e così via. Tutte queste cose, dicevamo, imbrigliavano e sottomettevano le spinte proprie di autovalorizzazione e autorganizzazione della classe lavoratrice.
Curiosamente, però, i neoliberisti hanno cominciato – anche loro dalla fine degli anni ’70 – a orientare i loro colpi verso il medesimo bersaglio: il potere dei partiti (oggi drasticamente ridotto dopo le riforme volte al bipolarismo, l’abolizione del finanziamento pubblico, eccetera), il potere dei sindacati (con la crisi di questi ultimi che non ha prodotto nuove forme di rappresentanza del lavoro, bensì l’estinzione di quest’ultima).
Anche la Costituzione era, per noi extraparlamentari, un elemento di mediazione fra società e Stato che comprimeva la libera espressione del sociale e così, anche su questo punto, abbiamo anticipato il trentennale attacco al parlamentarismo e al costiuzionalismo che i sostenitori delle “riforme” neoliberiste stanno ancor oggi e indefessamente portando avanti.
Quello che proprio ci sfuggiva, è che la storia della lotta di classe è sempre proceduta per accumulazione progressiva di risultati, mai a partire da una tabula rasa. E proprio non capivamo che quel poco di reale “potere operaio” che la Repubblica italiana era riuscita a materializzare, risiedeva esattamente nella rappresentanza di massa garantita dai partiti di sinistra e dai sindacati. Abolendo questi organismi di mediazione, il risultato non poteva che essere – e difatti è stato – la cancellazione di qualsiasi forma di potere politico detenuto dalla classe lavoratrice, la distruzione del welfare state, la proletarizzazione del ceto medio.
Parimenti, l’attacco alla Costituzione italiana si è rivelato essere un aspetto del più generale attacco al costituzionalismo messo in atto dall’Unione Europea in tutti i paesi membri (seppure con gradazioni d’intensità molto differenti da paese a paese).
All’autore di “Il dominio e il sabotaggio”, però, tutto questo non tange. Anzi, per lui la crisi totale della mediazione fra lavoratori e Stato costituisce una vittoria: il posto degli organismi di massa che fungevano da mediatori, infatti, secondo lui verrà preso dai Movimenti, faro messianico dell’avvenire.
L’anno scorso, ricorreva il quarantennale del Movimento del ’77 e non si può dire vi sia stata molta celebrazione storica. Bene, sarebbe invece il caso di ripercorrere con occhi nuovi quella fase. Ovvero senza cedere alle letture formalistico-legalitarie che ne guardano soltanto gli aspetti militari e senza, neanche, il trionfalismo dei post-operaisti.
Pur all’interno di una serie di analisi che erano molto più avanzate di quelle della sinistra storica (la capacità di leggere gli affluenti fenomeni della terziarizzazione, del postfordismo, della precarietà, furono prerogativa molto più di Autonomia Operaia che del PCI), di fatto la sinistra extraparlamentare determinò una mutazione dell’istanza comunista in istanza liberale e, in qualche caso, in istanza pienamente liberista. La guerra agli strumenti della mediazione sociale, del resto, alla luce dei risultati ottenuti non può essere definita in altro modo.
E dunque, alla luce di tutto questo, il fatto che oggi Toni Negri preferisca il comando brutale e post-democratico delle èlite economiche alla mediazione dei partiti, risulta in qualche maniera coerente.
https://www.vanityfair.it/news/politica/2018/01/29/toni-negri-merkel-elezioni