Prima di iniziare metto chiaramente le carte in tavola: non ho alcuna intenzione di affermare che l’evoluzione in quanto FATTO STORICO non sia avvenuta. L’evidenza del succedersi delle specie nel corso del tempo è schiacciante (non ci sono dinosauri in giro) da non valere la pena di tornarci su. Da ciò ogni accusa di anti-evoluzionismo dovrebbe essere definitivamente fuori questione. Ciò che mi vede critico (e con me una larga e crescente parte della comunità scientifica internazionale, vedi ad esempio Noble, D. (2015). Evolution beyond neo-Darwinism: a new conceptual framework. Journal of Experimental Biology, 218(1), 7-13 ) è la spiegazione fornita da Darwin (e mummificata in una sorte di mitologia scientifica da un secolo circa di neo-darwinismo) sul COME tale processo possa essere avvenuto (visto poi che il COME è il campo di elezione della scienza).
Ma andiamo con ordine: in estrema sintesi, l’idea darwinista è quella che il motore dell’evoluzione siano le mutazioni casuali che possono provocare una piccola modificazione che risulti vantaggiosa in termini di riproduzione differenziale al portatore della medesima così che (grazie al tempo e al numero praticamente infinito di individui) ‘spostino’ le caratteristiche della specie verso altri equilibri. L’idea base è insomma quella di un processo lento e continuo. A onore del vero, Charles Darwin aveva affermato che, qualora la continuità del processo fosse stata falsificata, la sua teoria sarebbe stata inesorabilmente da cestinare. Il progresso della biologia (sia a livello molecolare che paleontologico) ha ampiamente falsificato l’ipotesi di continuità ma il neo-darwinismo rimane un dogma, perché? Forse riuscirò a darvi uno straccio di risposta alla fine del pezzo, ma riprendiamo con la storia della continuità.
Il processo evolutivo è tutto meno che continuo, per gran parte della storia della vita sulla terra gli unici organismi esistenti sono stati semplicissimi batteri e alghe azzurre poi, in un tempo relativamente rapido in senso geologico, si è presentata una diversità di forme e complessità paragonabile a quella odierna. Questo il dato paleontologico.
Ancora più stringente il dato molecolare: dovunque si guardi, la biologia ci rimanda sempre lo stesso messaggio di un numero minuscolo di forme ‘realmente esistenti’ rispetto alle configurazioni teoricamente possibili, due esempi eclatanti:
- Solo circa 400 tipi cellulari con un profilo largamente invariante di espressione genica sono presenti nel nostro organismo, laddove le configurazioni teoricamente possibili da circa 30000 geni ognuno che varia su quattro ordini di grandezza di livello di espressione sono di molto superiori al numero di atomi dell’Universo (Vickaryous, M. K., & Hall, B. K. (2006). Human cell type diversity, evolution, development, and classification with special reference to cells derived from the neural crest. Biological Reviews, 81(3), 425-455.).
- Il tipo di interazioni proteina-proteina (da cui deriva la possibilità di avere un metabolismo efficiente) è piuttosto sovrapponibile tra le diverse specie viventi, e implica un ordine di grandezza tra 104 e 105 reazioni chimiche metabolicamente rilevanti, laddove il numero di combinazioni possibili (per un organismo relativamente semplice come il lievito) arriva al numero astronomico di 107200 (Tompa, P., & Rose, G. D. (2011). The Levinthal paradox of the interactome. Protein Science, 20(12), 2074-2079.) insomma un numero con più di settemila zeri, laddove gli scienziati hanno invece stimato che il numero di atomi contenuti nell’Universo sia compreso tra 1079 e 1081 !!!!
Da un punto di vista puramente fisico, la cosa non è particolarmente singolare: la stessa possibilità di una scienza quantitativa deriva dal fatto che la natura sia strutturata da regolarità che fanno collassare il numero di ‘configurazioni possibili’ in un numero drasticamente inferiore di ‘configurazioni osservabili’. In altre parole il carbonio ha valenza 4 (può insomma formare quattro legami covalenti stabili con altri atomi) non ‘quante ne capita’, in condizioni vicine a quelle ideali, la pressione e il volume di un gas non ‘variano come loro aggrada’ ma seguono la legge dei gas perfetti PV=nRT e così via.
