Il capitalismo impone ritmi, circostanze e tempi lavorativi che producono miseria e vuoti interiori, soprattutto assenza di elevazione e crescita della personalità, distorsione della consapevolezza, deterioramento dello sviluppo armonico della persona e delle potenzialità espressivo-realizzative proprie di ogni essere umano, tanto che oggi esistono persone tanto povere da possedere solo tanti soldi.
La “ricchezza” proposta dal capitalismo è divenuta metro di misura dell’esistenza tramite l’esaltazione dell’essere pienamente miserabili: l’unità di misura è l’attitudine alla prostituzione del tempo di vita che conduce solo all’abbondanza di beni meramente strumentali, effimeri e pressoché superflui se non dannosi. Si è ormai smarrito ogni genuino senso di vita.
Queste sono le caratteristiche deprimenti e deprivanti propri del capitalismo privato ma anche del capitalismo statale scambiato purtroppo per socialismo (vedi Cina).
La differenza tra il nostro Nuovo Comunismo ed il “socialismo” cinese è la stessa che si palesò anche in Urss: al di là di qualsiasi altra questione PER NOI ACCETTARE un lavoro che ci occupa per 8-9-10-11-12 ore al giorno non è una benedizione, non è una cosa che dobbiamo cercare (come succede paradossalmente in questa fase di crisi capitalistica, con i lavoratori schiavizzati psicologicamente che rivendicano addirittura con violenza il loro posto da schiavi), non è una cosa che desideriamo chinare il capo alle regole che ci privano della libertà più grande che è la libertà di disporre a piacimento del tempo di vita personale.
Non viviamo in un mondo libero, solo in un mondo dominato dal libero mercato in cui tutto è prezzolato, ogni cosa ha un prezzo, compresa la libertà di poter disporre del tempo che la natura ci ha donato in qualità di uomini liberi. Studi anche recenti dimostrano che ogni lavoratore è produttivo solo nelle prime quattro ore di lavoro, dopodiché l’attività diventa inutile e dannosa, sia per il lavoratore che per l’azienda. Se solo fosse possibile scomporre un turno di lavoro da 8 ore in due da 4 ore (con occupazione di due lavoratori) non solo si otterrebbe una moltiplicazione della produttività, quindi maggiore ricchezza circolante, ma si eliminerebbe in un colpo solo tutta la disoccupazione attuale. Ma non è la competitività iperproduttiva al servizio di un modello di sviluppo sbagliato il fattore più interessante, è piuttosto la liberazione di tempo dal lavoro finalizzato alla felicità dell’essere umano.
Oggi siamo o disoccupati o costretti a più occupazioni, magari anche ben retribuite, le quali però quasi sempre non ci appassionano e ci tolgono ogni spazio di esistenza autentica, e ciò solo per poter sopravvivere o per inseguire bisogni e desideri indotti dallo stesso mercato che ci sfrutta e ci illude che la felicità consiste nelle relazioni con le merci.
Ecco il significato profondo del termine “alienazione” utilizzato da Marx: lo stile di vita nella società del libero mercato ci impedisce di crescere come creature senzienti e curiose, ci ottunde i sensi e la ragione, ci impedisce di coltivare le relazioni interpersonali che davvero ci interessano, tanto che si trascorre più tempo con sconosciuti colleghi di lavoro che con le persone che amiamo. E’ una imposizione che ci costringe a trascurare i figli, ci fa invecchiare anzitempo e ci rende infelici. Soprattutto ci impedisce di realizzarci come persone nate libere, di vivere in libertà e dignità come e dove vogliamo senza dover rendere conto a nessuno se non a leggi giuste ed eque fatte per una comunanza di uomini liberi, uguali, capaci di vivere serenamente in pace; in ogni caso senza dover rispondere di certo a coloro che avvantaggiandosi di una posizione privilegiata di interesse privato in economia (che è per definizione pubblica) ci impongono la servitù al loro profitto.
La nostra vita è avvelenata da una competizione economico-sociale che serve solo a far arricchire coloro che detengono il potere e tirano nell’ombra i fili di questa falsa democrazia.
Soprattutto i proletari (i salariati) sono costretti a vendere per necessità e per ricatto il gran tempo di propria vita fin oltre le soglie della vecchiaia, ed in cambio non hanno facilmente alcun bene primario (come la casa) ma solo gingilli merceologici equiparabili a perline e specchietti per indigeni selvaggi. Le abitazioni tra l’altro sono costruite con materiale e competenze che non giustificano il loro prezzo attuale, il loro valore gonfiato è un classico strumento di costrizione al lavoro messo in campo dal capitalismo agendo sulla differenza economica smascherata da Marx tra valore d’uso e valore di scambio.
