L’8 marzo è diventata una delle ricorrenze ovviamente care alla sinistra asteriscata, che attinge a piene mani alla retorica del politicamente corretto ed è capitalista nell’essenza, avendo completamente interiorizzato i precetti e i dogmi del libero mercato e dell’ideologia mercatista “no borders”, impegnandosi con zelo a cambiare le vocali e nient’altro. Naturalmente l’8 marzo era alle origini un’altra cosa, una festa socialista e di lotta nata sul terreno della questione operaia.
Chico Mendes disse che “l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”.
Allo stesso modo penso si possa dire che il femminismo senza lotta di classe è al massimo galanteria (quando non assume la forma di un generico revanscismo verso il maschio del tutto a-storico e fine a se stesso) . Basta saperlo. La galanteria è cosa molto diversa dai diritti e la sua pratica non richiede certamente alcuna lotta. Oltretutto varrebbe la pena osservare che la galanteria rientra in uno schema tradizionale dei rapporti tra sessi. Non dubito che possa essere comunque gradita, ma bisogna sapere dove sta. Non ha nulla a che vedere né con l’emancipazione, né con i diritti, né con la lotta.
Il gioco dell’illusione neoliberale, mercatista e globalista consiste nel traslare tutti i problemi tendenzialmente soltanto sul piano culturale. Anche quando si riconosce una dimensione economica del problema (per esempio lo squilibrio delle retribuzioni o la maggior difficoltà per le donne di raggiungere posizioni di vertice in alcune carriere), si suggerisce comunque che il primato vada assegnato agli aspetti culturali: deve cambiare la mentalità e anche il progresso sociale seguirà. Ovviamente a cambiare mentalità devono essere i lavoratori stessi, i subalterni, che subiscono il modello iper-competitivo neoliberale, è a loro che si rivolge la retorica edificante del cambiamento, non alle élite, che del resto già predicano a tutto campo il verbo progressista e le belle parole delle pari opportunità, credute dalle anime belle della sinistra asteriscata, che non si sognano nemmeno di chiedere che a cambiare siano proprio i rapporti di forza e di potere.
Ovviamente in tutto questo va benissimo anche l’ostentazione “trasgressiva” della diversità, anzi è molto televisiva, e un elemento fondamentale della strategia di conservazione dell’esistente. La sinistra asteriscata, puntualmente, applaude. L’ambientalismo-giardinaggio e il femminismo-galanteria sottolineano, allora, l’importanza degli atteggiamenti individuali, dal non buttare la carta per terra, al fare la raccolta differenziata, al “trattare bene le donne”. Sono tutti discorsi edificanti. Gli stilemi di queste sfere discorsive sono sempre gli stessi e sono quelli del Capitalismo “progressista”: dipende da ciascuno di noi, c’è ancora strada da fare ecc. Di fatto si predicano belle parole ma si incoraggiano l’individualismo, le presunte virtù della “resilienza”, l’interiorizzazione del modello dominante. Passano in secondo piano gli aspetti economici, le condizioni di vita materiale, l’indicazione delle causa profonde delle nuove povertà, l’intreccio tra diverse forme di diseguaglianza e tra le diverse lotte. Dobbiamo, invece, mettere al centro queste ultime. Il femminismo senza la lotta di classe è per bene che vada galanteria.
Rileggiamo al riguardo Anna Kuliscioff, femminista (per davvero), rivoluzionaria e socialista., in un’ottica adatta al tempo che viviamo:
«Signore e Signori, voglio anzitutto confessarvi che, pensando intorno alla inferiorità della condizione sociale della donna, una domanda mi si affacciò alla mente, che mi tenne per un momento perplessa e indecisa. Come mai – mi dissi – isolare la questione della donna da tanti altri problemi sociali, che hanno tutti origine dall’ingiustizia, che hanno tutti per base il privilegio d’un sesso o d’una classe?»
(da “Il monopolio dell’uomo”).
Fonte foto: da Google