La (apparente) continuità delle variazioni vale solo nelle strettissime vicinanze della ‘configurazione di equilibrio’ ed è ciò che spesso si definisce ‘rumore’, tornando al caso dell’evoluzione, è ciò che determina la micro-evoluzione , quel processo che fa sì che un batterio possa acquisire resistenza ad un antibiotico ma rimanendo LO STESSO BATTERIO. Certo la cosa non vale per la comparsa di nuove specie (macroevoluzione) o per i complessi co-adattamenti di fiori e specie impollinatrici che implicherebbero una serie di mutazioni coerenti del tutto al di fuori di ogni ragionevole probabilità (siamo dalle parti di una possibilità su 107200).
Per cercare di capirci qualcosa (ricordiamo che l’evoluzione è comunque avvenuta) dobbiamo allora prendere sul serio la realtà e lasciar perdere la mitologia del processo continuo e inarrestabile per puro effetto del caso che si confronta con l’ambiente e quindi ammettere che nella realtà esistono delle forme stabili e non solo il flusso di variazione (cominciamo ad avvicinarci alle motivazioni extra-scientifiche della mitologia evoluzionistica).
Io credo fermamente che la vita faccia parte (pur con tutte le sue peculiarità) del mondo fisico, per cui dovremmo guardare al mondo fisico per farci venire qualche idea ragionevole di come potrebbero essere andate le cose (Erenpreisa, J., & Giuliani, A. (2020). Resolution of Complex Issues in Genome Regulation and Cancer Requires Non-Linear and Network-Based Thermodynamics. International Journal of Molecular Sciences, 21(1), 240.).
Il punto di partenza è ciò che i neo-darwinisti hanno sempre taciuto: e cioè che le specie sono sostanzialmente stabili (da cavallo e cavalla nasce sempre un altro cavallo) e che la variazione continua è una piccola modulazione di frequenza su un assetto immutabile (d’altronde sappiamo come filosoficamente un certo tipo di pensiero veda la stabilità come il fumo negli occhi). Ciònonostante la macroevoluzione è avvenuta, allora dobbiamo porci il problema di come un sistema stabile possa ‘uscir fuori dalla sua trappola’ (un minimo energetico), nel caso dell’evoluzione il sistema in questione è una popolazione, proprio come nelle reazioni chimiche dove chi reagisce (trasformandosi in qualcos’altro) sono vastissime popolazioni di molecole.
La popolazione non risiede su un massimo assoluto di fitness (Emax..corrispondente alla migliore ‘configurazione’ per il successo riproduttivo, fitness appunto, e nel caso della chimica a un minimo energetico) ma oscilla attorno a esso e in generale si trova in una configurazione E0 vicina ma non coincidente con il massimo corrispondente al contesto. Chiamiamo questo contesto genericamente AMBIENTE e, aldilà dei meccanismi specifici di adattamento, chiediamoci, DATA LA SOSTANZIALE STABILITA DELLE SPECIE, IN QUALI SITUAZIONI L’AMBIENTE RIESCE A FORZARE IL SISTEMA AD ABBANDONARE IL SUO STATO DI EQUILIBRIO SPINGENDOLO VERSO UNO STATO DI EQUILIBRIO DIFFERENTE ATTRAVERSANDO UNA SORTA DI INTERMEDIO INSTABILE DI REAZIONE. Chiediamoci insomma come avvenga una transizione.
La risposta è nota alla fisica da molto tempo: avviene per RISONANZA, un fenomeno scoperto da Huygens nella seconda metà del Seicento per cui un sistema oscillante A (nel suo caso una pendola) cambiava il suo periodo di oscillazione naturale e si sincronizzava con un altro sistema B (un’altra pendola dall’ altra parte della parete) che aveva una periodicità lievemente diversa. Fenomeni di risonanza sono l’ emergere di ritmi nei battimani a teatro o in ambito biologico i ritmi circadiani che si mettono in fase con il sole quando invece di per se sarebbero un pochino più lenti (come dimostrato da esperimenti eseguiti su persone che rimangono in grotta per settimane).
