In questi tre mesi di emergenza sanitaria è esplosa con tutta la sua potenza una tendenza diffusasi negli ultimi anni – da quando insomma la società della conoscenza e delle reti ha permesso a chiunque di indagare i fatti storici senza il filtro dell’informazione “ufficiale”. Si sono sovrapposte tesi e formulazioni tra le più disparate su una miriade di avvenimenti: dall’11 settembre al terrorismo islamico, dall’allunaggio alla sperimentazione dei vaccini. In maniera del tutto sommaria questo tipo di analisi sono definite dal mainstream complottiste.
L’informazione ufficiale – è bene dirlo – ha tutto l’interesse nello screditare la critica al modello di sviluppo e approfitta delle approssimazioni presenti in Rete per fare di tutta un’erba un fascio. Così assimila riviste dedite alla riflessione critica sulla globalizzazione dei mercati, sulla libera circolazione dei capitali e sulla costruzione Europea o movimenti politici neo-socialisti alle teorie del complotto più disparate. Cerca di porre un argine a una derivata della Rete sfuggitagli di mano. La nuova cittadinanza che la critica al neo-liberalismo ha trovato nel variegato mondo di internet. Al fine di screditare un’informazione non schiacciata sulle parole d’ordine del potere dominante e dei suoi apriorismi culturali, sociali economici e politici, il Potere associa – con lo stratagemma delle fake news – la critica alla Ragione liberista alle irrazionalità individuali di cittadini che si arrampicano in teorie poco dimostrabili. Nulla a che vedere con la vecchia ricerca della Verità, quando i familiari delle vittime delle stragi si riunivano in comitati per avviare indagini parallele, quando non si credeva alle versioni di comodo della ragion di stato in nome di un senso collettivo di giustizia.
Oggi – al contrario – proprio quando una gran fetta della popolazione ha messo in discussione i dogmi sui quali si è costruito l’edificio della libera circolazione dei capitali e ha iniziato a comprendere che la sfera nazionale resta l’unica nella quale è possibile porsi in termini di resistenza al mondo dei mercati, unico luogo nel quale il conflitto sociale trova riconoscimento, l’attenzione è stata distolta in maniera del tutto funzionale alla normalizzazione degli assetti esistenti.
Coloro i quali hanno immaginato una creazione e una diffusione del Virus con una genesi “studiata” al fine di provocare mutamenti nel sistema democratico, nelle procedure di controllo personale e sociale si sono spinti in riflessioni del tutto speculari con chi sostiene che la politica debba essere affidata agli esperti o ai tecnici. Anche se sono proprio i complottisti a definire un mondo post Virus in cui la tecnica e il controllo medico imporranno limitazioni alla sfera democratica e alle libertà personali. Ma a pensarci bene entrambe le posizioni assumono caratteristiche impolitiche. Pongono la sfera della decisione in un ambito quasi “inattaccabile”. Gli uni perché affermano che è l’esperto che deve decidere e il giudizio scientifico non è oggetto di disputa democratica soprattutto perché non ideologico – come se la tecnica fosse neutra – gli altri perché pongono i centri decisionali in luoghi nascosti, segreti e impercettibili. In tutte e due le visioni la politica non serve a nulla. Non esiste la possibilità di trasformare la società in alcun modo. Entrambi gli atteggiamenti sfociano in pratiche individuali e non collettive. Se non si possiede alcuna aspirazione a operare collettivamente trasformazioni politiche non resta che un atteggiamento passivo; o di accettazione acritica delle decisioni prese dai tecnici o di frustrazione individuale per l’impossibilità di combattere un nemico troppo più grande e lontano.
Difatti quest’ultima inclinazione si è dimostrata del tutto funzionale alla cristallizzazione di una società de-politicizzata, così come immaginata dal Regno dei mercati. Le richieste avanzate da un mondo variegato, composto da improvvisati analisti di fantascienza geopolitica, anarcoidi dediti alla ricerca di una illimitata libertà personale, giovani ai quali non rimane che dedicarsi allo sballo, Confindustria, destra individualista americanizzata sono state tutte indirizzate alla necessità di riaprire industrie, negozi, circolazione delle persone, contatti. Pena l’avvento di uno Stato che si trasforma in un mostro antidemocratico coperto dalla protervia poliziesca. Ma la globalizzazione dei mercati non può costruirsi e fortificarsi insieme alla presenza di uno Stato nazionale che riafferma una centralità nella decisione. Anche la tutela costituzionale della salute deve passare in secondo piano rispetto alla centralità d’impresa.
Questo moto perpetuo consistito in sollecitazioni alla riapertura delle attività o nella critica alle asfissianti regole di distanziamento fisico hanno determinato la resa del Governo che alla fine della fiera ha affermato candidamente di dover riaprire tutto senza alcun criterio perché nessuno si può permettere ulteriori mesi di blocco. O meglio che lo Stato non se lo potrà permettere. Tanto che il possibile aumento dei contagi è eventualità che i governanti hanno messo in conto.
Ottimo risultato. Ciò che è emerso nei primi giorni di quarantena, quella rinnovata consapevolezza – del tutto istintiva – sul ruolo dello Stato il quale avrebbe dovuto riprendere in mano le leve monetarie e decisionali in ossequio allo spirito della Costituzione è stata spazzata via dalle consuete rivendicazioni falsamente libertarie. Invece di pensare a rivendicazioni collettive per avviare politiche di protezione e sicurezza sociale che obbligassero lo Stato a concedere liquidità sia ai cittadini che alle imprese per poi avviare politiche di piena occupazione in barba ai trattati europei, ecco che è emerso lo sdegno individuale per la libertà di jogging che il capitale ha sfruttato a proprio uso e consumo.
Così è arrivata l’ammissione finale. Si avvia una normalizzazione perché lo Stato non ha margini di manovra per concedere sicurezza sociale, schiacciato com’è dalla dittatura dei privati che impongono il vincolo esterno. Alibi per un futuro prossimo di de-responsabilizzazione politica quando la crisi assumerà i tratti più drammatici. Le eventuali chiusure forzate delle attività, la probabile disoccupazione di massa saranno addebitate alle responsabilità dei singoli non in grado di fronteggiare la sfida della crisi con spirito di sacrificio e di innovazione. L’ulteriore macelleria sociale sarà quindi imposta dalle condizionalità di bilancio che scattano automatiche durante l’oppressione dei prestiti. Altro che stato di polizia, si assiste inermi al trionfo dei mercati secondo i quali ogni crisi rappresenta un’opportunità speculativa. La presunta libertà individuale sarà indirizzata nella libertà di sottomettersi al credito e in quella di ridurre la propria esistenza alla consumazione di un aperitivo. Si deve essere liberi ma nel recinto dell’indigenza e dell’indebitamento personale. Si festeggia il ritorno alla vita “di prima” ma in un contesto di accentuata povertà dove il tirare a campare costituirà l’imperativo della nuova massa sotto-proletarizzata, con qualche anziano in meno. D’altronde la vecchiaia rappresenta un costo sociale improduttivo. Meglio sfoltire.
Fonte foto: Positano News (da Google)