Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Questo articolo avrebbe previsto una immagine molto più esplicita ma in tal caso saremmo inevitabilmente incappati nella censura neo puritana, femminista e politicamente corretta di cui anche FB (il nostro giornale ha una pagina su quel social) è ovviamente pervaso.
Ciò detto, condivido solo in parte questo articolo della nostra neo collaboratrice, Rossella Tranchida. Se è giusto, infatti, criticare l’atteggiamento ipocrita, neo-conservatore e neo bacchettone del femminismo nei confronti della pornografia, sono altresì convinto che se la sessualità fosse realmente libera – cosa che oggi non è affatto dal momento che è sottoposta alle logiche dell’ideologia capitalista – la pornografia non esisterebbe per la semplice ragione che non avrebbe ragione di esistere.
Argomento complesso ma di grande interesse che affronterò in un prossimo articolo o video.
(Fabrizio Marchi)
L’onnipresente e di fatto egemone vulgata femminista odierna, esercitata in primis attraverso un bombardamento mediatico senza precedenti, ha fatto tornare in auge il vecchio tentativo di moralizzare la sessualità attaccando ancora una volta, come accade ciclicamente a seconda del contesto storico e sociale del momento, uno dei fenomeni più influenti nella società contemporanea inerenti questo argomento: la pornografia.
La rappresentazione di immagini erotiche e sessuali, anche esplicite, ha origini antichissime (si pensi agli innumerevoli esempi di pittura e scultura che sono arrivati fino a noi in pratica da ogni civiltà del passato) e da allora non ha mai smesso di esistere e diffondersi liberamente attraverso varie forme. Il 1857 è l’anno in cui viene criminalizzata in termini legislativi per la prima volta, siamo nel Regno Unito, e la legge prese il nome di “Obscene Publications Act”. Alla fine dello stesso secolo vengono fatte risalire le prime pellicole pornografiche, brevi filmati per lo più rappresentanti scene di striptease e nudità parziale, ma anche scene esplicite che comprendevano ogni tipo di perversione e parafilia esistente, diffusi principalmente attraverso circuiti clandestini. Dai primi del ‘900 si assiste ad una escalation in cui il materiale pornografico, nelle sue varie forme, acquisisce una dimensione sempre più esplicita e popolare e dagli anni ’50 anche le grandi masse riescono finalmente ad usufruire di questo materiale grazie alla nascita ed alla commercializzazione di riviste come Playboy, Penthouse e più avanti, negli anni ’70, anche della più spinta Hustler (per citare le più famose), oltre che di una sempre maggiore quantità di pellicole videocinematografiche diffuse attraverso cinema a tema o VHS.
Il ritorno di un certo libertinismo sessuale, tipico dei tempi della cosiddetta “rivoluzione sessuale”, che era ormai un fenomeno di costume, rende più semplice affrontare il tema della pornografia alla luce del sole e senza imbarazzi di sorta.
Sin da subito il movimento femminista si schiera contro quello che definisce essere la massima espressione di svilimento e oggettificazione della donna, creata ad uso e consumo esclusivo dell’uomo. Anche molte pornostar degli anni ’70 e ’80 (una su tutte Linda Lovelace del celeberrimo “Gola profonda”), influenzate da questa visione, finiscono per rinnegare il passato facendosi promotrici di campagne antiporno, principalmente rivolte all’Hardcore e a tutte quelle nicchie di porno BDSM (che stando alle statistiche sulle preferenze sessuali della gente reale tanto nicchie non sono mai state).
Tante altre attrici, la maggior parte in realtà, rivendicano invece un ruolo di partecipazione attiva, consciente e divertita al proprio lavoro, fornendo una lettura meno ideologica del fenomeno e smontando anche il pregiudizio per cui i giochi di sottomissione/dominazione tipici del BDSM avvengano sempre a scapito della figura femminile. È innegabile d’altronde che nell’immaginario comune sia di gran lunga più famosa la figura della Dominatrice, o Mistress, rispetto al suo omologo maschile.
Il femminismo odierno, in diretta connessione con le istanze di quello passato, torna ad attaccare la pornografia nel tentativo, in primo luogo, di moralizzarla rivelandosi una sorta di nuova dottrina religiosa, in secondo luogo, di influenzarne (quando non di sostituirne del tutto) i contenuti, rendendola, dal suo punto di vista, più attenta alle esigenze delle donne e più inclusiva riguardo i canoni estetici proposti, all’insegna del Body Positive e del Politically Correct insomma.
Analizzando quest’ultimo aspetto verrebbe da chiedersi: ma queste rappresentanti del femminismo conoscono veramente in maniera approfondita il mondo del porno? A sentire le loro istanze sembrerebbe proprio di no, anzi, pare che invece abbiano una visione alquanto datata e superficiale del fenomeno in questione.