Tornando a noi, indipendentemente dal meccanismo, la cosa importante del paradigma delle transizioni di fase applicato alla biologia è che permette finalmente di comprendere fenomeni misteriosi come il differenziamento e lo sviluppo (qui si consiglia: (McDonnell, M. D., & Abbott, D. (2009). What is stochastic resonance? Definitions, misconceptions, debates, and its relevance to biology. PLoS computational biology, 5(5)).
L’idea fondamentale della proposta TRE (Teoria delle Risonanze Evolutive, che ho collaborato a sviluppare, vedi: Damasco, A., & Giuliani, A. (2017). A resonance based model of biological evolution. Physica A: Statistical Mechanics and its Applications, 471, 750-756.) è quella di trattare il processo di speciazione (e quindi in generale l’evoluzione biologica) in maniera fisicamente motivata come una transizione di fase tra due stati stabili: una specie A (stabile come tutte le specie) che si trasforma in un’altra specie B (anche essa stabile). Né più né meno di come una specie molecolare (stabile) A si trasforma in una specie molecolare (stabile) B in una reazione chimica e, come in una reazione chimica, passa attraverso uno stato di transizione (instabile).
Sostituire la continuità del cambiamento con il carattere discreto della transizione è il fulcro della incommensurabilità tra TRE e neodarwinismo: nella TRE l’evoluzione (anche se ovviamente non in atto) è già in potenza presente nella forme esistenti, proprio come in chimica organica si può disegnare una molecola e derivarne le proprietà chimico-fisiche dalla formula di struttura posto che si rispettino i vincoli formali dettati dalla fisica (e.g. il carbonio deve avere valenza quattro).
Il passaggio dalla potenza all’atto (la sostanza materialmente prodotta) sarà catalizzato dalle opportune condizioni di reazione (risonanza con fattori ambientali oscillanti nella TRE).
Il punto da tenere ben presente è che il tema principale del modello proposto sono le condizioni di evolvibilità non i meccanismi dell’evoluzione. Non a caso la teoria si basa su un formalismo derivato dagli equilibri chimici e quindi dalla termodinamica che è una scienza che consente previsioni fenomenologiche molto precise ma che si è sviluppata su premesse meccanicistiche totalmente fantasiose (i padri della termodinamica classica credevano che il calore fosse un fluido: il flogisto o calorico). Le nostre idee chiaramente non sono (come sempre accade nelle scienze) del tutto personali, ma si iscrivono in una ‘aria dei tempi’ condivisa da altri ricercatori (vedi ad esempio: Dunkel, Jörn, et al. Stochastic resonance in biological nonlinear evolution models. Physical Review E, 2004, 69.5: 056118.), eppure la nostra pubblicazione ha scatenato un’ira scomposta nel mondo della biologia evolutiva con accuse di ‘creazionismo’ ‘falsa scienza’ e via di questo passo. Ma cosa avevamo dunque combinato suggerendo una ipotesi fondata su conoscenze fisiche assodate da secoli e coerenti con svariate osservazioni?
A mio parere la questione è che avevamo messo in discussione tre pilastri del pensiero filosofico moderno (capitalista?):
- Non esistono vincoli fisici posti dalla realtà materiale delle cose, tutto è modificabile a piacere!
- Il progresso (qualsiasi cosa sia) è continuo e inesorabile, mettersi di traverso è nel caso migliore da poveri illusi, nel caso peggiore da pericolosi terroristi.
- I bruschi cambiamenti di stato (ognuno la interpreti come vuole, Rivoluzioni? Cambi di Rotta?) sono tutt’al più una illusione.
A questo punto però sono troppo al di fuori del mio campo di competenze e lascio i commenti al mio amico Fabrizio che mi ha ‘commissionato’ questo pezzo e a voi lettori che pazientemente mi avete seguito fin qui.
Alessandro Giuliani (Primo Ricercatore Istituto di Sanità Biofisico)