Questo accade e continuerà ad accadere ai nostri figli ed ai nostri pronipoti se le leggi sui rapporti di produzione continuano a rimanere queste, come Marx ha ben evidenziato. Siamo costretti a farlo, a lavorare oltre le nostre possibilità umane, ma mentre lo facciamo cerchiamo di acquisire la consapevolezza per lottare e liberarci un giorno dalle catene e rovesciare tutte le parole d’ordine, tutti i luoghi comuni di questa cultura imperante, compresi gli slogan della sinistra attuale e del comunismo del passato che si fondavano per l’appunto sull’etica del lavoro.
L’etica può essere solo quella del vivere appieno e felicemente questa vita così breve in armonia con la natura e con il prossimo. Mentre lavoriamo impariamo a diffondere pacificamente le idee che faranno la storia e rovesceranno il mondo per rimetterlo nella giusta prospettiva (questo è il più grande insegnamento che Marx ci ha lasciato: il mondo è rovesciato e bisogna raddrizzarlo). O il comunismo diventa la ricerca e l’applicazione della giusta etica al fine della felicità umana, oppure è niente.
L’etica sbagliata è quella dell’iperproduzione e dell’iperconsumo, e non importa che l’errore si fondi sullo stakanovismo di matrice sovietica, sul capitalismo statalista e privato di matrice cinese o sull’ideologia di una collettività da formiche (leggi bordighismo); soprattutto l’etica sbagliata è quella nata dal protestantesimo puritano (Max Weber docet), dalla quale sorge poi il capitalismo privato che pretende il sacrificio nostro e dei nostri figli sull’altare di un impegno apparentemente e teoricamente teso al bene comune ma in realtà rovinoso per la corsa all’infinito perfezionamento di merci superflue e dannose che mette in atto. Rinneghiamo e facciamo rinnegare questo modello di benessere e riprendiamoci la nostra vita! Non condanniamo la tecnologia ed il suo progresso al servizio dell’uomo, piuttosto condanniamo la frenetica corsa al suo perfezionamento per fini mercantilistici che nulla hanno a che fare con le reali necessità e desideri dell’uomo.
Questo è il punto di identità peculiare che ci deve contraddistinguere come nuovi comunisti, sempre, senza il quale non siamo niente e tradiamo la nostra missione per l’unico futuro possibile: salvare non solo le nuove generazioni, ma addirittura l’equilibrio dell’ecosistema globale, le risorse naturali del pianeta e di conseguenza la nostra specie da una serie di guerre come non si sono mai viste.
L’odierno capitalismo finanziario è nella sostanza non difforme dal capitalismo del passato che è uscito dalle crisi cicliche grazie alle guerre mondiali, il capitale è sempre stato per natura predatorio di una forma controproducente di predazione del tutto sconosciuta in natura: la predazione senza limiti e senza il rispetto degli equilibri che garantiscono le condizioni stesse della predazione. Il capitalismo vive di parassitismo distruttivo.
Il suo fine è irraggiungibile, la sua fame illimitata, la sua frenesia produttiva e consumistica inesauribile, ma ciò che lo arresterà è già in atto nella sua infinita avidità: il principale effetto collaterale della sua azione fagocitativa è infatti in linea con il secondo principio della termodinamica (il quale vale per la fisica ma anche per le attività umane viste nel loro complesso quando applicate al sistema fisico Terra), ovvero la mortale disordinazione di ogni altro sistema che non sia se stesso, quindi il capitalismo perseguirà fino alla sua fine il massimo livello di entropia possibile senza mai arrestarsi, livello coincidente con l’esaurimento distruttivo di ogni cosa: clima, risorse, specie viventi compresa alla fine anche la specie homo “sapiens”.
Per questo il capitalismo non si può riformare ma solo abbattere e sostituire con un ordine sistemico nuovo: il secondo principio della termodinamica infatti insegna che non è possibile cercare di mettere ordine in un sistema a massimo dispendio di energia (e il capitalismo lo è) senza aumentare ancora di più il disordine dovuto agli alti scambi di energia presenti nel sistema stesso.
Il capitalismo non poteva non risultare vincente fino a questo punto della storia: è un sistema di predazione perfettamente aderente al modello della selezione naturale, con una sola differenza fondamentale: la selezione naturale contrappone nella gara per la sopravvivenza non gli individui ma le specie, il capitalismo contrappone gli individui, il risultato è che il sistema capitalistico risulta paradossalmente nemico mortale della stessa specie che lo esprime, e nemico persino del suo stesso habitat di predazione, che è poi l’intero sistema naturale.
Il capitalismo globale porterà inevitabilmente l’umanità a schiantarsi contro il metallo fuso di nuove ed innumerevoli guerre (anche mondiali), sempre più sanguinose per l’accaparramento delle risorse naturali, e condurrà il pianeta a smarrire il suo equilibrio climatico per noi vitale dentro le mura invalicabili e labirintiche del secondo principio della termodinamica.