Al di là del fatto che, come ogni fenomeno mediatico, anche la pornografia ha subìto inevitabilmente nel corso degli anni un’influenza dettata dal senso estetico e dalle mode del momento (brutalizzando: pelo si-pelo no, siliconate si-siliconate no, e via dicendo), ognuno di questi immaginari non ha mai realmente preteso di sostituire o imporsi sugli altri, ma ha al contrario ampliato, in maniera a mio avviso del tutto democratica, il materiale in cui è possibile imbattersi.
A riconferma della veridicità di quanto esposto fin qui, sfido chiunque ad aprire un sito porno qualsiasi e a rendersi conto di quanto sia uno dei contesti più inclusivi dell’intero mondo dell’intrattenimento.
Volendo sferrare un attacco alla pornografia sulla base delle cosiddette “categorie” più sputtanate, è necessario considerare che queste ultime sono una semplice vetrina, giacché, sembra inutile dirlo ma non lo è, attingono dagli stereotipi più diffusi nell’immaginario sessuale di tutti, in primis quello femminile. Ad uno sguardo più approfondito si può solo constatare che il porno è un enorme “negozio” dove chiunque può entrare, rovistare (oltre che produrre e caricare materiale, ormai) e trovare di tutto, proprio perché la sessualità tutta, in ogni sua declinazione, dalla più canonica alla più perversa, ha un suo spazio e un suo pubblico.
L’aspirazione del cosiddetto porno femminista, portato avanti anche da alcune lavoratrici del settore (camgirls, attrici e registe) si riduce a prediligere stereotipi estetici e comportamentali decisamente più escludenti di quelli rappresentati dalla pornografia cosiddetta “maschilista”. Le attrici sono quasi sempre donne in sovrappeso, spesso lesbiche o comunque bisessuali (in linea con l’attitudine queer e gender fluid), più o meno avanti con l’età e che non cedono quasi mai ad una sessualità più istintiva e animalesca, bollata come troppo mascolina e quindi tossica. L’immaginario erotico è paragonabile a quello di una serie TV un po’ più spinta del previsto o al massimo a quello soft BDSM, sulle orme di “50 sfumature di grigio”. Beninteso, nulla di male in tutto ciò, se non fosse che questi scenari esistono e vengono rappresentati da sempre.
Per come la vedo io questa battaglia per l’affermazione del porno femminista è una banale lotta di retroguardia e bisognerebbe invece ammettere che la produzione pornografica che tanto criticano, in termini di inclusione è molto più avanti di loro, da un bel pezzo tra l’altro.
Tutto ciò non mi stupisce, e il perché è presto detto.
Nella maggior parte dei casi queste novelle “militanti” femministe di politica non si sono mai né interessate né occupate, si ritrovano coinvolte in discorsi del genere (o forse sarebbe meglio dire DI genere) solo perchè eterodirette dai media, mutuando da questi un approccio semplicistico e salottiero. Proprio perché la sessualità è connaturata all’essere umano, e come tutti i fenomeni umani è estremamente complessa, credo che analizzare i processi legati ad essa mediante semplificazioni e generalizzazioni non può che produrre un effetto deleterio.
Posto che i temi inerenti la sessualità dovrebbero essere trattati tenendo sempre conto di queste ultime osservazioni, a mio avviso se proprio volessimo aprire un dibattito realmente critico rispetto alla pornografia occorre partire da questa considerazione:
la pornografia odierna è innegabilmente un fenomeno di stampo capitalistico e si colloca all’interno di questo sistema economico come un prodotto d’intrattenimento tra tanti, rispondendo in quanto tale alle logiche commerciali di domanda e offerta. Un dibattito proficuo dovrebbe eventualmente metterlo in discussione in quanto fenomeno assoggettato alle logiche del profitto, in maniera assolutamente non dissimile da tutti gli altri settori produttivi, da quello delle piattaforme a pagamento per serie tv a quello degli smartphone, da quello dell’acqua in bottiglia a quello dei capi di abbigliamento, poiché rispondono alle stesse dinamiche. Non mi pare che il femminismo metta in discussione nel merito nessuno di questi settori, al massimo si limita a dire di volerne modificarne la forma senza mai intaccarne la sostanza.
Il motivo per cui queste considerazioni purtroppo non potranno mai avere spazio, in questi termini, nella critica posta dal femminismo è semplice: quest’ultimo non ha gli strumenti ideologici, a mio avviso, per analizzare la questione in chiave anticapitalista ma, se anche li avesse, non avrebbe l’interesse ad utilizzarli in tal senso, perché il femminismo è un fenomeno che si nutre e al contempo nutre esso stesso il sistema capitalistico e non può quindi metterlo in discussione.
In conclusione, sarebbe bello se la pornografia si sganciasse dalla logica della compravendita e si ponesse al di fuori delle dinamiche di scambio volto al profitto, di sicuro contribuirebbe alla costruzione di una percezione più libera della sessualità, scevra realmente da stereotipi di genere e sovrastrutture ideologiche deleterie, ma così ancora non è. Dunque? Smettiamo di guardarla? Dovremmo allora in sostanza smettere di vivere, perchè purtroppo ogni aspetto delle nostre vite è pervaso dal capitalismo.